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I “problemi” di Apple: dallo store alla schermata di ricerca su Safari

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Apple ha due problemi. Almeno se ci limitiamo a quelli legati alle presunte violazioni del Digital Markets Act che sono state evidenziate dalla Commissione Europea e che verranno indagate nei prossimi mesi per accertare eventuali responsabilità. I commissari Vestager e Breton che, nei giorni scorsi, hanno annunciato delle indagini nei confronti dei colossi di Big Tech (tra cui Google Alphabet, Amazon e Meta) hanno sottolineato quali comportamenti di Apple sono in potenziale violazione rispetto al Digital Markets Act.

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Apple e DMA, le questioni più scottanti

La prima questione, che è simile a una delle eccezioni sollevate anche per Google, riguarda gli app store dell’azienda di Cupertino. L’articolo 5 del DMA prevede, tra le altre cose, che il gatekeeper (ovvero una delle grandi aziende del digitale che vengono previste dal regolamento europeo sulla concorrenza) «consente agli utenti commerciali di offrire gli stessi prodotti o servizi agli utenti finali attraverso servizi di intermediazione online di terzi a prezzi o condizioni diverse da quelle offerte attraverso i servizi di intermediazione online del gatekeeper». Questo significa che, sull’Apple Store, non può essere solo Cupertino a dettare le regole del gioco, ma che la situazione debba essere aperta anche ad altri servizi di intermediazione, che possono rivendere i prodotti a prezzi più alti o – soprattutto – più bassi rispetto a quelli previsti dall’Apple Store.

Inoltre, sempre nell’articolo quinto del DMA, si legge che il gatekeeper «consente agli utenti commerciali di promuovere offerte agli utenti finali acquisiti attraverso il servizio di piattaforma di base e di stipulare contratti con tali utenti finali, a prescindere dal fatto che a tale fine essi si avvalgano o no dei servizi di piattaforma di base del gatekeeper, e consente agli utenti finali di accedere a contenuti, abbonamenti, componenti o altri elementi e di utilizzarli attraverso i servizi di piattaforma di base del gatekeeper avvalendosi dell’applicazione software di un utente commerciale, se gli utenti finali hanno acquistato tali elementi dall’utente commerciale in questione senza utilizzare i servizi di piattaforma di base del gatekeeper».

La questione Safari, oltre l’app store

Poi, c’è la questione Safari. I grandi colossi dei sistemi operativi, sui propri device, prediligono notoriamente le versioni proprietarie dei motori di ricerca. Vale per Android, dove è molto più semplice navigare su internet attraverso Chrome; vale per iOS, dove la porta d’accesso al web, il più delle volte, è rappresentata da Safari. La Commissione, infatti, ha evidenziato che l’azienda di Cupertino debba consentire agli utenti finali di disinstallare facilmente qualsiasi applicazione software su iOS, modificare facilmente le impostazioni predefinite su iOS e fornire agli utenti schermate di scelta che devono consentire loro in modo efficace e semplice di selezionare un servizio predefinito alternativo, come un browser o un motore di ricerca sui propri iPhone.

Il timore, infatti, è che – venendo orientato nella scelta, a partire da quella legata al motore di ricerca – Apple possa orientare i suoi utenti nell’impiegare dei servizi proprietari, limitando la possibilità dell’utente di servirsi di applicazioni analoghe di terze parti. Con un relativo danno al sistema della concorrenza.

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