ESCLUSIVA PA – Virus, vaccini e verità: il professor Tarro racconta sfide e lezioni di ieri e di oggi
Intervista a cura di Claudio Donato
Giulio Tarro è uno dei virologi di fama internazionale. Con una carriera iniziata accanto ad Albert Sabin, padre del vaccino contro la poliomielite, Tarro ha dedicato decenni alla ricerca sulle malattie infettive.
In questa chiacchierata esclusiva, con il professor Tarro ripercorriamo le sfide della virologia, riflettiamo sulle lezioni del Covid-19 ma, soprattutto, viene lanciato un monito sull’etica della sanità. Un dialogo schietto, a tratti scomodo, per provare a guardare oltre lo slogan e tornare a mettere la scienza al centro.
Professore, quali sono oggi le sfide più importanti per la virologia?
“Guardi, quando ho iniziato, parliamo degli anni Cinquanta, la virologia era una branca minuscola. Ricordo che al secondo anno di medicina, nel 1958, il nostro libro di microbiologia passò da due a quaranta pagine grazie a un cambio di cattedra: già allora si capì che il campo stava crescendo. Negli anni Cinquanta e Sessanta i vaccini antivirali furono una vera svolta: pensi a Salk, con il vaccino iniettabile contro la poliomielite, e poi a Sabin, con la versione orale, somministrata a milioni di bambini dietro la Cortina di Ferro. Fu un progresso enorme”.
Secondo lei, oggi, c’è un virus emergente sottovalutato dalla comunità scientifica?
“In alcune regioni, come l’Africa, spesso emergono notizie di nuovi virus, ma non sempre ricevono l’attenzione dovuta o il supporto per studi approfonditi. Ci sono casi in cui l’OMS lancia allerte che poi non portano a ricerche adeguate. Eppure, la storia ci insegna che la conoscenza e la prevenzione si costruiscono così: basti pensare alla variolizzazione, praticata già nell’antico Egitto secoli prima di Cristo, e poi codificata da Jenner nel 1798”.
Qual è la sua opinione sull’evoluzione della ricerca scientifica in Italia?
“L’Italia ha una tradizione straordinaria di scienziati, da Leonardo Da Vinci in poi. Purtroppo, dopo l’Unità d’Italia, la scienza non è sempre stata sostenuta come avrebbe meritato: per lungo tempo la cultura classica ha dominato sulla ricerca sperimentale. Oggi, però, vedo segnali positivi. Negli anni Trenta la scuola romana fu all’avanguardia nella fisica nucleare; oggi, forse nella medicina, possiamo ritrovare lo stesso slancio”.
Secondo lei, qual è la prossima grande sfida per la salute globale?
“Sicuramente l’intelligenza artificiale. Può sembrare un argomento inflazionato, ma non lo è. Già due anni fa ho presentato una relazione sul ruolo dell’IA in medicina: è uno strumento potentissimo se usato bene, non per sostituire i medici, ma per affiancarli nelle diagnosi, nelle terapie personalizzate, nella ricerca. Potrà cambiare radicalmente l’approccio a molte patologie”.
Professore, cosa servirebbe secondo lei per migliorare la sanità pubblica in Italia?
“Sembra una domanda semplice, ma è complicatissima. In Italia c’è un intreccio poco etico tra pubblico e privato. Chi può permetterselo si rivolge al privato, chi non può resta impigliato in un sistema pubblico che non sempre garantisce qualità e tempi giusti. Occorrerebbe una riforma profonda, basata sul bene del paziente, non su interessi economici”.
A distanza di anni, qual è secondo lei la lezione più importante del Covid-19?
“La più grande lezione è che si è diffuso un terrorismo psicologico inutile. Fino a 23 anni fa i coronavirus erano associati solo a lievi raffreddori. Poi, nel 2002, arrivò la SARS a Hong Kong, la prima vera emergenza con 774 vittime su 8.000 casi: da lì capimmo che i coronavirus potevano fare sul serio. Dieci anni dopo fu la volta della MERS. Ma avremmo dovuto imparare di più da quelle esperienze, investire nella ricerca zoologica e sugli anticorpi, come fece l’Institut Pasteur, anziché farci trovare impreparati”.
E sui vaccini? C’è chi li difende e chi li accusa di aver causato danni. Dov’è la verità?
“La verità è scomoda. La campagna vaccinale è partita senza rispettare appieno i tempi di sperimentazione. Questo ha favorito colossi come Moderna, legati a grossi interessi americani. Poi ci sono aspetti poco trasparenti: basti pensare alla Presidente della Commissione Europea, sposata con un dirigente Pfizer… Sono conflitti di interesse che gettano ombre. L’Africa è sfuggita in parte al virus grazie a una forte immunità naturale, acquisita per esposizione precoce. In Europa, invece, si è premiato con un Nobel un vaccino ancora sperimentale: un paradosso se pensiamo che né Salk né Sabin ricevettero il Nobel”.
Ma i vaccini possono aver aggravato patologie esistenti?
“È possibile, soprattutto nelle fasce più anziane o con patologie immunitarie. In Inghilterra partirono con gli ottantenni e con malati cronici, facendo una sperimentazione mirata. In Italia, invece, la prima vaccinata fu una giovane dottoressa: una scelta discutibile. La campagna inglese terminò il 19 luglio 2021, proprio mentre l’Italia festeggiava la vittoria agli Europei. Due approcci diversi: da una parte rigore scientifico, dall’altra… lascio a voi le conclusioni”.
Professore, la ringrazio davvero per la disponibilità e la chiarezza. Spero di risentirla e rivederla presto a Napoli.
“È stato un piacere. Spero di aver parlato con chiarezza, sempre attenendomi ai dati scientifici”.
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