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Bebe Vio: "La mia vita in quarantena e in Fase due tra impegno e nuove sfide"

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VENEZIA. Il mondo di Bebe Vio, virus o non virus, è in continuo movimento perché qui parliamo di una campionessa con la “C” maiuscola, in pedana dove ha fatto incetta di titoli e medaglie, ma anche fuori dai palazzetti dove ha firmato le sue grandi imprese, impegnandosi nel sociale e scrivendo libri. Vive e studia a Roma, dov'è tornata dopo la quarantena trascorsa a casa. Nella capitale si allena, anche se adesso ha dovuto rivedere tutto il programma di avvicinamento alle Paralimpiadi di Tokyo, slittate al 2021 per il Covid-19.
 
"Le cicatrici ci rendono speciali": lo spot dei campioni italiani per ripartirefoto da Quotidiani localiQuotidiani locali
 
La schermitrice veneziana fu colpita a 11 anni da meningite, subendo l'amputazione di gambe e avambracci. La sua esistenza pareva compromessa, invece grazie alla straordinaria forza di volontà, all'aiuto degli allenatori di sempre e all'immenso amore di mamma Teresa e papà Ruggero è tornata all'agonismo con il ricorso ad una protesi speciale, che le consente di tenere il fioretto come se fosse la sua mano naturale. Ed eccola a tutto tondo, pronta a parlare di sé e del futuro che l'attende, in un'intervista esclusiva concessa ai nostri giornali.
 
Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio, così sei registrata all'anagrafe. Perché quattro nomi, che hanno combinato i tuoi genitori quella volta?
 
«Volevano darmi un nome importante! Scherzo... Allora: Beatrice piaceva molto ai miei ed è il mio primo nome, Maria Adelaide è il nome della nonna materna, mentre Marzia era il nome della nonna paterna. Per concludere la carrellata, invece, Bebe è opera di mio fratello Nicolò: quando sono nata, lui era piccolo e non riusciva a dire bene Beatrice. Da lì è uscito Bebe, che poi è rimasto il nome con cui tutti mi conoscono e mi chiamano (a parte mia mamma quando si arrabbia, che utilizza Beatrice Maria per intero...)».
 
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Hai appena compiuto 23 anni, sei un'icona dello sport paralimpico mondiale, non solo italiano, e sei ancora giovanissima. Sino a quando ti piacerebbe restare ambasciatrice dello sport e della scherma?
 
«Non amo fissare delle scadenze, perché il bello è proprio stare a vedere cosa può succedere in futuro e come possono evolversi le cose. Ho in programma di gareggiare sicuramente almeno fino alle Paralimpiadi di Parigi 2024 e poi vedremo cosa fare con Los Angeles 2028. Una volta finita la carriera da atleta, farò la dirigente sportiva e resterò nel mondo dello sport paralimpico perché c’è tantissimo da fare per la sua crescita ed è ciò che mi interessa».
 
Bebe Vio trionfa in Coppa del Mondo e dedica la vittoria a Manuel Bortuzzofoto da Quotidiani localiQuotidiani locali
 
A 5 anni e mezzo - riferiscono le cronache - risale il tuo primo contatto con il fioretto. Prima della malattia eri convinta di poter diventare una schermitrice così forte, anche da normodotata?
 
«Diciamo che ero ancora piccola per pensare concretamente al mio futuro, ma quello che è certo è che ero innamorata della scherma già allora, prima della malattia, ero tra le prime del ranking nazionale. Comunque, fin da piccola ho sognato l’Olimpiade perché mi pongo sempre obiettivi importanti, per i quali faccio programmi a medio, lungo e anche lunghissimo termine. La malattia non ha cambiato niente, il mio sogno è rimasto e, da quel momento in poi, ho iniziato a sognare le Paralimpiadi».
 
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Essere stata scelta come tedofora ai Giochi di Londra e poi come portabandiera azzurra a Rio 2016 che cosa ha suscitato in te?
 
«E’ sempre una grande emozione poter rappresentare il proprio Paese e in questo senso la scherma mi ha dato la possibilità di vivere esperienze bellissime. Non ho potuto partecipare come atleta alle Paralimpiadi di Londra 2012 perché ero ancora troppo giovane, ma ho avuto la fortuna di poter fare la tedofora in rappresentanza dei “futuri atleti paralimpici”. Sono riuscita ad entrare nel vivo dei Giochi Paralimpici solo a Rio 2016. Alla mia prima Paralimpiade ho conquistato un oro individuale e un incredibile bronzo a squadre! Fare da portabandiera alla cerimonia di chiusura in un Maracanã stracolmo di persone è stata la ciliegina sulla torta e una delle emozioni che non dimenticherò mai».
 
Universiade a Napoli, Bebe Vio consegna il tricolore e Insigne accende il braciere con un calcio di fuocofoto da Quotidiani localiQuotidiani locali
 
Doppiatrice nel film gli Incredibili 2 e una Barbie in esemplare unico dedicata appositamente a te. Bisogna dire che le sorprese non mancano mai...
 
«Mi piace mettermi in gioco, amo le sfide, sperimentare nuove avventure e fare cose mai fatte prima. E’ proprio questo che mi spinge a provare qualsiasi cosa, ad imbattermi in nuovi progetti e a guardare avanti, anche perché c’è sempre qualcosa da imparare».
 
Tornando allo sport, il rinvio delle Paralimpiadi all'anno prossimo che riflessi avrà sui programmi e sulla preparazione personali?
 
«Abbiamo già riprogrammato tutta la mia preparazione in base alle nuove date che sono state fissate (24 agosto-5 settembre 2021, ndr). Per le Federazioni sarà difficile ridefinire tutte le qualifiche e le competizioni nazionali e internazionali ma alla fine, secondo me, questa è stata la decisione migliore che potesse essere presa. Un evento del genere porta con sé il coinvolgimento di moltissime realtà che dovranno riorganizzarsi, eppure la cosa più importante e sulla quale non si può assolutamente transigere è la salvaguardia della salute e della sicurezza delle persone».
 
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Il palmares di cui ti fregi, fra l'oro olimpico di Rio e i titoli mondiali ed europei conquistati in serie, ti soddisfa in pieno o manca ancora qualcosa? Qual è la vittoria a cui sei più legata?
 
«Queste vittorie che sono state citate riguardano la specialità del fioretto individuale, ma la medaglia a cui sono più legata è sicuramente il bronzo conquistato insieme alle mie compagne Andrea e Loredana alle Paralimpiadi di Rio 2016, una medaglia sudatissima che ci ha dato una grande soddisfazione. Ora, però, vogliamo migliorarci e puntiamo all’oro a squadre a Tokyo. Poi, per trovare nuovi stimoli e sfide da affrontare, da neanche un anno ho iniziato anche a cimentarmi in una nuova specialità: la sciabola. Rispetto al fioretto, con il quale colpisci di punta, con la sciabola si colpisce soprattutto di taglio e la maggior parte dei colpi si portano roteando il polso… Che però io non ho! Ed è per questo che molti me l'hanno sconsigliato. Della serie “è impossibile per te e non vincerai mai niente”. Perfetto, ora ho un altro importante obiettivo: arrivare a Tokyo anche in questa specialità e fare una bella gara».
 
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Il tuo impegno sul fronte della solidarietà e della beneficenza è totale. Dove sei stata gratificata maggiormente?
 
«Il mio impegno principale nel campo della solidarietà è legato ad art4sport, un’Associazione che crede nello sport come terapia per bambini e ragazzi portatori di protesi di arto. Questa Onlus è stata fondata nel 2009, dopo la mia malattia, quando papà e mamma decisero di fare qualcosa per me ma anche per tutti quei bambini e ragazzi che si trovavano nella mia stessa situazione. Studiamo, progettiamo e finanziamo le costose protesi sportive e le varie attrezzature necessarie per la pratica dello sport paralimpico. Negli anni siamo cresciuti come Associazione (nell’art4sport team ora siamo 35 tra bambini e ragazzi) e insieme sono cresciuti anche i nostri obiettivi. Adesso puntiamo alla promozione dello sport paralimpico in generale».
 
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Il tuo urlo in pedana, quando gareggi, è un'immagine-simbolo della straordinaria forza d'animo e della carica agonistica che ti sostengono. Quando ti riguardi, sei critica con te stessa o ti piaci proprio così?
 
«Sono molto critica con me stessa, cerco sempre di studiare gli errori fatti in pedana per migliorarmi e arrivare ancora più preparata alla competizione successiva. Da questo punto di vista ho un team fantastico alle spalle, che con me studia ogni singola gara e insieme cerchiamo di migliorare tutti gli errori commessi».
 
Cosa c'è nella vita di Bebe adesso? Quale sfida?
 
«Non le chiamerei proprio sfide, ma obiettivi. In questo momento sto frequentando un corso in Comunicazione all’Università americana John Cabot di Roma e vorrei riuscire a laurearmi presto. Successivamente mi piacerebbe trasferirmi negli Stati Uniti per seguire un Master».
 
L'emergenza da Coronavirus cambierà, secondo te, anche lo sport, dopo aver stravolto le nostre vite?
 
«Sicuramente quest’emergenza sanitaria ci ha insegnato molto. Abbiamo imparato a rallentare, abbiamo capito che si può essere vicini anche se lontani e che si possono fare un sacco di cose restando a casa. Ad esempio, a causa della chiusura delle palestre, tutti abbiamo iniziato ad allenarci in casa: chi in camera, chi in salotto, chi in giardino... Con gli strumenti che avevamo a disposizione ci siamo reinventati degli allenamenti in versione casalinga e questo è stato uno degli elementi che ha accomunato tutti gli sportivi, professionisti e non, nei mesi della quarantena».
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