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Bove: "Futuro? Il mio obiettivo è tornare a giocare. Non è escluso che possa togliere il defibrillatore. De Rossi? Mi ha messaggiato"

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Edoardo Bove torna a parlare del malore che lo ha colpito sul campo dell'Artemio Franchi durante il match tra Fiorentina ed Inter . L'ex centrocampista della Roma si è confidato alla rivista statunitense Vanity Fair, raccontando il delicato momento della sua vita e spendendo anche qualche parola sul suo futuro.

Che ricordi ha di quel primo dicembre, di quel diciassettesimo minuto?

"Ricordo davvero poco, che ero in campo e che a un certo punto ha cominciato a girarmi la testa come quando ti alzi troppo velocemente dal letto, ho avvertito una sensazione di spossatezza… e basta. Non ricordo di essere caduto. Mi sono risvegliato in ospedale, toccandomi le gambe perché pensavo mi fosse successo qualcosa al ginocchio, un incidente. Per me, all’inizio, non è stato difficile come per i miei cari: io non capivo nemmeno la gravità della situazione, pensavo di essere semplicemente svenuto. Loro invece sapevano di avere corso il rischio perdere un figlio, un amico, o di potermi rivedere in condizioni… brutte".

E ricorda qualche sensazione dei minuti in cui ha perso coscienza?

"No, il nulla. Mi hanno raccontato, però, che quando ero in ambulanza ho fatto un po’ di casino: gridavo, mi dimenavo, dicevo cose a caso. Ho urlato “Fiorentina” fortissimo. Mi hanno dovuto legare".

Ha rivisto le immagini di quando si è sentito male?

"Subito, su Instagram. Preferisco prenderle di petto le situazioni, reagire immediatamente: se non posso farci niente, mi dico “andiamo avanti, vediamo cosa posso fare subito per stare meglio”. Capire le cause di quello che mi è successo è stato il passo successivo".

Che cosa ha pensato?

"Sincero? 'Ammazza che figura di… davanti al mondo intero. Ma non potevi scegliere un altro momento?!'. Era la partita delle 18, quella per il primo posto in classifica, la stavano guardando tutti. Detesto farmi vedere vulnerabile. Subito dopo, però, ho capito di essere stato molto, molto fortunato. Ho rischiato tanto, devo essere grato alla vita perché tutto è successo in un campo di calcio, col soccorso a portata di mano: in 13 minuti ero in ospedale. Non so come sarebbe andata, se fosse successo in un’altra circostanza. Dopo aver metabolizzato, mi sono sentito la persona più felice del mondo".

Ha capito da solo che sarebbe potuto morire?

"No, me l'hanno detto".

E qual è stata la sua reazione?

"Inizialmente mi hanno prospettato una situazione persino più grave di quanto realmente fosse. Ma lì per lì ero semplicemente contento di essere vivo. Era destino che andasse così, che mi salvassi. Non c'è altra spiegazione".

Si è chiesto «perché proprio a me»?

"Certo. E anche 'perché proprio nel momento migliore della mia carriera?'".

Che cosa si è risposto?

"Mi reputo una persona buona, che rispetta sempre tutti, non ho fatto male a nessuno. A quelle domande non ci sarà mai una risposta".

Ha passato 12 giorni in ospedale.

"Stavo bene, ero tranquillo. Ma vedevo la preoccupazione e la sofferenza negli occhi delle persone che mi vogliono bene. Sono un personaggio pubblico, sono abituato all’attenzione mediatica, anche alle notizie prive di ogni fondamento. Loro no. Hanno scritto qualsiasi cosa: che non sarei più potuto tornare a giocare, che mi sarei operato un certo tal giorno… Mia nonna mi ha chiesto: 'Ma come, ti operi domani e non mi dici niente?'".

Le ha fatto male?

"Sì, certi titoli, la ricerca dello scoop a tutti i costi. A un certo punto ho smesso di leggere i giornali".

Come è andata, quando è uscito dall’ospedale?

"All’inizio ho saputo reagire con forza. Ma poi è arrivata anche la tristezza: mi sono buttato giù, non volevo vedere nessuno, non volevo fare niente. Non avevo voglia".

Credo sia normale, ma lei come se lo spiega?

"Sono un po’ ossessionato dal controllo, una delle mie più grandi paure è perdere quello della situazione. Non ho potuto controllare ciò che mi è successo, e quindi, sotto sotto, già ero arrabbiato per quello. E poi, in questo momento, mi sento completamente in balia degli eventi, impotente".

Era arrabbiato con se stesso?

"Lo sono ancora, un po’. Mi viene da chiedere al mio cuore: 'Ma che scherzetto mi hai fatto, ma ce n'era proprio bisogno?'".

E che cosa le ha risposto il suo cuore?

"Sto ancora cercando la risposta, è un'analisi che sto facendo dentro di me. Dal punto di vista medico c’è certamente una causa scatenante, ma ancora la dobbiamo capire fino in fondo. Sto facendo dei controlli, e altri ne farò ancora. Su questo fronte sono positivo e tranquillo. Però…".

Quanto è importante il calcio nella sua vita?

"È uno dei miei più grandi amori. C’è quello per la mia famiglia, quello per la mia fidanzata e quello per il calcio".

Ora è completamente fermo: le manca?

"Tantissimo. Non solo quello della serie A, mi manca proprio giocare con gli amici. Non poter giocare è stato come perdere il mio amore più grande, posso spiegarglielo solo così. Adesso la sfida è provare a continuare a essere me stesso, sapendo però di avere perso una parte importante di me".

Ha ancora paura?

"Mi fa paura non avere, per la prima volta nella mia vita, una routine. Non ho uno schema da seguire, posso fare quello che voglio. Prima, mi svegliavo la mattina e sapevo che il mio obiettivo era allenarmi. Ora faccio 200mila cose in più, anche più importanti, ma arrivo a sera e mi chiedo: ma che ho fatto oggi? Non sono appagato allo stesso modo".

Non si starà rattristando?

"Ma no, zero. So che questo è un periodo, una condizione temporanea. Il mio obiettivo è tornare a giocare a giugno".

E come farà?

"Eh. Ho ancora qualche visita da fare, i medici devono incrociare tutti i dati".

E poi? Ora ha un defibrillatore sottocutaneo in grado di rilevare il battito cardiaco irregolare ed erogare uno shock salvavita per riportarne il ritmo alla normalità.

"Se si decide di mantenerlo, in Italia non potrò giocare: qui da noi la salute viene prima dell’individuo, e non sto dicendo che sia una regola sbagliata. Ma all'estero sì, praticamente ovunque. Gliel’ho detto, il calcio è troppo importante per me, non posso permettere a me stesso di mollare così. Io ci riprovo, senza ombra di dubbio. Vedrò anche come starò: se avrò paura, se non sarò tranquillo… allora cambierà tutto".

Sta pensando di giocare all’estero?

"Per come stanno le cose adesso, sì. Però non escludo affatto di poter togliere il defibrillatore: i medici mi stanno dicendo che c’è questa possibilità".

In che città non le dispiacerebbe trasferirsi?

"Mi è sempre piaciuta Londra. E poi il campionato inglese è molto competitivo".

Daniele De Rossi l’ha messaggiata?

"Eh sì, certo! Mi sarei arrabbiato se non l’avesse fatto".

E Totti?

"Lui no".

José Mourinho, suo grande sostenitore, l’ha definita un «cane malato». Voleva essere un complimento?

"Sì, anche se uscito male. So che mi vuole bene".

Ha anche detto: "Sembra un trentenne".

"Anche quello era un complimento. Non parlava mica del mio aspetto fisico".

Si sente più maturo rispetto ai suoi 22 anni?

"Sono sincero: no".

Allora Mourinho sbagliava.

"Lui parlava di certi miei comportamenti un po’ noiosi, un po’ pedanti".

Che cosa riesce a immaginare, oggi, per il suo futuro?

"È molto semplice, sono due gli scenari. Il primo: continuo a giocare a calcio. Il secondo: nel caso in cui non potessi più farlo, lotterei per per trovare un nuovo fuoco dentro di me, che mi possa rendere sereno. Quella è la cosa più importante. Il giorno in cui andando ad allenarmi non mi sentissi più felice, sarei il primo a dire 'ciao a tutti'".

Su quale di questi due scenari scommetterebbe?

"Ma non c’è dubbio, io giocherò a calcio".

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