Da Anderssen a Morphy, l’epoca d’oro degli scacchi: passione, genio e sacrifici nell’affascinante era romantica
Nel turbine di cambiamenti che sconvolsero l’Europa nella seconda metà del ‘700, un vento di ribellione si levò contro la rigida razionalità dell’Illuminismo. Il movimento dello Sturm und Drang raccolse l’inquietudine di una nuova generazione, insofferente alle convenzioni sociali e desiderosa di un ritorno all’istinto naturale e all’azione. Rousseau con il suo appello al “ritorno alla natura” divenne un faro e il nuovo clima spirituale esaltò la potenza primordiale della natura, del sentimento e delle passioni.
Il “diritto del cuore” divenne un grido di battaglia, la rivendicazione della libertà dei sentimenti e degli istinti, in netto contrasto con l’imperturbabile freddezza razionalista. In questo contesto culturale vibrante, caratterizzato dalla figura dell’eroe romantico, solitario e ribelle, orgoglioso della sua superiorità spirituale e pronto al sacrificio per i propri ideali, germogliò una nuova concezione degli scacchi: il cosiddetto Romanticismo Scacchistico e nacque un nuovo stile di gioco.
Proprio come in letteratura e nelle arti, nella prima metà dell’800 anche nel mondo degli scacchi i rigidi schemi razionalistici, fino ad allora dominanti, iniziarono a vacillare. Le solide fondamenta poste da Philidor, che aveva esaltato il valore dei pedoni come struttura chiave per impostare il gioco e sfondare le difese avversarie (i pedoni sono “l’anima degli scacchi” soleva dire il celebre scacchista e musicista del ‘700), sembrarono crollare di fronte all’irruenza di giovani talenti, pionieri di una nuova filosofia di gioco.
Figure come Alexander Mac Donnell, Louis Charles Labourdonnais, Alexander Deschapelles, ed altri celebri giocatori del vecchio continente, con i loro attacchi impetuosi e i sacrifici dei pedoni per aprire la strada agli altri pezzi, incarnarono questo spirito avventuroso e spregiudicato.
Fu in quel periodo che divennero di uso comune termini come “combinazione”, “assalto alla baionetta” e, soprattutto, “sacrificio” per la gioia degli appassionati che seguivano le partite nei “caffè” più in voga delle grandi capitali, come il famoso caffè “La Regence” di Parigi.
Gli scacchisti romantici utilizzavano gambetti molto rischiosi, cercavano fin dalle prime mosse di impostare attacchi all’ultimo sangue, offrendo pezzi e pedoni con un unico scopo: dare scacco matto al Re avversario.
Sulle orme del movimento letterario, questo nuovo modo di intendere gli scacchi fu definito romantico e soppiantò il gioco misurato e posizionale derivato dalle idee di Francois Philidor.
Il fine ultimo di ogni partita divenne la combinazione, il colpo di genio, l’attacco brillante ricercato con determinazione, spesso ignorando i più elementari principi posizionali.
In quest’epoca di fervore cavalleresco ed eroico, la tecnica della difesa era considerata quasi una viltà. Si riscoprirono le aperture di gioco aperto in voga nei secoli precedenti, capaci di scatenare in poche mosse “fuoco e fiamme sulla scacchiera”, per citare uno scacchista dei nostri tempi, Alexei Shirov, interprete moderno di quel glorioso spirito romantico.
In un’epoca in cui non esistevano ancora tornei ufficiali né punteggi ELO e in cui il campione del mondo veniva proclamato per acclamazione, i giocatori romantici si affrontavano a singolar tenzone in lunghe ed estenuanti sfide. L’ammirazione era la valuta più preziosa e le combinazioni spettacolari erano la prova del genio. Il campo di battaglia era la scacchiera, e l’eroe era chi osava sacrificare suscitando ammirazione e stupore tra gli spettatori.
Quali furono i protagonisti della grande epopea scacchistica romantica?
I primi decenni del secolo videro emergere figure di spicco come i francesi Alexander Deschapelles e il suo allievo Louis Charles Labourdonnais. Quest’ultimo divenne protagonista nel 1834 di un epico match contro l’inglese Alexander Mac Donnell, una sfida leggendaria combattuta a Londra, protrattasi per ben 88 partite e culminata con la vittoria di Labourdonnais. Questo scontro, celebrato persino da un sonetto intitolato “La rivincita di Waterloo”, segnò l’inizio del periodo romantico degli scacchi. Il gioco era concepito come un assalto al Re avversario, costellato di sacrifici che non venivano quasi mai rifiutati per non incorrere nell’onta della codardia.
Napoleone Bonaparte, modesto giocatore ma grande generale, contribuì non poco a diffondere l’idea che la scacchiera fosse un campo di battaglia in cui il coraggio e lo spirito di sacrificio uniti all’abilità tattica e strategica dovessero prevalere sulle tecniche difensive.
Trionfavano il Gambetto di Re (e in risposta il micidiale controgambetto Falkbeer) e il Gambetto Evans, aperture aggressive che prevedevano il sacrificio di un pedone in apertura in cambio di un rapido sviluppo dei pezzi.
Un altro personaggio leggendario di quel tempo fu l’inglese Howard Staunton (l’inventore dei pezzi che oggi usiamo nei tornei) il quale, dopo aver sconfitto nel 1843 il francese Pierre Saint-Amant, fu acclamato come il più forte giocatore europeo. In verità, in questo match Howard Staunton giocò in modo molto prudente e posizionale mostrando una superiorità strategica sull’avversario. Il grande Bobby Fischer lo inserì tra i 10 migliori giocatori di ogni tempo, lo descrisse come “profondo analizzatore di aperture” e miglior scacchista della sua epoca. Egli, a differenza di altri campioni del suo tempo, amava fianchettare gli alfieri e non disdegnava giocare con il Bianco schemi che ricordano la moderna siciliana chiusa.
Si deve a Staunton un importante contributo teorico, l’invenzione di un famoso gambetto nella difesa olandese: 1) d4-f5; 2) e4!?, ancora oggi temuto dal N. che spesso, per evitarlo, risponde a 1) d4 con la più prudente …e6.
Staunton organizzò nel 1851 a Londra, in occasione dell’Esposizione Universale, il primo torneo ufficiale della storia degli scacchi, sperando di trionfare davanti ai suoi sostenitori; tuttavia, tra la sorpresa generale, la vittoria andò a un placido professore di matematica tedesco, fino ad allora sconosciuto, di nome Adolf Anderssen. Staunton, si classificò solo quarto accampando scuse di ogni genere per giustificare l’ignominia della sconfitta casalinga e Anderssen divenne ben presto il nuovo eroe del romanticismo scacchistico, grazie a partite leggendarie come “L’Immortale” e la “Sempreverde”, ancora oggi celebrate per la bellezza e il fascino delle combinazioni.
Ecco la partita “immortale”, appena 23 mosse di attacchi e sacrifici a raffica, tra Andersen e Kieseritzky giocata nel 1851: un gambetto di Re, naturalmente!
Anderssen non fu una meteora. Il maestro di Breslavia, dopo il trionfo londinese, sconfisse in un match il forte Johann Jacob Lowenthal, rivinse 11 anni più tardi il torneo di Londra e successivamente si impose a Baden Baden nel 1870 e fu secondo a Lipsia nel 1877 all’età di 59 anni. Con l’umiltà di un vero gentiluomo, accettò le sconfitte inflittegli dai suoi avversari più forti: Steinitz e, ancor prima, un giovane americano di nome Paul Morphy, che aveva affrontato un lungo viaggio per sfidare Howard Staunton, considerato all’epoca il più forte giocatore europeo.
Paul Morphy, il leggendario campione d’oltre oceano, fu l’ultimo grande eroe scacchistico del periodo romantico. Nato a New Orleans nel 1837, Morphy è considerato il più grande giocatore di scacchi del diciannovesimo secolo. La sua prodigiosa abilità lo portò a soli 12 anni a battere il campione inglese (di origini ungheresi) Johann Jacob Lowenthal. Nel 1857 vinse il primo campionato americano, sbaragliando tutti gli avversari compreso il forte Luis Paulsen. Dotato di una memoria prodigiosa, appena ventenne era già laureato in legge, parlava correntemente il francese, l’inglese, lo spagnolo e il tedesco e nel contempo studiava a fondo i testi scacchistici più in voga dell’epoca (dall’Analisi di Philidor al Chess Handbook di Staunton) giocando con precisione e aggressività e seguendo piani di gioco elaborati profondamente.
Desideroso di confrontarsi con i più forti giocatori europei, nel 1858 attraversò l’oceano e sconfisse a Londra e Parigi figure del calibro di Anderssen, Owen, Lowenthal, Boden, Barnes e Harrwitz. Il suo gioco destò enorme stupore: egli, a differenza degli avversari che riflettevano molto a lungo su ogni mossa (gli orologi scacchistici non erano stati ancora introdotti) muoveva i pezzi rapidamente e calcolava varianti con assoluta precisione, come mai era avvenuto in precedenza.
Lo stesso Anderssen fu costretto a riconoscere la sua netta superiorità: “E’ inutile lottare contro di lui, secondo me è troppo forte. È preciso e infallibile come una macchina, mentre io non sono che un comune mortale. Morphy guarda agli scacchi con la serietà e la coscienziosità di un artista. Per lui la partita a sacchi è un dovere sacro”. L’atteggiamento di Morphy nei confronti degli scacchi ricorda un altro grande genio scacchistico americano, Robert James Fischer, nato cent’anni più tardi, anch’egli travolto e ossessionato fin da ragazzo dalla passione scacchistica.
Morphy non riuscì a giocare contro il recalcitrante Staunton (la cui stella si avviava ormai al tramonto) il quale addusse innumerevoli scuse per evitare il confronto (beh, anche gli eroi romantici a volte tremavano di paura al cospetto di un genio scacchistico…)
Morphy dominò in quel periodo la scena scacchistica europea e si distinse anche nel gioco alla cieca, rimanendo imbattuto, dopo aver sconfitto i più forti campioni del suo tempo, tra l’entusiasmo e lo stupore degli appassionati. Tornato in America nel 1859, fu accolto come un eroe nazionale e acclamato come il primo campione del mondo non ufficiale.
Tuttavia, proprio all’apice del trionfo, saturo di vittorie e di pubblici riconoscimenti, Morphy abbandonò gli scacchi, ritirandosi a vita privata. Pochi anni più tardi manifestò i primi sintomi di un disturbo mentale che andò sempre più aggravandosi. Ancora una volta il suo amaro destino ci ricorda quello del grande connazionale e campione del mondo Bobby Fischer.
Paul Morphy anticipò con il suo gioco preciso e implacabile gli insegnamenti del futuro campione del mondo Wihelm Steinitz. Il grande campione cubano Josè Raul Capablanca lo considerava di gran lunga il più grande scacchista della sua epoca. Dotato di grande talento combinativo, Morphy, tuttavia, non cercava la combinazione ad ogni costo e le sue vittorie erano principalmente frutto di superiorità strategica. Tra i suoi più importanti insegnamenti ne vogliamo ricordare uno che ancora oggi ci sembra fondamentale: “Aiutate i vostri pezzi e loro vi aiuteranno”.
Paul Morphy morì prematuramente nel 1884 avvolto da un alone leggendario. La sua tragica storia è stata magistralmente raccontata nel romanzo di Paolo Maurensig dal titolo “L’Arcangelo degli scacchi” (Mondadori).
Ecco una partita d’attacco di Paul Morphy che inizia con un gambetto Evans; fu giocata negli Stati Uniti contro il connazionale Ayers quando il campione americano aveva appena 18 anni: anche se i motori di oggi non mancano di evidenziare diversi errori da entrambe le parti, si tratta di una partita spettacolare che si conclude con un attacco fulminante, tipico dello stile del campione americano.
Mentre i romantici cercavano di architettare geniali combinazioni e sacrifici spettacolari, un nuovo pensiero strategico (che potremmo considerare una sorta di “restaurazione scacchistica”) prendeva forma in quegli anni grazie al genio di un campione austriaco: Wilhelm Steinitz, i cui insegnamenti erano stati già anticipati da grandi scacchisti che lo avevano preceduto come Howard Staunton e Paul Morphy.
Nato nel 1836 a Praga (che all’epoca faceva parte dell’impero austro-ungarico) Steinitz è oggi considerato il “padre degli scacchi moderni” per aver gettato le basi del gioco posizionale e strategico. Dopo essere diventato campione di Vienna nel 1862 e aver ottenuto risultati significativi in tornei e match, Steinitz si affermò come autentico dominatore della scena scacchistica, diventando il primo campione del mondo da tutti riconosciuto nel periodo dal 1886 al 1894.
Secondo Kasparov (“I miei grandi predecessori” Volume 1°) l’insegnamento di Steinitz segnò un punto di svolta nella storia degli scacchi, paragonabile alle grandi scoperte scientifiche del XIX secolo. Con Steinitz iniziò una nuova era dove la solida comprensione posizionale, la profilassi e la lenta accumulazione di piccoli vantaggi presero il posto degli attacchi sconsiderati e dei sacrifici avventati tipici del Romanticismo. Il “colpo di genio” non era più l’unico fine del gioco, e la difesa divenne un’arte raffinata e necessaria.
L’avvento di Steinitz non significò la scomparsa immediata delle brillanti combinazioni, ma ne ridefinì il contesto. Esse non erano più il frutto del caso o dell’improvvisazione esasperata, ma la logica conseguenza di una solida superiorità posizionale.
Contemporaneo di Steinitz e più volte avversario del campione del mondo, merita di essere ricordato il grande Michail Chigorin, forse l’ultimo dei grandi scacchisti “romantici”, dal gioco brillante e creativo che tanta influenza ha avuto sulla nascente “Scuola Russa”.
Il romanticismo scacchistico, con la sua esaltazione della fantasia e dell’attacco, lasciò un’eredità di partite spettacolari e indimenticabili, ma la razionalità e la profondità strategica della scuola moderna, inaugurata da Steinitz, segnarono il definitivo tramonto di quell’epoca di passione e audacia sulla scacchiera.
Ecco una partita d’attacco del grande Steinitz, inserita in numerosi manuali scacchistici per la bellezza della combinazione finale. Fu giocata tra Wilhelm Steinitz e Curt von Bardeleben nel 1895 e dimostra, se ce ne fosse bisogno, che anche i grandi giocatori posizionali dell’epoca sapevano punire gli errori degli avversari con brillanti combinazioni.
L’eredità degli eroi romantici dell’800
Il gioco degli scacchi nel tempo si è notevolmente evoluto e, nell’era dei computer e dei motori scacchistici, lo studio delle aperture ha compiuto progressi straordinari. Oggi, i maestri memorizzano linee di gioco fino alla ventesima mossa e oltre. È diventato difficile sorprendere un forte avversario con un audace gambetto o un attacco alla baionetta, come avveniva nel XIX secolo. I tempi dei duelli temerari di Anderssen, Albin o del capitano gallese William Davies Evans sono tramontati e solo pochi coraggiosi si avventurano nelle acque torbide delle aperture più rischiose, temendo la preparazione teorica degli avversari.
Eppure, il fascino delle partite di un tempo, con i loro duelli infiniti e gli attacchi temerari, è rimasto leggendario. Lo spirito “romantico” ha continuato a vivere attraverso le partite di campioni che hanno combattuto con la stessa foga e combattività. Volgendo lo sguardo al ventesimo secolo, il primo nome che viene in mente è certamente quello di Michail Tal, il “Mago di Riga” il quale, nel periodo giovanile 1958-1960, sbalordì il mondo scacchistico con i suoi sacrifici spettacolari.
Tal non esitava a sacrificare pur di complicare il gioco, assumere l’iniziativa e costringere gli avversari a difendersi trascinandoli in posizioni complicatissime. Egli amava sacrificare anche per soddisfare il puro gusto estetico (questo è il tratto che maggiormente lo accomuna ai romantici) e talvolta affermava di aver giocato certe mosse spettacolari, puramente intuitive, perché non aveva trovato nulla di meglio sulla scacchiera.
Tal divenne campione del mondo nel 1960 sconfiggendo in un combattuto match un grande e solido avversario, Mikhail Botvinnik, sgretolando le sue difese con il suo gioco originale e brillante. Anche David Bronstein merita di essere ricordato per la sua grande creatività, il suo gioco temerario e le sue brillanti combinazioni.
Dopo Bronstein e Tal, un altro grande scacchista, Alexei Shirov, nato anch’egli a Riga in Lettonia molti anni più tardi, ha infiammato il mondo degli scacchi con il suo gioco creativo e spregiudicato. I suoi colpi tattici e il suo gioco d’attacco, generavano, come abbiamo accennato in precedenza, “Fuoco e fiamme sulla scacchiera” (così è intitolata una sua famosa raccolta di partite commentate).
E nel ventunesimo secolo? Anche oggi ci sono giocatori che non disdegnano sacrifici e combinazioni memorabili. Ricordiamo, tra i tanti, uno scacchista molto ammirato dagli appassionati, un giovane russo, Daniil Dubov, che si distingue per la straordinaria inventiva, la sua forza tattica, il genio combinativo.
Ecco una delle più spettacolari partite del campione russo giocata contro un fortissimo avversario, il connazionale Sergey Karjakin in occasione del campionato russo del 2020. Una partita giocata all’attacco dall’inizio alla fine con un sacrificio di Donna degno del miglior stile romantico.
Una gemma da ammirare anche per il coraggio e la fantasia dimostrata dal giovane astro moscovita.
E infine torniamo ai romantici e gustiamoci questa fantastica partita d’attacco, uno scontro cavalleresco tra Paul Morphy e due nobili dell’epoca che giocavano in consultazione, il Duca Karl II di Brunswick e il Conte Isouard de Vauvenargues.
Fu definita “La partita dell’Opera” perché giocata nel 1858 durante la rappresentazione della “Norma” di Vincenzo Bellini al teatro dell’Opera di Parigi: 17 mosse di pura poesia.