Balli di popolo nelle notti di mezza estate: gesti sacri e rituali di un’appartenenza tutta italica
C’è un Italia dove il tempo si ferma, qualche giorno ad agosto. È un’Italia distante anni luce dalle polemiche olimpiche parigine; e non si danna per capire se i successi sportivi siano ascrivibili a fenomeni migratori. Non si rovina i pranzi perché il clima è meno prevedibile del passato e non scruta in malo modo chi non vota come vorrebbe il mainstream.
Quest’Italia lavora undici mesi l’anno e il dodicesimo torna ai paesi che furono dei propri avi come per un richiamo ancestrale. Dalle grandi città come da regioni lontane ci si ritrova per la festa del Santo patrono, devoti e non, a riallacciare quel filo che la modernità vorrebbe tranciare di netto. Parenti lontani che di fronte ad una promessa di sangue e di suolo, si riuniscono per il pranzo di ferragosto come fosse un rito liturgico. E di riti e di miti queste feste sono impregnate fino al midollo.
Atavici e pagani a modo loro, questi gesti sacri e rituali rinnovano ogni anno un’appartenenza tutta italica dove si fondono danze e preghiere, santi e diavoli, uomini ed eroi. Le processioni, dalle più piccole e raccolte fino alle poderose opere ingegneristiche che aprono i cortei dei santi, rappresentano un momento alto di spiritualità. Ma la sera, complici le libagioni protratte come da tradizione, i balli popolari attorno alle varie “Pantasime”, portano ad una dimensione estatica che raramente si ritrova nella quotidianità cittadina.
E lì che cristiano e pagano si ritrovano per suggellare il rapporto col sacro e col sacrificio. Balli interminabili di adulti e bambini attorno ai fuochi che ardono rendono magiche queste notti di mezza estate di quell’Italia che nonostante tutto non si arrende all’internet e ai suoi dettami. Nulla ha senso visto con le lenti del progresso in tutto ciò, ed è proprio per questo che lo celebriamo. Perché quell’Italia che ancora crede non cede alle lusinghe del demonio, e ballando e bevendo, lo scaccia fino al prossimo ferragosto.
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