Napoli nobilissima
Nel secolo XVII il gioco degli scacchi era assai diffuso a Napoli e praticato da eminenti personalità quali il Calabrese al secolo Michele di Mauro, conosciuto in tutto il mondo scacchistico di allora: Tommaso Caputo, detto il Rosces.
E poi: Don Mariano Marano; Pietro di Ruggiero; Domenico D Arminio (giudicato dal Salvio “primo tra i primi”) Da ricordare anche che il gioco, in quell’epoca, fu diffusissimo non solo tra la borghesia ma anche negli ambienti della Corte Napoletana.
Don Benedetto Rocco, sacerdote napoletano, nel 1783 pubblicò una “Dissertazione del gioco degli scacchi agli Oziosi” che nell’anno 1817 fu ripubblicata a cura dell’Abate Cancellieri.
Gli Oziosi erano una antica Accademia, fondata a Napoli nel 1611dal Marchese Di Villa.
Ne fece parte anche il sacerdote Scipione del Grotto, abilissimo nel concludere con la patta le sue partite.
Questa sua specializzazione -chiamiamola così- incuriosì perfino l’ammiraglio Binck, suddito di sua Maestà britannica che nel 1718, informato dal vicerè conte Dann, volle cimentarsi con “il prete delle patte”.
Fra i migliori discepoli di Scipione del Grotto fu Carmine Pagano detto “il Casertano”, uno speziale di Caserta che fece tesoro degli insegnamenti di Del Grotto tanto da poter diventare un maestro di scacchi a Napoli e… vivere di ciò …abbandonando il mestiere dello speziale.
Altro ottimo giocatore fu Lodovico Lupinacci, un gentiluomo di Cosenza.
Un giocatore freddo che parlava poco e si muoveva lentamente, al contrario dei suoi concittadini. Ma fortissimo nel gioco degli scacchi.
Divenne famoso nel gioco in Napoli dopo aver vinto un incontro su dodici partite contro un francese baldanzoso che aveva sfidato tutti i giocatori napoletani.
Il Lupinacci accettò la sfida, perdette le prime cinque partite, fra il disappunto dei suoi amici ma –proprio in virtù del suo temperamento calmo e riflessivo– riuscì a rendersi conto dei punti deboli del suo avversario tanto da vincere di fila le restanti sette partite “ordendo dei tratti bellissimi”.
Da citare un tale Luigi Cigliarano, prete calabrese, ritenuto dal Rocco superiore al Casertano.
Alcuni di questi giocatori settecenteschi dovevano essere dei tipi curiosi: tale fu Stefano Battiloro di Piedimonte, morto vecchissimo nel 1714: un sacerdote sordo come una campana, chiamato appunto “il sordo di Piedimonte”. Impareggiabile nel manovrare i pedoni.
Informa il Rocco che li manovrava, li avanzava, li difendeva, li incrocchiava in tal guisa che era inespugnabile.
Si distacca, in questo lungo elenco di uomini di chiesa la figura del marchese Biscardi. Costui, forse per il titolo nobiliare, pretendeva il vantaggio iniziale di due tratti.
Un tal vantaggio sembra di scarsa rilevanza – annota l’abate Rocco – ma nel corso della partita si rivela onerosissimo tanto che molto spesso alla settima-ottava mossa il Casertano vagava già con il Re in mezzo alla scacchiera…
Per rivedere giocatori di valore a Napoli bisognò però attendere il I850 quando un certo Ferdinando Ferrari, ufficiale del Ministero della Guerra in Napoli, noto come cultore di letteratura seria e amena, autore fra l’altro di un poemetto titolato “una gita di diporto al Bosco degli Astroni” pubblicato sulla “Ricreazione per Tutti” diede alle stampe un volumetto di 87 pagine titolato il gioco degli scacchi in sei lezioni.
Questo raro documento fu, fra l’altro, utilizzato dai compilatori della Miscellanea degli Usigli per la parte della Zatrichiologia.
Invogliato dal successo di tale pubblicazione o forse dall’opposto desiderio di contrapporre le proprie alle altrui considerazioni, nel 1852 un altro scacchista napoletano, il sig. P.A: De Luca compilò per suo uso e consumo un’opera manoscritta dal significativo titolo “Le mie meditazioni sul gioco degli scacchi” (Napoli, 1852).
Di questo “parto” scacchistico poco sappiamo ma deve essere stato caro all’autore che lo fece rilegare in tela con fregi in oro.
Il De Luca ebbe a dichiarare ai contemporanei di aver preso a maestro il Lolli per ciò che riguarda lo scopo dell’opera. Lo stesso De Luca ebbe a dichiarare senza perifrasi che il suo lavoro era “strano e capriccioso”.
Comunque il libro di Ferrari e il manoscritto di De Luca confermano che la Napoli nobilissima della metà del secolo scorso era scacchisticamente già evoluta e pronta ad accogliere le ventate di rinnovamento che spiravano dal Centro e dal Nord Italia.
Una decina di anni dopo infatti doveva essere stampata a Napoli la più importante opera scacchistica che abbia visto la luce in Italia prima dei libri di Dubois; Seghieri e Salvioli: ossia “La miscellanea nel gioco degli scacchi” (Napoli 1861).
La storia di questa autentica enciclopedia, ingiustamente poco nota in Italia e all’Estero merita un cenno più ampio: Essa non nacque autonomamente ma fu estratta da una pubblicazione a dispense uscita in Napoli fra il 1859 e il 1861 intitolata “la ricreazione per tutti” a cura del Prof. Ghinassi Domenico.
In questo clima di cultura scacchistica non stupisce che Napoli abbia annoverato fra gli amatori degli scacchi personaggi insigni non solo in campo cittadino ma nazionale. Per tutti ricordiamo Francesco De Santis che fu eletto nel 1878 presidente onorario della rinnovata Accademia Romana degli Scacchi.
E poiché siamo in tema di cultura letteraria crediamo doveroso citare anche un curioso libretto titolato “Scacchi e Guerra a volo d’aquila”, stampato a Napoli nel 1898.
Animato dal solerte segretario Cesare Trudi, il Circolo napoletano esplicò una notevole attività anche sul piano della propaganda.
Nel 1888 organizzò un grande torneo dotato di un primo premio consistente di una spilla con brillanti. Premio inconsueto ma di valore.