Lo sport e i suoi cicli. Calcio e tennis ribaltati in Italia, Swiatek e Kubica risollevano la Polonia
Nel giro di poche settimane, la Polonia dello sport ha festeggiato due “prime volte”. Domenica 15 giugno, Robert Kubica è diventato il primo polacco a vincere la 24 ore di Le Mans. Sabato 12 luglio, Iga Swiatek è divenuta la prima polacca a trionfare a Wimbledon. Entrambi i contesti rappresentano il massimo del prestigio nell’automobilismo tout-court e nel tennis.
Ovviamente, non c’è un legame diretto tra i due accadimenti. In comune hanno “solo” il fatto di appartenere alla sfera sportiva e di essere avvenuti in due luoghi dall’aura epica e dalla storia ricchissima. Due ambiti dove, però, nell’arco di un mese si è annotato “il primo vincitore polacco di sempre”. Ebbene, è questa la dinamica che genera la presente riflessione.
Gli ultimi Giochi olimpici sono stati molto deludenti per la Polonia. Il discorso vale sia nella declinazione estiva che in quella invernale. Partiamo proprio da quest’ultima. Pechino 2022 si è risolta con un’unica medaglia, di bronzo. Risultati alla mano, i Giochi dedicati alle discipline della neve e del ghiaccio tenutisi in Cina sono stati ampiamente i peggiori del XXI secolo.
Parigi 2024 non è andata molto meglio. Il bottino di 10 medaglie complessive (di cui 1 sola d’oro) è stato il più scarno da Melbourne 1956, quando però le Olimpiadi avevano una dimensione differente rispetto a quella attuale. Non solo, il piazzamento nel medagliere (42° posto) è stato il peggiore di sempre. A completare il quadro, il fatto che vi sia stato un autentico crollo dalla viceversa ottima edizione di Tokyo 2021.
Insomma, se guardato dalla prospettiva polacca, il panorama a Cinque cerchi si è fatto tetro. Magari, i giornalisti che seguono lo sport a tutto tondo da Varsavia o da Cracovia, avranno cominciato a parlare di “crisi” e a vaticinare scenari apocalittici per il prossimo futuro e per gli anni ’30 del XXI secolo. Forse avranno ragione, forse no, nessuno può saperlo.
Si sa, al contrario, come la Polonia, meno di un anno dopo quel momento sportivamente drammatico, si sia fregiata di due affermazioni inedite su palcoscenici più prestigiosi dei Giochi olimpici. È questa la lezione da tenere a mente. Sempre. Lo sport è fatto a cicli. Perché e percome può risultare misterioso, ma è un dato di fatto.
Si sale e si scende di competitività a seconda dei momenti con tempistiche talvolta lunghe. Essere in cima al mondo oggi non implica rimanervi per sempre. Trovare le macerie nel 2025 non presuppone che nel 2035, nello stesso luogo, vi possa essere un capolavoro architettonico. Nulla è acquisito a priori e niente è perduto a prescindere.
Un esempio concreto? Guardiamo all’Italia. Torniamo al 9 luglio 2006, giorno in cui in serata a Berlino si giocò la Finale dei Mondiali di calcio tra Italia e Francia, preceduta nel pomeriggio a Wimbledon dalla prima finale sull’erba tra Roger Federer e Rafael Nadal. Qual era lo stato del calcio e del tennis azzurro 19 anni fa? Qual è la situazione attuale dei due sport?
C’è bisogno di aggiungere altro? Riflessione terminata. Grazie Robert e grazie Iga per aver permesso di ricordare quanto, nello sport, possa cambiare sul medio-lungo periodo, senza necessariamente dover emettere “Giudizi universali”. Perché bisogna sempre tenere a mente che si diventa adulti “If you can meet with Triumph and Disaster. And treat those two impostors just the same”.