Forse da grande Teresa si ricorderà di quando, alla Bebe Vio Academy, ha steso a colpi di fioretto l'ala grande dell'Olimpia Milano nonché della nazionale italiana di pallacanestro Giampaolo Ricci. Lei ha «7 anni e mezzo quasi 8», dice, e ha scoperto che la scherma è davvero uno sport divertente a cui si è appassionata fin dai primi scambi.
E vale anche per i ragazzi che hanno lottato al rimbalzo con gli altri due giocatori della squadra meneghina Paul Biligha e Davide Alviti, (avendo spesso la meglio) in un match di basket in carrozzina. Perché nello sport, a prescindere dal livello, dalla disciplina e dalla categoria, quello che si vuole ottenere è la vittoria e quell’adrenalina di tagliare per primi un traguardo.
Allo slogan «lo sport è per tutti», la Bebe Vio Academy, la cui organizzazione è di responsabilità dell’associazione art4sport Onlus, ha ripreso la sua attività con i ragazzi neo iscritti a marzo. All’interno del Centro Sportivo Iseo di Milano la schermitrice paralimpica e Nike hanno inaugurato, nell'ottobre 2021, la prima accademia italiana a favore dello sport inclusivo con l’obiettivo di coinvolgere alla pratica dell’attività fisica ragazzi con e senza disabilità attraverso un programma pluriennale di attività multi-sportive rivolto a bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni.
Obiettivo: permettere a ragazzi e bambini con e senza disabilità di integrarsi nella società attraverso la pratica di cinque diverse discipline: calcio, atletica, basket in carrozzina, sitting volley e scherma in carrozzina. In occasione dell’incontro di marzo, i tre cestisti, due metri di uomo ciascuno, si sono messi in gioco provando in prima persona le varie attività.
Nel basket paralimpico, tranne per qualche piccola necessaria regola aggiuntiva, lo schema di gioco è il medesimo della pallacanestro. Anche le misure del campo e l’altezza dei canestri. Eppure, per un giocatore azzurro come Pippo Ricci, provare a tirare seduto su una carrozzina è come scrivere con la mano sinistra: lo sai fare, in linea di principio, ma devi allenarti da zero. «Ho provato un’esperienza nuova, mi piace mettermi in gioco. Ammiro davvero questi ragazzi che non si tirano indietro di fronte alle sfide e imparano ad affrontarle, ognuno con i propri limiti».
«Nonostante il basket sia il mio sport, per guidare la carrozzina ho dovuto mettere in campo nuove sensazioni, come ricordarsi che per avanzare devi usare le mani per spingere sulle ruote e non le gambe. Non è scontato! La difesa è difficilissima e, se da una parte è sempre bello vedere il sorriso di chi fa canestro, lo è altrettanto farsi rubare la palla. Non ci sono abituato, almeno non così facilmente!».
Mai, nemmeno una volta, i ragazzi hanno abbassato la guardia, tenendo sempre alto lo spirito agonistico e sportivo per arrivare all’obiettivo finale: la vittoria. «Ovviamente i ragazzi vengono qui per divertirsi, ma quando giocano vogliano vincere ed è bello vederli competere, buttarsi sul pallone», continua Ricci. «Mi fa capire che di fronte alle sfide siamo tutti uguali. Come Teresa, la bambina di “quasi 8 anni” che ha fatto di tutto per vincere e battermi nella scherma».
Quello che ha colpito il cestista romano è la totale mancanza di paura dei ragazzi che lo hanno sfidato nel suo sport. «Ho visto parecchie volte il basket in carrozzina e la cosa che mi piace di più è l’agonismo, la competizione, lo scontrarsi senza aver paura di niente; io andavo avanti e avevo paura che mi si incastrassero le mani, invece i ragazzi sembravano non curarsene. Questo insegna qualcosa anche a noi che spesso, per paura di un infortunio, non ci buttiamo sui palloni dimenticandoci della lotta, che è la vera essenza della sfida».
Dello stesso parere anche Davide Alviti: «Sono piacevolmente sorpreso, è la mia prima esperienza a contatto diretto con la Bebe Vio Academy e con questi ragazzi: ne sono rimasto entusiasta. Se dovessi indicare la cosa che ho trovato più difficile del basket in carrozzina direi che è stato capire come girarsi e come difendere, mentre più naturale è stato il tiro anche se, rinunciando alla spinta che arriva dalle gambe, devi ricalibrare la forza delle tue braccia».
Ma quella della BVA è una mission che vuole rendere lo sport un qualcosa per tutti e che si basa non sui limiti, ma piuttosto sui punti di forza. Provando diverse discipline, infatti, è possibile trovare la propria strada, come una sorta di orientamento sportivo passando da un’attività a un’altra esplorandone, attraverso allenatori qualificati, i diversi aspetti.
All’ala della nazionale italiana abbiamo chiesto lo sforzo di immaginarsi genitore e di pensare se farebbe provare a suo figlio, sia lui con o senza disabilità, un’esperienza del genere. «Assolutamente sì! Si tratta di un progetto pluriennale e comprende più discipline, per indirizzare il bambino verso l’attività migliore per lui. Vi porto il mio esempio: io ho iniziato giocando a calcio e seguendo i corsi in piscina; poi al terzo anno di nuoto mio padre mi ha portato su un campo di basket. Voleva che io trovassi la mia passione provando le diverse possibilità. Penso che questo sia l’importante: dobbiamo adottare un modello in cui i giovani possono provare più sport, aprendo loro la mente fin da piccoli per far sì che tutti possano raggiungere i propri sogni».
A essere ripreso sulle posizione dei piedi nella scherma è stato Paul Biligha: «Come allenatori questi ragazzi sono davvero tosti, precisi e poco accondiscendenti! Giocando e muovendomi con loro mi sono accorto di come siano in grado di superare degli ostacoli che a noi sembrano insormontabili. Vedere la loro gioia nel fare degli sport che noi facciamo ad alto livello è incredibile e sono convinto che questo possa avere un riscontro fondamentale a livello caratteriale: lo sport ti insegna a credere in te stesso, ti fa capire come, attraverso il lavoro costante, si possa arrivare a un obiettivo».
«Se per me fare un canestro è un gesto semplice, per loro è come conquistare ogni volta una piccola montagna che però, messa insieme alle altre, permette di conquistare il mondo», continua Paul. «Vederli far fronte a difficoltà ci rimette in questione e ci permette di capire che la prossima volta, una sconfitta, potremo affrontarla in modo differente».
La FIP ha lanciato il baskin, uno sport pensato per permettere a giovani normodotati e giovani disabili di giocare nella stessa squadra. Inoltre, permette la partecipazione attiva di giocatori con qualsiasi tipo di disabilità (fisica e/o mentale) che consenta il tiro in un canestro. Si mette così in discussione la rigida struttura degli sport ufficiali e questa proposta, effettuata nella scuola, diventa un laboratorio di società.
«Siamo una delle Federazione più avanti, grazie al Baskin, lo Special Olympics per la disabilità intellettiva», conclude Biligha. «Anche marchi come Nike stanno dimostrando la voglia di partecipare e portare atleti a fare esperienze di questo genere. Queste attività includono e aiutano a guardare oltre e a conoscere cose che fino a quel momento non avevi mai sperimentato».