La vita è un sogno
Capita a tutti prima o poi di piangere per una sconfitta, a me è capitato stanotte. Campionati del mondo seniores a squadre: il mio avversario è Donald Trump, io sono il Nero, il suo gioco è strategicamente sconclusionato, le minacce estemporanee ma temibili, di fatto ottengo una posizione vincente, commetto due errori madornali e perdo rovinosamente. Mi risveglio in lacrime, poi mi acquieto realizzando che era solo un brutto sogno, perché sono a casa, non ai campionati mondiali seniores, iniziati alcuni giorni fa a Praga. La Federazione mi aveva convocato, ma con grande dispiacere ho dovuto rinunciare perché nei mesi pari il lavoro alla rivista, che esce all’inizio di ogni mese dispari, mi impedisce assolutamente di assentarmi per 12 giorni. E poi era impossibile giocare contro Trump, perché quest’anno sarei andato in terza scacchiera, mentre lui ovviamente avrebbe reclamato la prima della squadra statunitense. Dopo un sogno, ci si chiede quale relazione possa esserci con un momento qualsiasi della giornata precedente. Allora mi è tornato alla mente un modo di dire (“noto” secondo lui, ma a me del tutto nuovo) a cui ha fatto ricorso ieri uno scienziato alla radio, per spiegare perché si rifiutava di dibattere pubblicamente con interlocutori ideologici o ignoranti della sua materia: “è come giocare a scacchi contro un piccione: non conosce le regole, butta giù i pezzi, lascia escrementi sulla scacchiera e dopo questo gran casino se ne va tutto impettito, come se avesse vinto lui”.