Una vita
Dovete andare via; dovete rimpatriare; non potete più restare qui ; siete in prima linea questa è zona di guerra. In Italia troverete ogni conforto.
Domani mattina passeremo a prendervi.
Così, lapidario, si esprimeva uno dei carabinieri incaricati di far sfollare da Tripoli gli italiani ivi residenti.
Vane le proteste dei diretti interessati e – tra questi – mia madre, Santa donna che in quella terra era sempre vissuta.
Protestava anche mio padre e l’unico della famiglia favorevole al provvedimento si dimostrava mio nonno paterno – (Nonno Totò, ma lui non partiva… ) e perciò i Carabinieri facevano leva su di lui per convincerci…
In Italia nessuno di noi era ancora stato e noi ragazzi eravamo eccitati al pensiero di viaggiare in aereo (poteva essere un Savoia Marchetti da trasporti militare o, in alternativa uno Junker 88 tedesco dal lugubre colore nero…Io speravo e tifavo per il Savoia Marchetti e così fu)
Ma in quel campo d’aviazione militare avevano ben altro da pensare e ci ignorarono per tre giorni: esattamente dal 12 del mese di febbraio dell’anno 1942 relegandoci in una casetta araba abbandonata ai margini del campo d’aviazione fino al 14 febbraio, giorno della nostra partenza da quel campo di aviazione, a bordo di un Savoia Marchetti.
Destinazione Castelvetrano, in Sicilia.
Mio padre nel frattempo si era sorbito quotidianamente oltre 20 Km all’andata e altrettanti al ritorno. in bicicletta, per portarci qualcosa da mangiare che comprava a Tripoli, al mercato nero (Lui non poteva partire con noi: era militarizzato e doveva rimanere in loco)
Il 14 febbraio del 1942 finalmente ci fu posto anche per noi – L’aereo era il Savoia-Marchetti auspicato.
Con noi viaggiavano oltre s’intende l’equipaggio, due militari feriti che avevano bisogno di cure possibili solo in Madrepatria …ma durante il viaggio dovevano eventualmente fungere da mitraglieri per difesa da aerei nemici: E infatti un paio di Spitfire provenienti presumibilmente da Malta comparvero all’orizzonte in pieno mare mediterraneo e l’allarme fu dato ma poi tutto rientrò: per nostra fortuna.
All’arrivo a Castelvetrano l’accoglienza fu dignitosa nel senso che il pasto serale fu decisamente buono e le brandine assegnate di un pulito esemplare. Eravamo ospiti di un antico convento.
Passò la notte e l’indomani funzionari prefettizi incaricati dell’accoglienza ci chiesero dove intendevamo risiedere in Italia.
Dopo aver interpellato mia madre risposi: a Parma perchè vi risiede zia Adelina; sorella di Papà.
I funzionari prefettizi aderirono alle nostre richieste e ci munirono dei documenti di viaggio ivi comprese le tessere annonarie indispensabili per l’acquiato contingentato quotidiano per poter acquistare generi alimentari di prima necessità.
Muniti di documenti attestanti la nostra qualità di profughi di guerra, e di tessere annonarie la tessera annonaria consegnatami e subendo, come era prevedibile, data la mia assoluta ignoranza del “sistema” il trafugamento di parecchi bollini in esubero da parte del bottegaio al quale il Caso mi aveva portato.
Durante il viaggio eravamo abbandonati a noi stessi: per fortuna mamma aveva con se i risparmi di famiglia e tanti monili d’oro che ci permisero di non avere preoccupazioni per la sopravvivenza sua,mia e di 6 fratelli minori di me…
Il 18 febbraio 1942, nel tardo pomeriggio arrivammo alla stazione di Bologna e, sotto la pensilina – (ricordo che nevicava di brutto e noi avevamo indosso abiti estivi perché a Tripoli era già iniziata primavera.).- ci mettemmo in attesa del treno per Parma tremando dal freddo,
Una gentile signora in pelliccia era anche lei -con il marito – in attesa del treno e, impietosita dal nostro aspetto , si rivolse al marito chiedendogli di dare a noi qualche soldo; il che mi fece indignare e sbottai in un “grazie, ma noi siamo profughi di guerra, non mendicanti!”
Alle 20 circa giungemmo a Parma e due signore dall’aspetto oltremodo gentile si avvicinarono e ci dissero che erano incaricate dall’ECA – Ente Comunale d’Assistenza – della nostra accoglienza.
Per farla breve dirò che ci portarono in un buon albergo per quella notte.
L’indomani mattina tutt’altra musica: vennero a prenderci per portarci in quella che per l’innanzi sarebbe stata la nostra dimora: Una sanza di una osteria un’ osteria con camere a diversi letti e una stufa a carbone, installata al centro della stanza che scaldava l’ambiente e nel contempo permetteva di cucinare.
Completavano l’arredamento, un cassettone e diverse brandine.
Nel corridoio notammo altre camere il cui aspetto denotava estrema povertà e difatti, il giorno dopo il nostro arrivo presero alloggio suonatori ambulanti e altre persone, ivi comprese alcune donne che denotavano situazioni d’angoscia per un mestiere sin troppo evidente.
Ma col passar del tempo dette persone si rivelarono piene di umanità e disponibili ad aiutare e confortare il prossimo presumendo una precarietà maggiore di quella loro.
Due di esse in particolare si rivelarono servizievoli e piene di umanità: NORMA – due figlie – e aveva trovato un bonaccione in ETTORE – che le voleva bene e assieme tiravano avanti, rispettandosi, ed ELVIRA con due figlie gemelle enfatizzava origini famigliari di media borghesia e tutti i giorni aspettava il ritorno del suo Uomo, un ufficiale dell’esercito. Speranza vana ma si vive anche di speranze, vero?
Completo telegraficamente le risposte attese da Castiglioni:
- A Tripoli ci sentivamo ancora sicuri; il fronte di guerra era lontano e poi c’era l’Africa Korps del Feld Maresciallo Rommel …a proteggerci… almeno questa era la diceria circolante.
- Esatto: viaggiammo su trimotore Savoia Marchetti 79 da trasporto.
- Atterrammo a Castelvetrano.
- Lungo le pareti interne della fusoliera dell’aereo, erano fissati sedili tubolari fatti di tela ruvida che costringevano a viaggiare con il corpo posto di traverso.
- Si, il rumore assordante dei motori che giravano al massimo per il decollo fece battere forte il cuore a tutti noi.
- A bordo, viaggiavano altre- due famiglie di profughi come noi due fanti feriti di guerra promossi …mitraglieri… e poi noi (cioè Mamma, io, sei fratelli – con L’ultimo nato -che battezzammo col nome di Alfredo Guerrino) in Giugno del 1940.
E questo è quanto.