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Novantesimo compleanno del Carissimo Maestro Paolo Cazzato: «La scherma, arte e scienza»

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Nel gioire per il nostro amato veterano dei Maestri d’Arme, lungi dal poter aggiungere alcunché rispetto all’Amico di sempre ed al noto personaggio, scegliamo di porre all’attenzione un esaustivo articolo di Paola Moscardino del giugno 2014, pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno: “Il maestro Paolo Cazzato saluta con un perfetto baciamano. Perché c’è un portamento, uno stile che per uno schermidore diventano carne e sangue, e allora non c’è più distinzione tra la vita e la pedana, tra lo sport e quello che fai di solito. Classe 1928, pugliese di Alessano, paese giù in fondo, verso la punta di Santa Maria di Leuca, il maestro tira di scherma da più di settant’anni. «Ne avevo quattordici quando ho impugnato la sciabola la prima volta. Da allora non ho più smesso», dice. Superfluo sottolineare la tecnica, la precisione delle sue stoccate, sia che impugni il fioretto, la sciabola o la spada. E la dedizione – come pure la severità – con cui istruisce gli allievi dell’Accademia di Scherma Lecce, presieduta da suo figlio, il maestro Roberto Cazzato, perché certi sport diventano passioni di famiglia. Una scuola prestigiosa, che ha formato campioni e continua a formarne. Il maestro Paolo segue tutte le gare, anche in trasferta è sempre lì, a bordo pedana, a consigliare, incitare, spronare. «Il mio segreto di giovinezza?». Sorride. «Mi alleno tutti i giorni, in sala o all’aperto, anche in inverno. E poi non faccio in tempo a seguire una gara, che già programmo quella successiva». L’impegno insomma, fisico e spirituale, che è il miglior antirughe in assoluto. Da D’Artagnan, abilissimo spadaccino, ai campioni di sciabola contemporanei, Aldo Montano in testa, la seduzione della scherma è intatta. Qual è il suo fascino? «È il suo essere scienza e arte insieme. Scienza perché ogni azione è determinata da logica pura, nulla è affidato al caso. Arte perché richiede guizzo, estro, creatività. E noi italiani, in questo siamo formidabili». Oltre all’armonia di scienza e tecnica, ai suoi allievi insegna a stare al mondo. Perché la scherma alleva uomini d’onore, prima ancora che fiorettisti. «La cosa più importante è il rispetto: per il proprio maestro, per i colleghi e per l’avversario. Il codice cavalleresco è l’elemento fondante: se non viene rispettato, non c’è più gioco», dice. È uno spettacolo, durante le sue lezioni, vedere gli schermidori in erba – ha allievi anche piccoli, all’Accademia ci s’iscrive a partire dai 4 anni – che in pedana, prima del combattimento, salutano l’avversario e il pubblico portando l’impugnatura del fioretto alla bocca come per baciarlo. E poi la stretta di mano finale, immancabile. Fair play, stile, eleganza. E un concetto di sconfitta che, sportivi o no, tutti dovremmo tenere a mente: «Se perdi, è solo per ricaricarti. Ti fermi un attimo, riprendi e sei più forte di prima». Per quarantatré anni, il maestro Paolo è stato sottufficiale dell’Aeronautica militare: «Ho prestato servizio in quasi tutti gli aeroporti militari, da Cagliari in su. Ogni volta che arrivavo in una nuova sede, andavo a cercare una sala di scherma. A vent’anni sono diventato sciabolatore della squadra dell’Aeronautica». Perché gli aerei, e il volo, sono l’altro suo grande interesse. Racconta che ogni volta che marinava la scuola, lo faceva per introdursi furtivamente nell’aeroporto di Galatina e ammirare i velivoli militari. «Un giorno mi sorpresero su un caccia americano, ero lì che cercavo di metterlo in moto. Successe il finimondo, volevano portarmi in prigione…». E poi c’è il paracadutismo, perché gli uomini d’onore non è detto che disdegnino la vita spericolata. Anzi. «Sono istruttore di paracadute e continuo a lanciarmi, un po’ meno adesso, ma lo faccio». E lì, dov’è il fascino? «Uno scrittore francese ha trovato le parole giuste per spiegarlo: quando stai per lanciarti, senti il soffio della morte e il vento della vita. Per me è questo. Alla fine del volo mi sento come rinato». Suo figlio Roberto lo ascolta parlare. Non oserebbe mai frenare tanta temerarietà. Perché se il cervello non ha rughe, è perché è lo spirito che prima ancora non ne ha. Perché le passioni non si contrastano. Lui ne sa qualcosa: aveva tre anni quando, seduto a bordo pedana, guardava gli assalti di suo padre. Un anno dopo era col fioretto in mano. Anche lui non ha più smesso”.  Non solo la pugliese ma tutta la scherma italiana formula un augurio di tutto cuore per aver testimoniato che un vero Maestro di scherma è anzitutto un Maestro di vita.

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