La doppia morale dello Stato biscazziere: tornano le sponsorizzazioni e “diritto all’azzardo”, ma il calciatore che scommette non va in Nazionale
“Via dalla nazionale chi ha scommesso”. Così d’imperio, senza distinzioni, diritto e forse nemmeno buon senso. Una sparata da bar, misto di qualunquismo e doppiopesismo, che però stavolta viene addirittura dal ministro dello Sport. Nelle parole di Abodi, che ha proposto di fatto di bandire dalla nazionale tutti i calciatori coinvolti nella recente inchiesta sulle scommesse clandestine (e ovviamente gli sportivi di altre discipline in ogni caso a venire), c’è più di un dettaglio che non torna.
Innanzitutto il meccanismo: come dovrebbe avvenire questo fantomatico bando? Probabilmente attraverso la famosa “carta dei doveri” per gli atleti, annunciata a ottobre 2023 quando esplose per la prima volta il caso scommesse: dopo un anno e mezzo non ce n’è traccia. Laddove venisse approvata per davvero, sarebbe un testo governativo (quindi politico) che mette bocca nelle nazionali. Davvero scivoloso, e non solo per la proverbiale autonomia dello sport da rispettare, ma anche perché quando si esce dall’ambito regolamentare e si entra nella sfera morale, i confini diventano molto labili. Di sicuro dalle carte dell’inchiesta emergono dettagli inquietanti, ad esempio sul comportamento di Tonali e soprattutto di Fagioli nei confronti di altri tesserati che potrebbero indurre un approfondimento sull’opportunità della convocazione al di là della squalifica (già scontata). Ma questa è una valutazione che spetta semmai al commissario tecnico, legata agli equilibri e alla serenità dello spogliatoio, non certo ad un decreto o un regolamento ministeriale.
E poi soprattutto: fuori chi? Chi ha scommesso sul calcio, certamente, lo prevedono già le regole, con squalifiche anche pesantissime. Infatti Tonali e Fagioli, i due protagonisti dell’ultimo scandalo, hanno pagato perdendo praticamente un’intera stagione a testa. Ma fuori anche gli altri? Cioè chi scommette magari su basket e tennis, pratica non vietata dal codice di giustizia sportiva? O chi si fa una partita a poker online o con gli amici? Dove sarebbe l’illecito? Quello sportivo non esiste. Quello penale (soltanto nel caso di puntate su siti illegali) è comunque una fattispecie minore, estinguibile con una piccola oblazione di 250 euro. Insomma, non è proprio possibile fare di tutta l’erba un fascio, equiparare chi magari si è venduto una partita con chi ha scommesso senza alterare i risultati (grave, ma già ben altra storia), fino ad arrivare a chi semplicemente ha il vizio del gioco.
Attenzione, qui nessuno vuole sminuire l’accaduto, che va assolutamente stigmatizzato. Ma di contestualizzarlo, per comprenderlo davvero. Il recente scandalo, impropriamente ribattezzato “calcioscommesse” per creare hype, in realtà col calcio c’entra poco, e più escono intercettazioni piùl’impressione iniziale si conferma: è una storia di vizi e dipendenze, di degrado del tessuto culturale che riguarda la nostra società, non il sistema calcio in quanto tale. I protagonisti, prima che calciatori, sono dei ragazzi, da punire se hanno sbagliato, ma anche da aiutare e guarire.
È proprio il presupposto del ragionamento del ministro ad essere sbagliato. “La maglia azzurra dev’essere espressione del valore tecnico, ma anche del comportamento morale”. E ancora: “I calciatori “sono modelli e diventano un problema per tutti. Se lo fanno loro, i tifosi e altri giovani li emulano”. A parte che una storia di redenzione, se reale e genuina, può essere un esempio potentissimo. E comunque il concetto del “fine pena mai” a cui allude questo bando a vita dalle nazionali è contrario ai principi di funzione rieducativa della pena previsti finanche dalla Costituzione. Viene quasi davvero da sorridere se poi si pensa che questo è lo stesso governo che si è appena impegnato a ripristinare gli sponsor (vietati) del betting. E Abodi lo stesso ministro che rivendicava il “diritto alla scommessa”. Quindi da una parte si punisce in maniera esemplare il calciatore colpevole di aver scommesso (e che in questa vicenda nella maggior parte dei casi non ha nemmeno commesso un illecito), dall’altra si sdogana la pubblicità al gioco su tutte le maglie e i campi del nostro calcio, perché fa comodo alla Serie A (che ha bisogno di soldi), al governo (che così fa un favore alla lobby del pallone), e pure allo Stato (che ricordiamo incassa il gettito fiscale di ogni puntata). Una bella contraddizione, esempio perfetto della doppia morale che spesso la politica applica quando le fa comodo. E infine, se volessimo allargare il discorso proprio alla politica, si potrebbe far notare che una bella “carta dei doveri” servirebbe proprio al parlamento o al governo, dove c’è una lunga sfilza di indagati e condannati che ricoprono incarichi pubblici pur non rappresentando proprio un esempio di moralità. Ma questa è un’altra storia ancora.
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