Tom Daley sa un paio di cosette sull'essere sotto i riflettori. Il campione olimpico è stato catapultato sotto le luci della ribalta sin da quando, a soli 14 anni, è emerso come fenomeno alle Olimpiadi di Pechino 2018. Lo è stato anche quando è andato contro la regola non scritta dello sport e ha dichiarato pubblicamente di essere gay. A Tokyo 2020, poi, è stato sorpreso a lavorare a maglia nelle pause accanto alla vasca dei tuffi: e questo lo ha riportato ancora una volta al centro del dibattito pubblico, come icona della nuova mascolinità che lavora all'uncinetto, che rinuncia all'eteronormatività e in qualche modo riconosce la propria vulnerabilità. «Non dovrebbero esserci questi ruoli di genere, non dovrebbero esserci regole per cosa possiamo e cosa non possiamo fare», dice Daley a GQ.

Le immagini del campione alle prese con l'uncinetto (uno dei momenti più belli di Tokyo 2020) hanno fatto il giro del mondo: il tuffatore olimpico si è mostrato in un'attività che il mondo ha storicamente relegato solo alle donne. «Le persone dovrebbero smettere di preoccuparsi di ciò che pensano gli altri».

Per Daley questo ha avuto una doppia implicazione, dal momento che anche impugnare ferri e filo è stato un voler prendere una posizione forte sui temi della salute mentale, delle nuove narrazioni della mascolinità e di quelle del mondo dello sport. «Penso che si debba fare tutto ciò che permette di stare bene, è fondamentare tendere alla mindfulness: ognuno ha il suo modo di farlo, e per me è stato lavorare a maglia». E se la pandemia aveva già in qualche modo portato a una nuova attenzione sul tema, la conversazione pubblica ha toccato un ulteriore picco quando Simone Biles, la stella della ginnastica, si è ritirata da alcune gare olimpiche scegliendo di dare priorità alla sua stabilità mentale ed emotiva. «Ci sentiamo dire “starai bene perché sei un atleta e devi concentrarti sul vincere”, ma a volte non funziona così. Dietro certe persone che sembrano invincibili ci possono essere dubbi, preoccupazioni, talvolta situazioni troppo complicate da gestire».

Mentre parla con GQ Daley si trova a Montreal, dove ha deciso di prendersi una pausa dopo la frenesia di Tokyo 2020 con suo figlio e suo marito, il produttore e sceneggiatore premio Oscar Dustin Lance Black. «Avere una famiglia fa una grande differenza, ti dà un senso di prospettiva su ciò che conta davvero», dice. Durante le sue vacanze ha pubblicato la copertina della sua autobiografia Coming up for air, la cui uscita è prevista per ottobre. Nel libro ha riversato gli aspetti positivi e quelli negativi della sua ascesa alla fama. «Troverete cose dolorose all'interno, come la morte di mio padre, la lotta con la mia sessualità e i problemi di immagine che ho avuto con il mio corpo. Eppure scriverlo è stato come liberarlo».

Stai parlando di problemi legati all'immagine del corpo, qualcosa che fa parte della nuova narrativa maschile. Le persone potrebbero chiedersi quali problemi del genere possa avere un atleta, oltretutto un nuotatore. A cosa ti riferisci in particolare?

«È difficile da capire per le persone. Gli atleti indossano le loro uniformi e possono fregarsene, finché performano bene è quello che conta. Noi nuotatori, invece, non indossiamo molti vestiti, tutto è sotto gli occhi della gente, e c'è sempre quel momento in cui se mangi qualcosa di "sbagliato" dici: «Mi vedo malissimo, ho un aspetto terribile». Nello sport c'è questa idea di cercare sempre di migliorarsi, migliorarsi e migliorarsi, e non si può mai tornare indietro. Nella stagione di preparazione, però, ci sono periodi in cui torni un po' indietro, poi arriva la fase di costruzione muscolare, il tuo corpo cambia costantemente e può essere travolgente quando ti appare diverso. Sembra irreale, lo so, ma se parli con altri atleti ti diranno che è una cosa comune, anche se penso che in generale stia cambiando il modo in cui le persone affrontano il tema del corpo».

Tom Daley tuffo Tokyo 2020

TASS / IPA

In Tom Daley sembra esserci una connessione naturale con gli argomenti che spesso emergono come tendenze online, come eco di quelle questioni che interessano davvero il mondo reale. I Paesi che ancora trattano l'omosessualità come un reato, per esempio. «Ci sono 10 nazioni che hanno gareggiato alle Olimpiadi dove essere gay è punibile con la morte»; questi temi lo hanno portato persino a pensare di scrivere un libro per bambini a riguardo. «Nel mondo ci sono famiglie di così tante forme, composizioni e dimensioni. Queste storie meritano di essere rappresentate e raccontate, poiché non sono necessariamente la mamma e il papà il sinonimo di vivere felici e contenti». 

Ed è ancora più tagliente quando sottolinea l'importanza di ottenere un impatto nel mondo reale che vada oltre le semplici parole, anche le più cariche di emozioni, come quelle che lui stesso ha pronunciato a Tokyo 2020 in una conferenza stampa. «Quello che ho detto ha fatto discutere la gente, ma non ha generato alcun cambiamento, nessuna legge è stata cambiata». Pertanto si è riproposto di ottenere un impatto ancora più forte, dichiarando di voler sfruttare i giochi del Common Wealth del 2022 per innescare azioni concrete: «Vorrei vedere aumentare la partecipazione degli atleti LGBT e che i Paesi partecipanti abbiano leggi più rispettose». Sono passati quasi 10 anni da quando Daley, nel 2013, ha sfidato l'opinione pubblica e ha condiviso pubblicamente di essere un atleta gay. 

Puoi raccontarci cosa è cambiato da allora? 

«La mia vita non ha avuto grandi cambiamenti, tranne che per il fatto che le persone hanno iniziato a rispettarmi per quello che sono e non per quello che facevo finta di essere».

Articolo pubblicato originariamente su GQ Messico

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