No grazie, il Free Chess mi rende nervoso
Nun è overo, io nun voglio cagnà Napule,
a me me piace ‘a pizza, ‘o mandulino…
e ppoi cagnate Mantova, Rovigo…
io so’ gghiut’ a Rovigo co’ mio padre diec’ ann’ fa… so’ turnat’ è semp’ ‘a stessa…
cagnate Rovigo!!
Seguendo giudiziosamente il consiglio degli amici, anche perché non ho l’abitudine di parlare di quello che non conosco, ho provato anch’io a giocare a free chess. Che cosa posso dire? Che non mi piace nemmeno un po’. Non sono scacchi, sono un altro gioco. Capisco l’interesse dei professionisti, che ormai affogano in un lavoro di preparazione tanto più faticoso quanto sempre meno rimunerativo. Tanto più lo capisco in quanto io ho sempre trovato terribilmente noioso studiare gli scacchi (e infatti non l’ho mai fatto in modo decente, nemmeno quando ero tra i primi giocatori in Italia). Ma gli scacchi non sono mai stati il mio lavoro. Se invece uno ci lavora, con gli scacchi, dovrebbe anche sapere che lavorare stanca. Ma per raggiungere l’eccellenza non ci sono scorciatoie: bisogna faticare (verbo che non caso la saggezza napoletana identifica con “lavorare” ). Passare al free chess può sembrare, per chi con gli scacchi lavora, una drastica e comoda soluzione per eliminare la fatica (e il lavoro). Ma a me sembra una mossa molto pericolosa. Nessuno può prevedere se il free chess diventerà popolare come il gioco tradizionale; e anche se fosse, quanto tempo dovrà passare? Nel frattempo la bolla potrebbe sgonfiarsi. Quanti sono quelli che, come me, nell’istante esatto in cui il free chess dovesse sostituire il gioco tradizionale smetterebbero ipso facto di interessarsene? Chi ci rimetterà di più sarebbero proprio i professionisti.