VAR, la fine dell’esultanza: quando la tecnologia spegne la passione
di Vincenzo Letizia
C’era un tempo in cui un gol era un’esplosione. Una frazione di secondo bastava per scatenare l’istinto più puro del tifoso: abbracci, urla, lacrime. Oggi, invece, il primo pensiero dopo la rete è un altro: “Aspettiamo la VAR”.
È un cambio di paradigma silenzioso ma profondo, che ha inciso nell’anima stessa del calcio e di chi lo vive. La spontaneità dell’esultanza si è trasformata in un gesto sospeso, frenato, trattenuto. Si esulta e subito ci si ferma, come in un “coito interrotto” — una metafora forte ma tremendamente efficace per descrivere la frustrazione che accompagna il tifoso moderno.
La tecnologia ha portato giustizia, è vero. Ha risolto situazioni limite, come i gol fantasma o i fuorigioco evidenti, errori che in passato hanno cambiato destini sportivi e carriere. Nessuno nega che in quei casi il supporto video rappresenti un passo avanti nella tutela della verità sportiva.
Ma il problema nasce quando la VAR diventa onnipresente, quando ogni rete viene scandagliata al microscopio, ogni piede misurato al millimetro, ogni tocco rianalizzato da dieci angolazioni. Così, il calcio perde la sua parte più umana — quella che lo rende imperfetto e, proprio per questo, irresistibilmente autentico.
La tecnologia, usata con saggezza, può essere alleata del gioco; abusata, diventa un filtro che raffredda le emozioni. Il tifoso non chiede infallibilità: chiede emozione. E l’emozione, nel calcio, nasce dall’imprevisto, dall’errore, dal momento in cui il pallone gonfia la rete e il tempo sembra fermarsi.
Se proprio si vuole intervenire per migliorare il calcio italiano, allora si guardi altrove: al tempo di gioco effettivo, quello sì che servirebbe. In Serie A si gioca poco, troppo poco. Tra perdite di tempo, simulazioni e interruzioni continue, il pallone resta in movimento meno di un’ora. E mentre la VAR toglie calore, il cronometro toglie sostanza.
La giustizia tecnologica ha reso il calcio più corretto, ma anche più freddo. Forse è il momento di trovare un equilibrio: meno centimetri, più cuore; meno linee tracciate al computer, più passione. Perché senza quella, il calcio resta solo un algoritmo che decide chi ha ragione — ma dimentica perché lo amiamo.
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