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Opera in tre Atti | I movimenti di Lazio-Empoli

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Andante 

Era ferragosto quando il nuovo Empoli di Roberto D’Aversa fece il suo debutto ufficiale in Coppa Italia contro il Catanzaro. Da allora, sono trascorsi quasi due mesi senza conoscere sconfitte: quattro vittorie e quattro pareggi in 8 gare ufficiali. Un lungo periodo d’oro di imbattibilità materializzatosi non per grazia ricevuta ma costruito attraverso una qualità di gioco che non si vedeva da tempo, una precisa identità tattica e una sorprendente coesione del gruppo. Nel momento in cui, all’Olimpico contro la Lazio, è caduta l’imbattibilità degli azzurri, agli sconfitti pare opportuno concedere, non sono gli onori delle armi, ma anche l’ennesimo plauso per aver fatto sudare le cosiddette sette camicie a un avversario in ottimo stato di forma. Ai biancocelesti di Baroni è servita una prodezza dello stagionato Pedro per scardinare, a cinque minuti dal termine, quella che, a oggi, è ancora la seconda miglior difesa del torneo dopo la Juventus. Tutte le sconfitte non sono piacevoli ma qualcuna è meno dolorosa delle altre. L’Empoli è uscito sconfitto nel risultato ma ancora una volta vincente nell’atteggiamento.

Allegro

Resta semmai un pizzico di rammarico per aver subito le due reti laziali in due momenti particolari del match. Il pari di Zaccagni, arrivato oltre il terzo minuto di recupero del primo tempo concesso da un frastornato direttore di gara, e il gol di Pedro realizzato quando Ismajli e compagni sembravano in pieno controllo e le energie della Lazio stavano a poco a poco affievolendosi. Cose che capitano. Della sfida dell’Olimpico ci teniamo stretti la prestazione del portiere colombiano Vasquez, ennesima felice intuizione di una società in grado di estrarre dal cilindro le scommesse più coraggiose anche nei ruoli più delicati. Lo spessore agonistico e la sicurezza di un Ismajli sempre più leader incontrastato della difesa. La tenuta mentale e la maturità ormai acquisita di un Viti che riesce a disimpegnarsi anche di fronte ai clienti più scomodi. E infine la costante crescita di Tino Anjorin. Qualità, visione di gioco e duttilità tattica. L’anglo-nigeriano ex Chelsea, sebbene non ancora al meglio sul piano fisico, si pone prepotentemente sul solco tracciato in passato da talenti come Krunic e Bennacer, esplosi in azzurro dopo essere arrivati da perfetti sconosciuti.

Moderato

Capitolo attaccanti. Rispetto a un anno fa, la netta sensazione è che quello offensivo sia il reparto passato attraverso il restyling più importante in senso qualitativo. Al netto di una serie di prestazioni di grande compattezza, solidità e organizzazione di gioco, l’Empoli non ha prodotto grandi numeri sul piano realizzativo. È andato a segno in 6 circostanze su 7 gare. Curioso che tutti i gol siano arrivati lontano dal Castellani mentre, di fronte al pubblico amico, gli azzurri, in 270 minuti, non hanno ancora violato la porta avversaria. L’impressione è quella di non aver sfruttato a pieno il potenziale a disposizione. Se Sebastiano Esposito ha avuto un ottimo approccio alla sua prima vera stagione in serie A, Lorenzo Colombo non è ancora riuscito pienamente a esprimere le sue indiscusse qualità tecniche e fisiche. Dopo due stagioni altanelanti vissute a Lecce e Monza, il centravanti scuola Milan cerca a Empoli la sua consacrazione. È pur sempre un ragazzo di 22 anni che merita fiducia e continuità. Non è sembrata un’idea particolarmente brillante quella di lanciarlo all’Olimpico soltanto all’83° in luogo di un opaco Solbakken. Ekong deve crescere con serenità sgrezzando il suo talento per metterlo a disposizione della squadra, mentre non è ancora ben definito il ruolo di Pellegri, idea last minute che sinora ha avuto a disposizione modesti scampoli di match. Le gerarchie lì davanti sono fluide ma mister D’Aversa è chiamato a gestire al meglio un materiale sulla carta davvero interessante.

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