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Ci ha lasciato una leggenda azzurra: è morto Silvano Bini

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Quando conobbi Silvano erano gli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, ero dirigente e allenatore di una squadra di ragazzi, il Rozzalupi: un Circolo ARCI vicino a Piazza Matteotti che oggi è diventato un ristorante cinese. Tanti ragazzi hanno giocato in quelle squadre che organizzavano per dare ai ragazzi l’opportunità di giocare al calcio senza cercare di essere una fabbrica di campioni, anche se poi qualcuno una certa strada nel calciol’ha fatta: su tutti Andrea Del Bino. Tra quei ragazzi giocò una stagione nel Rozzalupi anche “un certo” Fabrizio Corsi, allora quattordicenne. Eravamo una squadra povera e ci venne spontaneo cercare di un rapporto con l’Empoli FC. Perciò mi trovai più volte ad intavolare una “trattativa” con l’allora plenipotenziario azzurro: Silvano Bini. Non soldi ma maglie e palloni. Non contratti ma strette di mano. Non agenti, procuratori (allora non mi ricordo neppure se c’erano) ma faccia a faccia con quell’uomo certamente spesso burbero nei modi ma che aveva una intelligenza cristallina ed una capacità nei rapporti umani che, nei momenti privati, ne nascondeva le spigolosità e ne rivelava la generosità e l’umanità. Con Silvano non ci furono mai problemi. Erano gli anni in cui l’Empoli calcio giocava stabilmente in Serie C e l’attività dell’Empoli (già allora si iniziò a definire il significato di “fare l’Empoli”) si basava di tre pilastri fondamentali: mantenere la categoria, tenere i conti a posto, scovare e valorizzare giovani. Era un altro mondo ma quell’Empoli, in quelle stagioni, noi vecchi tifosi lo ricordiamo con affetto perché ci dava un qualcosa che andava oltre il fatto calcistico puro e semplice: l’identità! Essere tifosi dell’Empoli era un unicum nel panorama calcistico nazionale: eravamo piccoli tra i grandi. E non si rida perché la Lucchese, il Pisa, il Siena, il Livorno, tanto per rimanere in Toscana, erano allora realtà calcistiche di un altro pianeta.

Eppure “quell’Empoli”, con quel suo modo di fare e di essere, ci regalò dopo 33 anni la Serie B e, dopo soli due anni, il grande sogno della Serie A. L’Empoli ha conosciuto nei suoi anni tanti personaggi che hanno costruito la storia, una grande squadra di persone serie, capaci, innamorate della squadra e della città,  ma Silvano Bini rimane il Capitano di lungo corso di quella squadra. Indimenticabile. Il 21 gennaio 2020 su Pianetaempoli iniziò il nostro racconto sui 100 anni di vita dell’Empoli FC; il primo articolo (non a caso…) fu dedicato a Silvano Bini. Crediamo opportuno riproporre quell’articolo perché contiene e sintettizza la storia sportiva ed i valori dell’uomo, ancor prima che del grande Dirigente di calcio che Bini è stato.

Stadio “Martelli” di Empoli. E’ domenica 9 Aprile 1939. Un bambino di 11 anni  anni vuole vedere la partita Gambacciani Empoli – Virtus Benini ed allora, insieme ai suoi amici, scavalca il muro di cinta dello Stadio. Il bambino non sa che oltre quella parete di mattoni e cemento ad attenderlo non ci sarà solo un campo di calcio ma il suo futuro. La partita sarà a tuttoggi il record di punteggio per una vittoria interna dell’Empoli, 10-0, ma anche una di quelle che quel bambino vedrà da semplice tifoso perché da lì a 8 anni l’Empoli sarebbe sta la sua casa, il suo lavoro, la sua passione. Quella domenica di Aprile 1939, scavalcando il muro del “Martelli”, Silvano Bini stava andando incontro, senza saperlo, al suo destino. Il racconto della storia dell’Empoli non può che iniziare con un personaggio che, di quel racconto, è stato indiscusso scrittore e testimone per quasi mezzo secolo. Silvano Bini “è stato” l’Empoli e lo è ancora nella memoria collettiva di quanti quella squadra hanno amato ed amano. Aspettando una risposta (che non sarebbe mai arrivata) dal “Monte dei Paschi di Siena” al quale il giovane Bini aveva fatto domanda di assunzione, quasi per caso iniziò a lavorare nell’Empoli calcio. Era il 1947 e fino alla metà del 1996 Silvano Bini sarebbe stato il Vicesegretario, il Segretario, il Direttore Sportivo, il Direttore Generale e perfino il Presidente (primi mesi del 1988 fino al termine della Stagione 1988/89) dell’Empoli legando indissolubilmente il suo nome a quello della Società.

Indipendentemente dall’incarico ricoperto in seno alla Società, Bini è stato l’anima dell’Empoli, ne ha portato in giro per l’Italia il “marchio di fabbrica”: riuscire a tenere una Società con il bilancio a posto, valorizzare i giovani, un forte legame con la città e la sua gente. Bini, nei suoi anni azzurri, è stato un personaggio “scomodo” nel mondo del calcio: poco incline a genuflettersi di fronte al potere, burbero nei modi, facile a “prendere fuoco”, a volte spregiudicato. Ma sempre due linee guida: l’Empoli ed il rigore. Con lui, anche in anni difficili, l’Empoli non ha mai conosciuto fallimenti, tanto che spesso è stato anche accusato di tirchieria e di non voler tentare lanci della squadra in Categorie superiori. Bini sapeva quello che faceva e non ha mai voluto fare il passo più lungo della gamba, anche perché c’era poi quell’altra linea guida: il rigore. E il rigore non solo nel tenere i conti in ordine ma il rigore nei confronti degli altri, l’onestà, la parola data che valeva più di un contratto, la lealtà. Sempre, e comunque, l’Empoli prima di tutto, ma dietro quei modi bruschi ed a volte scostanti, nel suo modo di parlare che non ha mai conosciuto il filtro dell’ipocrisia, c’è sempre stato un uomo generoso, con una ben chiara scala di valori.

Bini ha creato e perfezionato la storia dell’Empoli che lancia e valorizza i giovani. Un forte legame col territorio e le sue vaste conoscenze nel mondo del calcio italiano hanno fatto di Empoli un punto di riferimento importantissimo per la valorizzazione dei talenti. Dagli anni ’40 sono nati a Empoli campioni che hanno brillato nel calcio nazionale: da Egisto Pandolfini a Benito Lorenzi (Veleno), da Mario Bertini a Montella, a Caccia, a Di Natale, solo per dirne alcuni. Fatti crescere a Empoli, pescati come sconosciuti dalle Categorie inferiori e fatti crescere e poi lanciati nei grande calcio. E’ da qui che è nata la frase “Fare l’Empoli”, che esprimeva non un concetto astratto, ma un modo di fare calcio, uno stile dentro e fuori dal campo, la capacità di saper rappresentare un mondo e la sua gente senza perderne di vista i valori, le abitudini, la storia. Perché Silvano Bini la storia di Empoli la conosceva bene, non solo perché ad Empoli era nato ma perché “viveva” ed amava la sua città, allora come oggi, che del calcio non è più protagonosta dietro uno scrivania o in campo ma semplice – eppure attento – spettatore. Il suo distacco dall’Empoli fu improvviso ed inaspettato, nato crediamo forse dall’esigenza da parte della nuova dirigenza di un cambiamento, di una cesura che si volle operare col passato, forse da qualche incompatibilità o divergenza di vedute di troppo. Il modo non fu comunque dei migliori, si trattava pur sempre di un uomo che alla causa dell’Empoli aveva comunque dedicato metà della sua vita, conosciuto ed apprezzato in ogni parte dell’Italia del pallone.

Certo è che, lo si sia amato o no, Silvano Bini rimane un pezzo di storia  che dell’Empoli dalla quale non si può prescindere, che non si può e non si deve dimenticare. Ha rappresentato più di una bandiera. Non è stato un uomo immagine per tutti gli usi, non ha barattato il suo amore per la maglia azzurra con altri incarichi che mortificassero la sua storia professionale ed umana. Non ha neppure ceduto alle lusinghe di più di un grande club che nel tempo lo hanno cercato. Troppo forte il suo attaccamento all’Empoli. Poi, ad un certo punto è finita. Come finiscono, a volte, i grandi amori. Ma, all’inizio di questo compleanno della maglia azzurra, le prime candeline sulla torta ci è sembrato giusto accenderle insieme a lui.

Pianetaempoli si stringe intorno alla famiglia di Silvano Bini in questo momento di lutto e di dolore.

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