Ricordo di un grande campione
Boris Spassky è stato uno degli idoli scacchistici della mia gioventù.
Mi sono appassionato agli scacchi e ho comprato il mio primo manuale in occasione del famosissimo “match del secolo” tra il sovietico, all’epoca campione del mondo, e l’astro americano Bobby Fischer. Avevo 14 anni. Era l’epoca della guerra fredda, dei missili atomici puntati su mezzo mondo, dei satelliti spia, dei due blocchi contrapposti, della “cortina di ferro”. Essendo nato in Occidente, avrei dovuto tifare per Fischer, considerato un genio assoluto, un eroe che si batteva da solo contro l’egemonia scacchistica sovietica con tutte le sue forze.
Eppure, nel vedere Boris Spassky seduto davanti alla scacchiera con il suo stile misurato, elegante e composto, provavo un’istintiva ammirazione verso un uomo che aveva subito con grande fair play le continue provocazioni dell’americano; prima le pressanti richieste sulla borsa in palio, poi le infinite contestazioni: le luci in sala, il ronzio delle telecamere, la sedia, il pubblico da allontanare. Spassky alla fine aveva accettato di giocare la terza partita in uno sgabuzzino, pur di non far saltare per aria il match, pagando poi un duro prezzo per la sua accondiscendenza, mentre il team sovietico lo spingeva a opporsi a tutte le richieste dell’americano per vincere il match a tavolino e farlo tornare a casa con il titolo.
Compresi che la sua compostezza non era semplice distacco emotivo, ma una forma di rispetto sia per i tanti appassionati che nel mondo seguivano l’evento, sia per l’avversario, che considerava scacchista di grandissimo talento. Spassky, uomo di grande cultura e sensibilità, vedeva gli scacchi come un’arte, un’espressione dell’intelletto umano, e non come un semplice campo di battaglia ideologico.
Alla fine, come tutti sappiamo, vinse Bobby Fischer, il campione che tutti ammiravamo, ma il mondo seppe apprezzare la signorilità del suo avversario, il suo spirito sportivo da antico gentiluomo. Ebbene, oggi posso affermare che Boris Spassky ha rappresentato per me l’emblema dello sportivo e dello scacchista autentico, dell’uomo che non ha paura di accettare le sfide pur sapendo di poterle perdere, ma che se perde sa rialzarsi e ricominciare a combattere, com’è giusto fare nello sport e nella vita.
Della storia personale di Boris Spassky i libri ricordano tanti episodi: la nascita a Leningrado nel 1937, i primi anni di vita sconvolti dalla guerra, lo sfollamento a Perm, l’abbandono della famiglia da parte del padre, il ruolo educativo svolto dalla madre la quale, intuendo ben presto il suo talento, lo iscrisse all’età di 9 anni alla sezione scacchistica del Palazzo dei Pionieri di Leningrado.
Di questo primo periodo Boris, in alcune interviste, ha ricordato la povertà e la fame che tutti pativano ma anche gli insegnamenti del primo maestro Vladimir Zak, cui seguirono quelli del grande maestro Aleksander Tolush, famoso per il suo stile aggressivo e romantico. Negli anni successivi, fu un susseguirsi di successi e trionfi fino alla conquista del titolo mondiale nel 1969, quando sconfisse l’esperto Tigran Petrosian dopo un primo scontro avvenuto tre anni prima e perso con il minimo scarto (11,05 -12,05).
A differenza di Bobby Fischer, Spassky, pur amando gli scacchi, che ben presto divennero la sua professione, non ne fu mai ossessionato al punto da trascurare ogni altro aspetto e piacere della vita. Giocava a tennis e ha praticato molti sport, tra i quali l’atletica leggera (correva a vent’anni i 100 metri in 10,4 secondi, niente male per uno scacchista di professione).
Egli fu uomo di grande cultura. La sua passione per la letteratura russa, in particolare per Dostoevskij, si rifletteva anche nel suo gioco, caratterizzato da profondità strategica e capacità di analisi psicologica dell’avversario. La musica classica, invece, gli offriva un rifugio dalla tensione agonistica e lo aiutava a mantenere la calma e la concentrazione.
Famoso era il suo senso dell’umorismo che gli consentiva di sdrammatizzare anche le sconfitte più amare. Racconta il giornalista moscovita Boris Dolmatovskij che Spassky aveva un modo non convenzionale di raccontare gli eventi lontani e contemporanei, di descrivere i giocatori del suo tempo e del passato e di raccontare aneddoti coloriti e antichi proverbi mentre analizzava qualche partita o parlava ai principianti dello stile dei grandi campioni.
Una delle sue frasi preferite era: “Gli scacchi possiedono molti elementi misteriosi e non tutto è stato ancora svelato”. Degli onnipresenti computer dell’era moderna soleva dire, da artista della scacchiera, che spesso non ci erano di nessun aiuto. Ecco il suo pensiero al riguardo: “E’ arrivata l’era dei computer, che esercitano la loro influenza sull’attività analitica, sulla preparazione e sull’informazione. Oggi occorre un nuovo tipo di talento: la capacità di sintetizzare le idee. Anche qui, però, l’uomo continua a rimanere superiore.”
Alcuni lo definirono “un attore nato”, amava improvvisare come a teatro, sapeva imitare i gesti, la mimica e la parlata di colleghi scacchisti e maestri (Botvinnik era tra i suoi preferiti) ma anche di uomini politici e personaggi famosi (in particolare Lenin).
Spassky amava il nostro Paese. Giocò molti tornei in Italia: a Torino nel 1982, a Reggio Emilia nel capodanno del 1984 e del 1987, a Venezia nel 1989. Diceva che “gli italiani erano più cordiali e solari dei francesi e ciò suscitava, in risposta, un senso di vicinanza e simpatia”. Eppure, nel 1976, dopo l’interzonale di Manila, decise di trasferirsi in Francia dove aveva la residenza la moglie Marina Shcherbakova. Seguì in questa scelta le orme del grande Alexander Alekhine, così come anni dopo, nel 2000, fece un altro ex campione del mondo russo, Vladimir Kramnik.
Cosa dire del suo stile di gioco che non sia stato già scritto? Spassky è stato da molti definito un giocatore universale, capace di trovarsi a suo agio nelle posizioni chiuse o aperte. La sua capacità di adattarsi a diverse posizioni e stili di gioco lo rendeva un avversario imprevedibile e temibile. In una partita, poteva difendersi con tenacia, mentre in un’altra poteva sferrare attacchi improvvisi e sacrifici spettacolari, sorprendendo l’avversario con la sua creatività.
La teoria delle aperture e la preparazione teorica non erano il suo forte. Amava soprattutto la parte creativa degli scacchi e ciò lo accomunava a Bent Larsen, a David Bronstein e a Paul Keres (il suo idolo giovanile).
Su di lui, un noto psicologo dell’epoca, Viktor Malkin, che ne studiò lo stile e il carattere, scrisse: “La memoria operativa, che determina la capacità di calcolo delle varianti, è ben sviluppata, molto meno lo è quella a lungo termine. Boris dimentica facilmente le partite, anche quelle giocate non molto tempo prima. Ciò che in lui risulta eccezionalmente sviluppata è la memoria associativa, responsabile della ricchezza delle idee nel gioco: come dire che ricorda le idee, molto meno le mosse! La velocità delle operazioni mentali è alta ma non fenomenale come in Capablanca, Tal, Fischer, o Karpov”.
Nikolaj Krogius, psicologo e scacchista di rilievo, su di lui scrisse: “A caratterizzarlo è un atteggiamento fiducioso nei confronti delle persone; è onesto, di animo buono e si attende dall’avversario analogo comportamento. Al match con Fischer si era preparato come se si trattasse di una festa, aspettandosi un confronto tra cavalieri. L’inganno e gli intrighi erano quanto di più estraneo alla sua natura di combattente che avanza a viso aperto come Don Chisciotte”.
Di Spassky, l’ex campione del mondo Vladimir Kramnik ha detto: “Siamo stati molto insieme, abbiamo giocato per lo stesso club e ho anche avuto modo di averlo ospite a casa mia. È un uomo di profonda onestà, sincero, intelligente, assolutamente privo di doppiezza. Amo e apprezzo molto tali qualità.”
E come scacchista? Sentiamo ancora cosa ne pensa Kramnik: “Mi piace molto il suo gioco di vasto respiro. Nella sua classicità egli è simile a Smislov, ma mentre questi è uno scacchista tranquillo, Spassky ama ed è pronto allo scontro. Egli raggruppa in sé qualità di più giocatori; ricorda ad esempio Alekhine perché attribuisce grande valore al tempo, ed è anche un eccellente stratega. Osservare il suo gioco è piacevole: è di ampio respiro ed è esteso a tutta scacchiera. S’impone dappertutto, conquista spazio, preme qui e là…”
Ecco l’opinione di Garry Kasparov sull’uomo e il campione: “Boris Spassky, campione del mondo tra il 1969 e il 1972, il “dandy” sovietico, è stato uno dei più grandi talenti naturali della storia degli scacchi. Il suo comportamento indipendente ha messo in evidenza la crescente, reciproca inimicizia tra un regime in putrefazione e la nuova generazione cresciuta nell’era post-staliniana. Tuttavia, a differenza di tanti celebri connazionali, Spassky non sfruttò mai la possibilità di accumulare per sé un capitale politico, utilizzando la grande popolarità personale. Vinse semplicemente la lotta per la sua libertà, andandosene in Francia grazie al suo matrimonio.”
Per concludere, vogliamo ricordare una storica vittoria di Boris Spassky nei confronti del suo acerrimo rivale, Bobby Fischer, durante il loro confronto sulla scacchiera al torneo di Santa Monica del 1966. All’epoca, il grande Boris era all’apice della propria forza e tre anni più tardi avrebbe conquistato il titolo di campione del mondo sconfiggendo Tigran Petrosian:
Spassky riuscì ancora a prevalere sull’americano nel confronto diretto durante le olimpiadi di Siegen del 1970, prima della epica sfida in Islanda nel 1972 per il campionato del mondo:
Spassky ha sempre serbato stima ed affetto verso Bobby Fischer. Dopo la “rivincita” del match del secolo, svoltasi nell’anno 1992 nella ex Yugoslavia, Paese messo al bando dalla comunità internazionale, Fischer fu perseguito dalla giustizia americana che emise un mandato di arresto nei suoi confronti. Successivamente, nel 2004 Fischer fu arrestato all’aeroporto di Narita in Giappone e corse il rischio di scontare una lunga pena in carcere. Ebbene, in tale occasione Spassky scrisse una lettera commovente indirizzata al presidente americano George W Bush, in difesa del suo antico rivale, di cui riportiamo l’ultima parte: “Bobby ha una personalità tormentata, me ne accorsi subito: è onesto e altruista, ma assolutamente asociale. Non si adegua al modo di vita di tutti, ha un elevatissimo senso della giustizia e non è disposto a compromessi né con sé stesso né con il prossimo. È una persona che agisce quasi sempre a proprio svantaggio. Non voglio difendere o giustificare Bobby Fischer. Lui è fatto così. Vorrei chiederle soltanto una cosa: la grazia, la clemenza. Ma se per caso non è possibile, vorrei chiederle questo: la prego, corregga l’errore che ha commesso François Mitterrand nel 1992. Bobby e io ci siamo macchiati dello stesso crimine. Applichi quindi le sanzioni anche contro di me: mi arresti, mi metta in cella con Bobby Fischer e ci faccia avere una scacchiera”.
Boris Spassky riteneva che la preparazione teorica, grazie anche all’apporto dei computer, avesse assunto un ruolo spropositato e che a volte, esaminando le partite dei giovani campioni, gli sembrava di assistere allo scontro non tra due menti, ma tra due biblioteche scacchistiche. Una volta disse, nel corso di un’intervista alla rivista francese Europe Echeques nel 1988: “Gli scacchisti hanno smesso di essere artisti; i tempi sono cambiati… Karpov e Kasparov, che emergono distintamente sugli altri grandi maestri internazionali, non considerano più gli scacchi un’arte! Chi è stato l’ultimo artista? Forse Bent Larsen”.
Lasciaci dissentire per una volta da un tuo giudizio, Boris. L’ultimo grande artista della scacchiera sei stato proprio tu! Un artista che sapeva trasformare le più belle partite in opere d’arte, espressione di genio creativo e profonda comprensione del gioco. Un’epoca che, con te, sembra essersi definitivamente conclusa.