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Elogio dell’esterno, Luka Modric riporta in vita il calcio danubiano e ricorda alla Serie A che il faro è sempre la tecnica

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Un signore croato di quarant’anni ha riportato in vita il calcio danubiano, splendido protagonista degli anni Trenta del Novecento, quando l’Austria di Hugo Meisl – l’ideologo -, la Cecoslovacchia del portiere Frantisek Planicka e l’Ungheria di Gyorgy Sarosi illuminarono gli stadi d’Europa con un football fondato sui principi della tecnica sopraffina. Cecoslovacchia e Ungheria furono battute nelle finali dei mondiali 1934 e 1938 dall’Italia di Vittorio Pozzo. L’Austria fu fermata nelle semifinali del torneo iridato 1934 sempre dagli azzurri, poi, nel 1938, ci pensò Adolf Hitler con l’Anschluss, la forzata annessione alla Germania nazista, a chiudere per sempre quella storia. Il signore croato che ci ha riportato indietro nel tempo è Luka Modric, il fuoriclasse che nel 2018 interruppe il dominio della coppia Messi-Ronaldo nella spartizione del Pallone d’Oro. Il suo tocco d’esterno è la luce che ha acceso non solo il Milan, ma l’intero football italiano, impoverito tecnicamente, dalle scuole calcio alla Serie A, dagli integralisti della tattica, incapaci di tirare un calcio al pallone, ma bravissimi alla lavagna (o al Subbuteo).

L’esterno di Modric è la nuova luce. Lele Adani, che come sempre esagera, lo ha definito “patrimonio dell’umanità”. Rientrando nei ranghi, basta il concetto di “patrimonio del calcio”. Perché di questo si tratta. Modric usa il tocco d’esterno come i comuni mortali adoperano i piedi per camminare. Il tocco d’esterno di Modric non ha limiti e confini: può avere la lunghezza di pochi passi quando appoggia il pallone al compagno più vicino, o può ribaltare un’azione lanciando un giocatore a trenta metri di distanza. Può essere cross, assist o persino tiro in porta. Talvolta serve addirittura per sradicare il pallone dai piedi di un avversario. Tutto con leggerezza e precisione, nel segno di una classe infinita.

Nei ritmi più bassi della Serie A, lontana dall’intensità della Premier e dal palleggio della Liga spagnola, l’esterno di Modric si esalta. In una partita di pochi giorni fa, un giocatore di buon livello ha cercato di emulare il croato. Il pallone è finito oltre la linea laterale. Omettiamo, per rispetto, il nome del protagonista. Ben vengano, s’intende, gli imitatori. La speranza è che il tocco d’esterno di Modric, come il cucchiaio di Totti e le intuizioni di Pirlo, diventi di moda nelle scuole calcio. Perché poi è lì l’origine della decadenza del nostro sistema. I bambini di sette anni sono intrappolati dalla tattica: a quell’età, in cui devi lavorare sui fondamentali del calcio e liberare la fantasia, i cosiddetti maestri insegnano solo diagonale, moduli e sovrapposizioni.

Il tocco d’esterno di Modric è una luce nel deserto. È culto della memoria, ma anche un richiamo al futuro. È la dimostrazione che si può giocare a calcio accarezzando il pallone e non maltrattandolo. È eleganza e leggerezza. È quel qualcosa che riempie l’immaginazione di milioni di persone. Il tocco d’esterno di Modric rompe le barriere del tifo. Contiene persino un messaggio di fratellanza: è un magnifico collante che unisce tutte le tribù del calcio.

L'articolo Elogio dell’esterno, Luka Modric riporta in vita il calcio danubiano e ricorda alla Serie A che il faro è sempre la tecnica proviene da Il Fatto Quotidiano.

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