Lecce in lacrime, ma l’industria del calcio non si può fermare
“Nessun valore, nessun colore”: la maglietta bianca del Lecce, senza stemma, logo e colori sociali per protestare contro il mancato rinvio della partita con l’Atalanta a seguito della scomparsa del fisioterapista Graziano Fiorita, è un atto d’accusa trasmesso in mondovisione contro la disumanità della Lega e di questo calcio moderno, che passa sopra anche ai morti. Siamo tutti vicini a una squadra, una città intera, che si è stretta nel dolore. E quindi la protesta, silenziosa, civile, non può che essere rispettata. Però va anche contestualizzata.
Ancora una volta, la Serie A si è ritrovata schiava del suo calendario feroce, frutto del gigantismo del calcio moderno in cui tutti (Uefa, Fifa, anche le Leghe nazionali) vivono nell’illusione che si debba giocare sempre di più per guadagnare di più. Poi quando cause di forza maggiore impongono lo stop, i nodi vengono al pettine. Era già successo l’anno scorso, quando il malore in ritiro di Joe Barone costrinse al rinvio Atalanta-Fiorentina, diventata la “partita impossibile” perché a causa dei vari impegni nelle coppe non la si poteva recuperare in nessuna data.
Proprio quel precedente è stato tirato in ballo dalla società salentina, che ha lamentato nel comunicato la disparità di trattamento (“Emerge una gerarchia della morte in base al blasone della società colpita, o peggio ancora, in considerazione del ruolo rivestito da chi viene a mancare”), facendo riferimento al dirigente viola. A parte che allora il recupero fu giocato addirittura a giugno, a campionato finito, per fortuna con entrambe le squadre che avevano già consolidato la loro posizione e senza nulla in palio, altrimenti la regolarità del torneo sarebbe stata completamente alterata. Dunque quella gestione non va assolutamente portata ad esempio, anzi tutto il contrario, come un unicum da evitare. Ma poi ci sono altre differenze fra i due casi. Che non riguardano certo il prestigio del defunto.
Barone si sentì male domenica, a poche ore dal match: il rinvio fu obbligato e con la sosta delle nazionali alle porte non ci fu modo di tornare in campo subito. Fiorita è morto giovedì, nel ritiro del Lecce, e anche stavolta la Lega ovviamente e giustamente ha rinviato la gara in programma venerdì. Solo che in questo caso c’era il tempo per recuperarla subito, a distanza di 48 ore.
Il punto è: quanto dura il cordoglio? Un giorno, una settimana, una vita, non si può quantificare. È una questione di principio, probabilmente, di rispetto del dolore. Magari aspettare i funerali che però si terranno soltanto mercoledì 30. La domanda vera allora è un’altra: in caso di lutto un lavoratore comune può permettersi di sospendere tutte le attività per una settimana, o non sarà costretto comunque a tornare presto a lavoro, con la morte nel cuore? I calciatori quando fanno il loro mestiere non sono diversi. È vero che non avendo Lecce e Atalanta impegni in coppa stavolta ci sarebbe stata la possibilità di riprogrammare la gara in infrasettimanale, ma la Lega deve pur darsi delle regole, e in queste condizioni l’unica possibile è giocare sempre, quasi a qualsiasi costo. Il recupero fissato domenica, costringendo i salentini a una massacrante doppia trasferta, è stato forse cinico, ma non irriguardoso.
Anche perché c’è un altro punto che bisogna ricordare. Chi è che ha voluto questo calendario disumano, nel senso così letterale del termine? Chi oppone resistenza alla riduzione del campionato a 18 squadre, format che aumenterebbe la competitività, e libererebbe qualche data utile proprio per queste emergenze? Sono l’Inter, il Milan o la Juventus, i grandi club che non vedono l’ora di dare una sforbiciata al numero di club, i dirigenti che da anni provano a fare una riforma dei campionati? O piuttosto le piccole, proprio come il Lecce ma ovviamente non solo il Lecce, che con il torneo a 20 hanno più posti a disposizione in Serie A (e quindi più soldi), e così possono smantellare la squadra a gennaio e puntare comunque alla salvezza? Lecce piange il suo caro e il mondo del calcio rispetta il suo dolore. Ma il pallone è un’industria e non si può fermare. L’hanno deciso loro.
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