LE FEE: “Al Rennes non sentivo l’affetto dei tifosi e ho deciso di andare via. A Roma ho sofferto il caldo e la preparazione fisica. Konè il mio migliore amico”
AS ROMA NEWS – Il centrocampista della Roma, Enzo Le Fée, si è messo a nudo in un’intervista rilasciata sul canale Youtube di “Free FOOT” nel corso della quale affronta diversi temi, dal suo passaggio dal Rennes alla Roma fino alla morte del padre. Ecco le sue parole:
Sulle motivazioni che lo hanno portato a lasciare il Rennes.
“Quest’estate in realtà non avevo realmente intenzione di cambiare squadra, stavo bene al Rennes, anche se ho avuto un po’ di difficoltà a sentirmi a casa. Questo perché già all’inizio della scorsa stagione, con Bruno Genesio, non è andata come previsto e perché sentivo di aver bisogno di un periodo di adattamento. Dopo il suo esonero, stavo iniziando a ritrovare il mio calcio integrandomi bene ed è arrivato Julien Stéphan. Con lui ho iniziato a giocare bene ma, purtroppo, in Coppa di Francia mi sono fatto male e questo mi ha frenato. Sono rientrato verso fine stagione, ma senza avere la sensazione di sentirmi a casa e senza ricevere l’affetto dei tifosi e questo mi ha infastidito. Così quest’estate mi sono preso la briga di lasciare il Rennes. Abbiamo quindi ricevuto una chiamata da Florent Ghisolfi che ha avuto la possibilità di portarmi alla Roma”.
Sul suo arrivo a Roma.
“Quando sono entrato nello spogliatoio non so se mi conoscevano, penso di no, ma si sono comportati come se ci conoscessimo da sempre e questo aiuta a metterti a tuo agio. La prima settimana è andata tutto bene, ma nelle successive ho fatto fatica a causa del caldo, sono una persona a cui piace correre, ma la preparazione atletica in Italia è stata difficile. Ciò che più mi ha impressionato è stato il numero di persone che lavorano dentro a questo club, ci sono più persone all’interno dello staff che giocatori e questo mi ha scioccato. Anche le strutture di allenamento sono incredibili, anche se la parte migliore è il pubblico. A Rennes o al Lorient solo qualche persona mi riconosceva, qua quasi tutti. Vivono intensamente il club e questo ti fa capire il salto in avanti”.
La prima volta all’Olimpico.
“La prima volta allo stadio Olimpico sfortunatamente non sono partito titolare. Appena siamo entrati in campo e siamo passati davanti ai tifosi ho avuto i brividi, hai l’impressione di entrare dentro ad un’arena. Poi sono entrato in campo, ho giocato 15 minuti e mi sono fatto male”.
Il rapporto con Manu Koné.
“Su Twitter avevo visto qualche notizia sulla possibilità che potesse venire alla Roma e gli ho scritto per sapere se fosse vero. Lui per tutto il pomeriggio non mi ha risposto e ho dovuto scoprire dall’account Instagram della Roma la sua ufficialità. Poi l’ho chiamato e abbiamo parlato. Lui si è adattato subito grazie alla sua forte personalità sul campo. Fuori dal campo, invece, è il mio migliore amico. È un bravissimo ragazzo e abita a due minuti a piedi da casa mia. Con Ndicka componiamo un bel trio”.
Sul padre.
“Il suo sogno era quello di diventare un calciatore professionista. Sfortunatamente, questo è deragliato un po’ presto e poi sono venuto al mondo. Penso che mi abbia regalato una maglia appena nato, Mi ha mandato ad allenarmi quando sapevo a malapena camminare. Ha fatto di tutto per farmi entrare in quel mondo. Penso che non abbia avuto difficoltà a farmi entrare perché era anche qualcosa di innato in me. E ricordo, abbastanza giovane comunque, di aver avuto la maturità per dirglielo che ‘dove per lui il treno deragliava, per me continuava e alla fine sono riuscito a fare la scalata per poter entrare nel mondo professionale e nel potere fiorire in questo mondo”.
In carcere parlava spesso di me.
“Ogni volta che lo andavo a trovare in carcere c’erano due o tre suoi amici che passavano dietro dicendo ‘il futuro, il futuro’. Quindi sapevo già che dentro parlava molto di me. E poi sono riuscito ad arrivare nel mondo dei professionisti così lui ha potuto vedere le partite dal vivo e poi ha assunto una proporzione ancora maggiore perché tutto il carcere ha iniziato a guardare la partita. Appena sono arrivato, è venuto a trovarmi e mi ha parlato, non ero necessariamente visto come una star, ma ero visto più come il figlio di Jérémy, per esempio”.
Sulla sua morte.
“Si è suicidato per non pagare questi ragazzi perché non poteva e non voleva chiedermelo. Per me se ha fatto così ora si sente meglio lassù e andrò a ridere con lui più tardi, quando lo raggiungerò”.
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