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i computers hanno davvero “ucciso gli scacchi”?

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Prima di affrontare il tema di cui sopra, vorrei osservare che in rete si trovano molti articoli, forum, ecc., che ne parlano, soprattutto in discussioni in lingua inglese.

Per contro, non sembra che in Italia se ne sia parlato, sicuramente non nei blog scacchistici più noti, ad esempio “Scacchierando” o “Uno scacchista”.

Eppure si tratta di un argomento fondamentale, anche per capire le ragioni della crisi del nostro sport, in particolare negli ultimi 15-20 anni.

E questa noncuranza è ancor più inaccettabile, perché già da anni si discute nei media, in politica, ecc. sui rischi dell’uso indiscriminato dell’IA, anche da parte di personaggi autorevoli (Stephen Hawking, Elon Musk, ecc.), e sul rischio che l’IA non elimini solo innumerevoli attività professionali umane (medici, avvocati, giornalisti, attori, impiegati di concetto, ecc.), ma arrivi addirittura ad eliminare l’intera specie umana, assumendo il controllo dei settori chiave: armamenti, trasporti, energia, ecc.

Ma nel conformismo degli ambienti scacchistici, per decenni ci si è limitati ad accettare acriticamente l’uso di computer sempre più potenti, senza capire quanto ciò danneggiasse gravemente gli scacchi umani.

Ed è per questo motivo che ho deciso di trattarlo qui, nella speranza che possa suscitare riflessioni adeguate.

Dirò subito la mia risposta alla domanda del titolo: sì, i computers hanno realmente ucciso gli scacchi, anzi li hanno massacrati, perché hanno spazzato via la cosa più importante del gioco di noi umani: il PRESTIGIO che circondava il gioco umano. Esaminerò poi le obiezioni di quanti invece non credono che i computers abbiano rovinato gli scacchi.

Il prestigio degli scacchi umani

Per capire cosa fosse il prestigio del gioco degli scacchi umani, credo che ciò sia molto più facilmente valutabile dai giocatori sopra gli “anta”, in particolare cinquantenni, sessantenni, settantenni,ecc., che hanno una memoria storica dei tornei e dei circoli di una volta, mentre i più giovani, di 20-30 anni, o adolescenti, non possono ricordarlo, essendo nati quando i computers già dominavano la pratica scacchistica, alla fine degli anni ’90.

Il prestigio del gioco degli scacchi umani raggiunse il massimo negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, gli anni di Fischer e Kasparov.

Quelle erano le epoche nelle quali vi fu un boom degli scacchi, dovuto proprio al richiamo che i due grandi campioni – in particolare Bobby Fischer – avevano suscitato in milioni di nuovi giocatori.

Essere un buon giocatore di scacchi, negli anni ’70 e ’80, era un fatto prestigioso, e suscitava ammirazione e rispetto anche tra le persone che invece non giocavano, i “profani”.

E non c’era bisogno di essere un GM o un MI per suscitare ammirazione, anzi! Io ricordo benissimo che all’epoca, nei circoli i neofiti o i giocatori meno esperti si rivolgevano anche a giocatori di buon livello, ad esempio ai prima nazionale, per analizzare le loro partite, o in caso di dispute nella valutazione di una posizione.

Alla metà degli anni ’70 era già prestigioso l’avere ottenuto una categoria nazionale, foss’anche la più bassa, la terza nazionale, perché all’epoca la maggioranza dei giocatori nei circoli possedeva solo categorie sociali, e i nazionali erano ancora una minoranza.

Ah, quello è seconda nazionale!… Ah, quello è un prima nazionale, è passato ad Imperia… è passato a Caorle!” Erano discorsi comuni nei circoli in quegli anni, e lo si diceva con un misto di ammirazione e di invidia.

Non parliamo poi dei rari giocatori di livello magistrale e dei GM, che si riteneva provenissero da altri pianeti e nemmeno frequentassero le stanze da bagno!

Insomma, dovendo esprimere un punteggio sul prestigio del gioco umano, darei un punteggio di 100 al periodo dei primi anni ’70 – grazie all’opera di Bobby Fischer – e di 85 al periodo della metà anni ’80, grazie alle vittorie di Garry Kasparov.

Qualcuno ha scritto che i computers hanno tolto “il mistero” dal gioco degli scacchi. In parte è vero, perché moltissimi giocatori studiavano avidamente le partite dei giocatori più forti, e leggevano i libri che scrivevano, proprio per impadronirsi dei loro “segreti”, per capire come avessero fatto a raggiungere quei livelli.

Si studiavano le loro analisi e si leggevano i loro metodi di preparazione, nella speranza di imitarne i risultati, o quanto meno di migliorare.

E si cercava di imitare anche il loro stile: molti giocatori “posizionali” studiavano le partite di Karpov, Smyslov, Botvinnik, Petrosian, ecc., mentre i giocatori “d’attacco” studiavano le partite di Tal, Spassky, Fischer, Kasparov, ecc.

Ma i computers hanno spazzato via tutto ciò, dal momento che ciò che li governa è solo ed unicamente la loro mostruosa capacità di calcolo, inarrivabile per qualsiasi umano, e che prescinde da qualsiasi discorso “stilistico”.

E tuttavia, non c’è dubbio che – ancor più del “mistero” – ciò che i computers hanno tolto agli scacchi umani è proprio il PRESTIGIO. Quel miraggio di prestigio e desiderio di gloria sportiva che spingeva 300 o 400 giocatori ad affollare festival come Marina Romea, Caorle, Imperia, ecc. per potersi fregiare di un titolo ed una categoria.

Perché non c’è dubbio che se in quegli anni anche un buon giocatore da circolo veniva interpellato in un’analisi e una disputa su una partita, oggi qualsiasi principiante può rapidamente sottoporre al computer anche la partita di un Campione del mondo, e trovare in pochi secondi i suoi errori.

In passato molti GM ed MI traevano buoni redditi dalle analisi di partite che sottoponevano alle riviste, o a pubblicazioni quali l’Informatore jugoslavo.

Oggi quelle collaborazioni sono state eliminate dai computers, e non interessano più.

Ma vorrei rapidamente confutare qui di seguito le motivazioni di quanti negano che i computers abbiano totalmente svalutato e oscurato il gioco umano, in particolare dopo il 2000.

            LE 3 FALSITA’ PIU’ DIFFUSE

  1. Oggi  ci sono molti   giocatori e tornei online

Ne parlavo all’inizio di quest’anno col direttore di Torre & Cavallol’MI Roberto Messa.

Lui esprimeva un cauto ottimismo, perché mi diceva che i giocatori che abitualmente navigano nel blog chess.com e fanno tornei online sarebbero circa 300.000.

Sono i numeri che forniscono i gestori di quel blog, quindi andrebbero presi con grande cautela, e sembrano alquanto esagerati. Inutile chiedere all’oste se il suo vino è buono, perché la risposta sarà una sola.

Se ci fossero davvero 300.000 appassionati di scacchi online in Italia, allora almeno il 5-10%, cioè 15.000-30.000 giocatori, prima o poi si farebbero vedere nei tornei dal vivo, e diventerebbero tesserati FSI.

Ma in realtà lo stesso Messa ammette che nella sua provincia: Brescia, i ragazzini che imparano a giocare a scuola, e magari iniziano a partecipare a qualche torneino scolastico, dopo pochi mesi o un anno non si vedono più.

I veri numeri degli scacchi in Italia ci dicono che lo scorso anno 2024 i tesserati agonisti  FSI sono stati solo 12.000: 5.000 juniores under 18, e 7.000 seniores over 18 anni.

Negli ultimi 40 anni gli scacchi in Italia hanno prodotto solo 34.000 giocatori agonisti, che hanno partecipato ad almeno un torneo in vita loro e si sono tesserati con la FSI.

Ma la realtà è che negli ultimi 15-20 anni si è assistito ad un vero crollo degli scacchi agonistici, e della partecipazione ai tornei.

Quello che i sostenitori di computers e scacchi online dimenticano è che ormai i grandi open e festival del passato, i tornei da 8-9 turni che soli permettono di conseguire norme da MI o GM, stanno scomparendo uno dopo l’altro.

Festival quali Bratto, il Crespi a Milano, Asti (in cui Godena nel 1995 conseguì la norma finale per diventare GM), Saint Vincent, Genova (Novotel e Ducale), P.to S. Giorgio, Cutro, Verona, Montecatini, Lacona, Nereto, Marina Romea, Caorle, Limone Piemonte, il Ciocco, ecc. ecc., sono scomparsi da molti anni, oppure vengono organizzati in formato ridotto, con tornei brevi di 6-7 turni (Crespi e Verona).

Con l’eccezione dell’encomiabile attività degli organizzatori veneti, ormai gli unici in Italia che organizzano festival da 9 turni quali Forni di sopra, Lignano, Spilimbergo e Trieste, i festival del passato sono tutti morti, e tutto ciò che viene organizzato sono i piccoli tornei di 5 max 6 turni, del tutto inutili per il conseguimento di norme, per i giocatori più forti.

Il punto è che organizzare un festival da 8-9 turni è costoso, perché si tratta di affittare grandi locali, palazzetti o sale congressi presso hotel, per 8-9 giorni.

E mentre in passato la grande partecipazione di giocatori, di 300 o addirittura 400 iscritti ai vari tornei dei festival, permetteva agli organizzatori di coprire le spese e mettere in palio discreti montepremi per i primi classificati, oggi non è più possibile, proprio perché la partecipazione dei giocatori si è drasticamente ridotta, in particolare dal 2010 in poi.

E si è ridotta proprio perché gli scacchi hanno perso qualsiasi appeal mediatico, dopo che i computers hanno surclassato gli scacchisti umani.

Qualcuno osservava che online vi sono moltissimi blog di scacchi. Purtroppo sono tutti blog “specialistici”, ovvero di scacchisti esperti. Ma gli scacchi sono del tutto scomparsi da TV e carta stampata. In passato molti periodici e quotidiani ospitavano rubriche di scacchi. E qualsiasi esperto di marketing e sponsor sportivo sa benissimo che il solo criterio per decidere se investire o meno in un determinato sport è la sua popolarità mediatica. Quindi uno sponsor sportivo può sicuramente investire nel calcio, nel tennis, nella pallavolo, nell’atletica leggera, ecc., perché sono sport con ampia copertura mediatica e televisiva, anche perché i tesserati di ciascuno di questi sport, in Italia, superano i 300.000. Ma gli scacchi, che viaggiano costantemente al di sotto dei 30.000 tesserati annui, non hanno alcun peso mediatico.

2.I premi dei campionati del mondo sono ancora alti

Nelle discussioni in rete sull’argomento, non sono mancati coloro che minimizzano il problema della crisi degli scacchi, a causa dei computer, e sostengono che – tutto sommato – oggi ci sono molti più giocatori ad alto livello di 50-60 anni fa, ed anche i premi dei campionati mondiali sono piuttosto alti, dal momento che nell’ultimo campionato del mondo del 2024, tra Gukesh e Ding, il montepremi era di 2,5 milioni di USD.

Ebbene, quanto ai montepremi dei campionati mondiali, in realtà non si può che prendere atto del loro crollo, in particolare negli anni dal 2010 in poi. Nel 2014, il mondiale tra Carlsen e Anand ebbe un montepremi di appena 420.000 USD, mentre l’anno precedente, nel mondiale tra gli stessi giocatori, il montepremi era stato di 691.000 USD. In media, dal 2007 in poi, i montepremi dei matches mondiali si sono sempre aggirati su 1-2 milioni di dollari o di euro.

Pertanto è evidente quanto i montepremi di oggi siano letteralmente crollati, rispetto a quelli di fine anni ’70, e poi degli anni ’80 e ’90, quando gli scacchi avevano anche un prestigio mediatico.

Ad esempio, il mondiale del 1985, tra Kasparov e Karpov, ebbe un montepremi di circa 2 milioni di USD dell’epoca, che rivalutati corrispondono ad oltre 6 milioni di USD di oggi. Il montepremi del match di Siviglia tra i due K, nel 1987, mise in palio oltre 3,5 milioni di USD, che rivalutati per l’inflazione corrispondono a quasi 10 milioni di dollari di oggi (!) Il mondiale dei due K di Lione, nel 1990, ebbe un montepremi di 3 milioni di USD, pari a 7,3 milioni di dollari di oggi. Ed anche il mondiale del 2000, tra Kasparov e Kramnik, mise in palio 3 milioni di dollari, che rivalutati corrispondono ad oltre 5,5 milioni di dollari attuali.

Per non parlare del montepremi più alto della storia, quei 5 milioni di dollari per il match del 1992 in Jugoslavia tra Fischer e Spassky, corrispondenti a 11,4 milioni di dollari di oggi (!), una cifra record che si dovette solo ed esclusivamente all’enorme prestigio personale di Bobby Fischer, in occasione della sua clamorosa rentrée, dopo 20 anni di assenza.

Quindi la verità è che negli anni in cui gli scacchi umani avevano ancora un buon prestigio mediatico, negli anni ’70-’80-’90, i premi dei campionati mondiali e dei grandi matches erano incomparabilmente più alti, rispetto ad oggi, quando il prestigio mediatico degli scacchi è precipitato a livelli infimi.

Ma ancor più desolante, sotto questo profilo, è il crollo dei montepremi dei tornei internazionali e dei festival.

Il povero Igor Naumkin lo diceva apertamente: negli anni ’80 un GM di medio livello come lui riusciva ancora a vivere discretamente con i premi dei tornei. Ma negli anni successivi al 2000 anche i GM hanno dovuto “raschiare il barile”, i premi sono diventati viepiù esigui. Negli ultimi anni Naumkin viveva solo grazie alla generosità degli amici, ma se la passava male.

Certo, si trovano ancora sponsor che mettono in palio buoni premi per alcuni grandi tornei ad inviti, come la Sinquefield Cup negli USA, o gli open internazionali organizzati dagli arabi, e pochi altri.

I top GM attorno a 2800 riescono ancora a trovare sponsor e premi adeguati.

Ma la realtà è che oggi molti grandi tornei di una volta vivacchiano, e riescono a sopravvivere solo grazie al contributo FIDE, ad esempio Biel in Svizzera.

Nel 1990 ricordo un bell’articolo sull’Italia Scacchistica, che forniva le cifre del torneo di Biel in quell’edizione. Ebbene, i giocatori dei vari tornei raggiunsero il numero record di 1000 (!). E’ vero che magari c’erano giocatori che partecipavano a più di un torneo nella stessa edizione, ad esempio quelli che giocavano il magistrale MTO ed anche il torneo blitz. Però sicuramente c’era una partecipazione notevolissima, a Biel, da tutto il mondo, ed anche gli sponsor abbondavano.

Oggi Biel langue, e a malapena raggiunge i 300 partecipanti, una miseria rispetto agli anni d’oro.

E infatti gli organizzatori di Biel hanno dovuto chiedere il contributo FIDE, per poter continuare ad organizzarlo, altrimenti avrebbero dovuto chiudere. Ma anche altri grandi tornei di un tempo, come Cappelle la Grande, o il torneo dall’Aeroflot, più volte non hanno potuto organizzare alcune edizioni, o hanno dovuto organizzarle in formato ridotto.

Per tornare alla Svizzera, pensiamo soltanto ad open internazionali quali quello di Lugano di un tempo. Nel 1984 gli organizzatori riuscirono ad organizzare un open con ben 50.000 franchi di montepremi, pari a 64.000 euro di oggi. E a quell’edizione parteciparono GM di alto livello da tutto il mondo: Spassky, Reshevsky, Nunn, Seirawan, Hort, Sax, ecc.

Oggi gli svizzeri riescono solo ad organizzare piccoli torneini da 5 turni, a Lugano, Mendrisio, Locarno, ecc., con montepremi ridotti di poche migliaia di franchi.

Sull’osservazione secondo cui – rispetto agli anni ’70 e ’80 – vi sono molti più scacchisti nel mondo, questa è vera. E tuttavia ciò si deve principalmente ad Internet, e alla maggiore diffusione di informazioni, rispetto agli anni pre-2000.

Ma ciò non ha alcun significato, se poi gli scacchi hanno del tutto perso prestigio mediatico, e si riducono spesso a semplice “passatempo” casalingo, per la maggior parte di coloro che navigano e giochicchiano in rete. Ma giocare online è una cosa, giocare in un festival da 9 turni è tutt’altro.

Ma se i grandi festival agonizzano o muoiono, e rimangono solo torneini, è evidente che anche i giovani in ascesa non hanno più molte possibilità per esprimere il loro talento, facendo norme e ottenendo titoli FIDE internazionali.

  1. I computers hanno migliorato il livello di gioco di moltissimi giocatori e insegnato gli scacchi ai principianti

Rispondo a questa obiezione – del tutto sbagliata – osservando in primo luogo che i computers non hanno insegnato proprio nulla. Nessun computer può eguagliare l’empatia e le emozioni che qualsiasi buon libro di scacchi di giocatori umani può trasmettere.

E non sto parlando solo dei libri dei GM più famosi: “Il mio sistema” di Nimzowitsch, o le lezioni di Capablanca, o le 60 partite di Fischer, ecc.

Negli anni ’70 anche giocatori che non erano GM famosi, come ad esempio Angelo Cillo o Paolo Bagnoli, insegnavano davvero a giocare a scacchi, con i loro libri che vendevano decine di migliaia di copie, ed istruivano e divertivano allo stesso tempo.

I computer non insegnano a giocare a scacchi, i computer calcolano e trovano le mosse migliori in ogni posizione, esprimendo la loro valutazione con aridi numeri: + 1.54, – 2.07, ecc. ecc.

Ma questo non significa “insegnare” a giocare bene, anche perché il livello di gioco dei computer non è “imitabile” dagli umani.

Tra i molti articoli comparsi in rete, ce n’è uno del 2021 del matematico americano Jan Gronwald: “Gli scacchi sono morti, e noi li abbiamo uccisi”.

Gronwald fa notare nel suo bell’articolo che proprio il più talentuoso giocatore dei nostri tempi: Bobby Fischer, diceva nei suoi ultimi anni di odiare gli scacchi, proprio perché i computer li avevano ridotti solo a memorizzazione e partite pre-organizzate (“pre-arranged”), ma avevano eliminato la creatività e la fantasia.

Interessante anche l’osservazione di Gronwald secondo cui i GM al top che avevano cercato di “imitare” il gioco dei computer (come Anand, Yusupov, ecc.), non solo non ne avevano tratto beneficio, ma avevano addirittura peggiorato il loro livello di gioco.

Ma anche Magnus Carlsen ammette (cfr. qui) che gli scacchi stanno lentamente morendo, per colpa dei computers, che hanno alterato l’approccio corretto al gioco, per le nuove generazioni, riducendo tutto a memorizzazione e analisi dei computers.

Ma se voi cercate online, digitando le parole “chess is dead”, troverete molti articoli in inglese che riconoscono l’influenza deleteria dei computers nella crisi degli scacchi.

Quindi la verità è che, per imparare a giocare, ma soprattutto per amare davvero gli scacchi, nessun computer sarà mai in grado di trasmettere le emozioni e l’empatia di qualsiasi insegnante umano.

Possibili soluzioni al problema

Poiché non mi piace lamentarmi e criticare e basta, vorrei, per quanto possibile, suggerire qualche idea per migliorare le cose.

Perché se i computers hanno rovinato il prestigio degli scacchi, privandoli di qualsiasi appeal mediatico, prendiamone pure atto, e per lo meno cerchiamo di fare qualcosa, in questa difficile situazione.

Lo scorso anno il GM Basso si lamentava perché a livello giovanile l’Italia sta precipitando sempre più giù, col migliore under 20 che è solo 320° a livello mondiale. Io avevo risposto con una proposta concreta e fattibile, ma poi Basso non ha più detto nulla. E allora la ripeto, perché caro Basso, non serve a niente lamentarsi, se poi nemmeno si risponde a chi – come me – propone soluzioni.

La mia proposta in realtà è molto semplice: la FSI ha un budget annuale di circa 1,2 milioni di euro, 700.000 euro sono le entrate dei tesseramenti, e 500.000 euro le entrate del contributo pubblico del CONI.

Tuttavia, quelle risorse finanziarie sono palesemente mal utilizzate, poiché la federazione destina – dati del bilancio 2023 – ben 255.000 euro all’organizzazione dei corsi scolastici. Ebbene, non serve proprio a nulla – per fare crescere nuovi campioni – sprecare i soldi nei corsi scolastici! Nel 99,9% dei casi i ragazzini che seguono un corso a scuola, di un istruttore FSI, poi non si appassionano affatto al gioco, e dopo avere magari partecipato ad un torneino scolastico, tanto per andare in gita un giorno, poi smetteranno per sempre.

Quelle lezioni sono solo soldi sprecati.

Invece, la FSI farebbe cosa ben più utile sostenendo – come già fa la FIDE con i grandi open internazionali – 5-6 dei maggiori open italiani, con un contributo di 20.000-30.000 euro ciascuno.

Sto pensando ai grandi open che un tempo raccoglievano anche 300 e più partecipanti: Bratto, il Crespi a Milano, Verona, P.to San Giorgio, Genova Novotel, Saint Vincent. Se potessero ricevere un contributo di 20-30.000 euro, sarebbero in grado di organizzare tornei di 9 turni – validi per conseguire le norme internazionali – e con buoni montepremi, in grado di attirare la presenza di numerosi MI e GM, in modo da permettere ai nostri giovani più promettenti di conseguire norme e titoli.

Quindi tornare ad avere 5-6 grandi open e festival internazionali, come una volta, con 300 partecipanti ciascuno e più, segnerebbe un’inversione di tendenza alla crisi di questi ultimi 15-20 anni, e darebbe fiato all’agonizzante scacchismo italiano (e non solo).

La FSI se vuole può farlo. Ma dobbiamo essere in tanti a chiederlo!

E se invece la “politica” della federazione fosse solo quella di sprecare i soldi per buttarli “a pioggia” e darli a qualche amico istruttore per tenere inutili corsi scolastici a ragazzini che non nutrono alcun interesse per gli scacchi, allora non possiamo che dire con convinzione che quella “politica” sta solo rovinando gli scacchi.

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