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Dal calcio sognato al realismo magico di Bontempelli: tre libri tra Italia e America

“Le loro bancarelle e carretti pieni di merci, i loro caffè sporchi e le loro pasticcerie, le loro osterie ancora più maleodoranti e le loro bancarelle di pane, coperte di pagnotte dalle forme e dimensioni numerose e incomparabili, affollavano i seminterrati di quelle che un tempo erano state eleganti residenze in pietra. I loro bambini sciamavano scalzi, a volte quasi nudi, per le strade. I lotti vuoti erano testimoni delle loro abitudini di costruire grotte; i moli dell’East River erano coperti delle loro bande irrequiete e agitate”.

Il fuoco nella carne, di Garibaldi M. Lapolla (traduzione di Erika Silvestri; Readerforblind), è un vivido spaccato della Harlem italiana e un’analisi dal gusto post-naturalista sul fin troppo decantato Sogno Americano. Un’opera che, pur essendo ambientata in un contesto storico e culturale specifico, affronta temi universali come il desiderio, la repressione, il peso del passato e la ricerca della propria identità. La storia inizia a Villetto, in Italia, dove la protagonista del libro, Agnese Filoppina, partorisce il figlio del prete Gelsomino Merlino e, pur subendo il disprezzo del paese, sposa il sempliciotto Michele Dantone e parte con il piccolo Giovanni per l’America. Agnese non ha mai amato il marito nullafacente e, ad Harlem, circondata da una moltitudine di immigrati, edifica un vero e proprio impero immobiliare con mezzi spesso discutibili, provocando in Michele un devastante senso di vergogna, mentre il giovane Giovanni prova a trascendere dal suo scialbo ambiente cercando rifugio nell’arte.

Il fuoco nella carne è un dramma familiare sospeso tra desiderio e repressione, che ha l’humus di un’opera zoliana miscelata con aspetti realistici alla Stephen Crane, dove i personaggi, principali e secondari, vengono analizzati in modo profondo ed evocativo, rendendoli memorabili e credibili.

“Si era seduto, ancora affannato, aveva aperto lo zaino, tirato fuori un bloc-notes e poi, senza curarsi del fatto che fossimo in prima fila, si era messo a disegnare. Ero rimasto di sasso: non avevo mai visto nessuno disegnare con tanta sicurezza. Così, alla fine dell’ora, avevamo fatto due chiacchiere e poi timidamente gli avevo chiesto: ‘Mi lasceresti il tuo disegno?’. E lui aveva detto una frase da film, che non dimenticherò mai: ‘Tieni. Ma avrò tempo di fartene tanti altri’. La promessa era stata mantenuta”.

Prendi i tuoi sogni e scappa, di Andrea Malabaila (Edizioni Spartaco), è un’immersione narrativa nell’adolescenza degli anni ’90. Come i campioni nostrani della spontaneità e dell’immediatezza (penso a Boccalone, di Enrico Palandri, o Mezza luce mezzo buio, quasi adulti, di Carlo Bertocchi), il libro si legge d’un fiato, ed è un esempio di narrativa sull’amicizia e sulla passione giovanile. La storia è ambientata nel maggio del 1996 e Jacopo, diciottenne in procinto di diplomarsi, attende l’incontro decisivo per la sua squadra del cuore, la Juventus, impegnata nella finale di Champions League. Il suo compagno di banco, Alberto, è convinto di riuscire a procurarsi due biglietti per il match che si svolgerà a Roma, ma i due amici abitano a Torino e per colmare la distanza tra la città piemontese e la capitale servono una macchina e, soprattutto, la patente. Tutto sembra andare per il verso giusto, nonostante l’apprensione famigliare, gli ingarbugliamenti con le ragazze e la maturità alle porte, fino a quando tutto gira, o potrebbe girare, come su una giostra, in questo caso quella della vita che va, e non lascia spazio per le pause d’evasione.

Scritto in modo asciutto, tagliente, senza inutili orpelli, Prendi i tuoi sogni e scappa è un romanzo onesto e ritmato, che si legge come una testimonianza di una fase della crescita. Fase a cui devono sottostare tutti quanti, a prescindere da epoche, latitudini e longitudini.

“In quella via di Milano, su un angolo che essa fa con una piazza (pure di Milano), c’era dunque uno spaccio di ‘Sale e Tabacchi’. Davanti a quello spaccio, alle 11 della mattina del 31 di aprile dell’anno quarto della seicentosettantaquattresima Olimpiade (con un facile calcolo i commentatori potranno scoprire la data ragguagliandola al calendario gregoriano) era radunata, e s’andava ingrossando, una folla di gente in tumulto. Donne stridevano, fanciulli schiamazzavano, uomini esclamavano: tutta la massa umana, sommovendosi e pigiandosi verso la vetrata spalancata, gridava, conclamava, urlava, tumultava, strepitava, chiassava, e nel Dizionario dei sinonimi del Tommaseo non ne trovo altri”.

La vita intensa, di Massimo Bontempelli (Utopia Editore), è un’opera che incarna perfettamente lo spirito del Realismo Magico di cui l’autore fu uno dei principali esponenti in Italia. Sullo sfondo della Milano degli anni Venti, l’autore lariano assembla un romanzo di romanzi, raccontando storie all’apparenza indipendenti dove la quotidianità si mescola all’elemento fantastico. Dalla pudica nello studio di un medico specializzato in malattie veneree all’uomo che vaga tra ritualità senza senso, dalla donna in cerca dell’amante del marito e scopre che sta, in fondo, cercando se stessa a strambi zii con ambizioni poetiche, i personaggi di Bontempelli, archetipali e fuori dal comune, si inseriscono in contesti dalla facciata ordinaria generando situazioni enigmatiche e paradossali.

Un’opera capace di sorprendere il lettore e di porgli interrogativi sulla sottile linea di demarcazione tra realtà e immaginazione, vita e mondo onirico, scritta con un linguaggio moderno e voluttuoso.

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