Ricordo di un giocatore esemplare: Lorenz Drabke
Nel mio articolo precedente, sulla sfortuna e le ingiustizie negli scacchi, avevo elencato diversi casi – piuttosto noti – di ingiustizie di cui rimasero vittime alcuni giocatori.
Qualche giorno dopo avere scritto quell’articolo, però mi era venuto in mente che c’è un’ingiustizia ben più grande e crudele: quella del destino che si accanisce contro una persona molto giovane e valida, strappandola improvvisamente alla vita.
E’ questo il caso del giovane ed esemplare MI Lorenz Drabke, scomparso prematuramente a soli 33 anni nel 2018, vittima di un tragico incidente stradale in Germania, vicino a casa. La sua bicicletta era stata travolta da un’auto, e la conseguente caduta gli era stata fatale.
Non conosco le circostanze precise dell’incidente, se avvenne a causa di un malinteso e una precedenza non data dall’uno o dall’altro o – come purtroppo accade spesso –per la distrazione del conducente dell’auto. Oggi troppi irresponsabili guidano tenendo gli occhi incollati agli smartphone, e non prestano sufficiente attenzione alla strada. Dalla foto della bicicletta di Drabke, si può capire che l’auto aveva urtato e poi schiacciato la ruota posteriore della bicicletta con la ruota anteriore destra del veicolo. Questo significa che Drabke stava attraversando la sua carreggiata, quando l’auto lo aveva investito. Tuttavia bisognerebbe capire se vi fu imprudenza di Lorenz, che poteva anche avere attraversato la carreggiata improvvisamente e senza che il veicolo avesse il tempo di frenare, oppure se la colpa fu del conducente, che poteva essere distratto, e non essersi accorto della bicicletta di Drabke.
Forse qualcuno che ne sa di più potrebbe dirci se in Germania ci fu un’indagine o un processo, per quell’incidente, e quale fu la dinamica di quell’impatto fatale.
Ma proprio la “banalità” e l’evitabilità di quella tragedia rendono ancora più ingiusta la morte del giovane Lorenz.
E purtroppo io venni a conoscenza della sua scomparsa solo nel 2023, 5 anni dopo. La mia assenza dai tornei e dalla frequentazione del mondo scacchistico mi portava a volte a sapere solo molto tempo dopo della scomparsa di diversi giocatori.
Ma poiché avevo giocato 3 volte con Drabke, nel periodo 1999-2000, (2 patte e una sconfitta), un giorno del 2023 mi era venuta la curiosità di guardare sul suo profilo FIDE, per vedere se era ancora MI, o se magari fosse passato GM. E lì cominciai ad avere subito un brutto presentimento, quando scoprii che il profilo FIDE di Lorenz Drabke non esisteva più. Allora andai su Google, e digitando il suo nome, trovai subito parecchie notizie della sua prematura scomparsa.
Quindi ho deciso di pubblicare questo ricordo, e se qualcuno conosce i familiari di Lorenz e vuole informarli, magari farà loro piacere leggerlo e sapere che c’è chi lo stimava e ancora lo commemora.
Premetto subito che non conoscevo più di tanto Lorenz. La mia frequentazione con lui si era limitata a quel periodo del 1999 e del 2000, quando giocammo insieme 3 partite nei tornei week end di Ceriano Laghetto (1999), Monza (2000) e s. Giorgio su Legnano (2000). Poi lo vidi un’ultima volta al grande open di Saint Vincent nel febbraio 2004 (162 giocatori!), nel quale lui realizzò una norma da GM, con 6,5 punti su 9 (batte anche il GM Bruzon Batista all’ultimo turno).
Quindi non potrei certo dire di essere stato un suo amico nel vero senso del termine, proprio perché la nostra frequentazione era stata del tutto breve ed episodica. E nemmeno facevamo parte di uno stesso circolo, o avevamo altre opportunità di incontrarci. Inoltre, anche per la differenza di età tra di noi – lui aveva 24 anni meno di me, avrei potuto essere suo padre – c’era un certo istintivo “gap generazionale” tra noi, che di solito non esiste tra coetanei, con cui è più spontaneo sentirsi in confidenza. Anche perché se parlo a dei “boomers” come me (generazione 1946 – 1964) dei nostri ricordi d’infanzia, di Carosello, del Rischiatutto, della TV in bianco e nero col monoscopio, ecc., quelli sorridono e sanno benissimo di cosa sto parlando. Se l’avessi detto a Drabke o ai ragazzi della sua generazione di “millennials” (1981-1996), immagino che mi avrebbero guardato con aria interrogativa, perché non erano nemmeno nati.
E tuttavia, quelle 3 partite giocate insieme ci diedero modo di stabilire un rapporto di reciproca stima e rispetto, e di discutere di non pochi argomenti interessanti.
Uso non a caso la parola “rispetto”, perché Drabke – benché molto giovane, aveva solo 14-15 anni – era sicuramente un ragazzo educato, corretto e rispettoso verso tutti i giocatori, anche di quelli che non avevano il suo talento.
Lorenz mi stimava come giocatore anche perché – dopo avermi battuto a Ceriano Laghetto nel 1999 – nel 2000 pattai due volte con lui, e a Monza lui rischiò di perdere già in apertura (tra breve rivedremo quella partita). Inoltre, io vinsi inaspettatamente quel torneo con 4,5/6, e lui – che era il favorito – arrivò secondo, con 4/6.
Devo anche dire che Drabke nel 2000 era già davvero molto forte, lui tra il 2000 e il 2001, pur essendo solo un CM con 2130-2140 di Elo, aveva battuto 3 GM come Godena, Cebalo e Paragua, 2 MI come Mrdja e Dragojlovic, e M e MF come Barlocco, Genovese e Tocchioni. Inoltre aveva pattato con GM come Nikolaidis, Farago, Del Rio De Angelis, oltre che con M ed MI quali Belotti, Sarno e Sibilio. Insomma, direi che già allora aveva una forza da MI.
Guardate questa partita contro Godena, giocata all’open di Bolzano del luglio 2000. E ammirate lo spettacolare attacco dei due Cavalli bianchi al centro, sfruttando la posizione esposta del Re nero ancora non arroccato.
E lì a Monza ebbi modo di scoprire un aspetto davvero encomiabile della mentalità di giocatore del giovane Drabke. Lui non era il tipo di giocatore ossessionato dall’Elo, dai titoli e dalle promozioni.
Anzi! Lui rispettava tutti gli avversari – e lo diceva apertamente – perché sapeva benissimo che in una partita può accadere di tutto, e magari il giocatore più debole sulla carta può vincere o pattare. E infatti quell’anno anche lui si trovò talora ad essere quello che era sulla carta più debole, ma riuscì ugualmente a sconfiggere anche alcuni GM.
Inoltre lui sapeva benissimo che molti giocatori che conosceva avevano battuto avversari più forti, e li rispettava.
Ricordo che una volta gli dissi che un certo giocatore di 1N non mi sembrava particolarmente forte. Ma Lorenz subito obiettò e mi redarguì: “Eh no! L’ho visto battere anche candidati e maestri, non sottovalutarlo!”
Ma quello che decisamente apprezzavo di Drabke – ed era davvero raro! – era proprio il suo approccio al gioco, da vero amateur, da dilettante scacchistico nel senso più sportivo e letterale del termine = colui che si diletta, che si diverte.
Era anche molto onesto ed obiettivo, nelle analisi. Se aveva sbagliato lo ammetteva senza problemi. Tutti conosciamo quei giocatori irritanti, che quando analizzano dopo la partita vogliono convincervi di essere sempre stati in vantaggio, e che se perdono è perché l’avversario è stato fortunato, e loro “hanno sciupato una partita vinta”. Mi viene in mente un aneddoto divertente di Pierluigi Passerotti, di molti anni fa, in cui per descrivere la faziosità di un noto maestro jugoslavo nelle analisi post-mortem, raccontava che avrebbe detto che stava sempre meglio lui, anche se qualcuno gli avesse girato la scacchiera!
Drabke no, era molto rigoroso e obiettivo, quando analizzava una sua partita. In questo era un vero tedesco, come Huebner.
Certamente Drabke era ben consapevole della sua forza di gioco e del suo talento, e però non era certo ossessionato dall’obiettivo di ottenere questa o quella categoria.
Quanti ne abbiamo conosciuti, di ragazzini e “giovani promesse”, che vengono gasati in modo inverecondo da istruttori, dirigenti federali e genitori.
Molti genitori, in particolare, riversano su di loro tutte le loro ambizioni frustrate, e non fanno altro che spronarli, li seguono ovunque nei tornei, li ossessionano in modo esasperante. Vorrebbero che i figli diventassero tutti GM, anche se magari sono solo un po’ più dotati dei coetanei.
Ebbene, i genitori di Drabke si disinteressavano totalmente degli scacchi e dei tornei del figlio, e non lo accompagnavano mai nei tornei. So che il padre era un fisico, o un ingegnere, che lavorava ad Ispra, all’Euratom (poi diventato ENEA), vicino a Varese presso il Lago Maggiore. Ma Drabke nei tornei era sempre da solo. Solo una volta a Ceriano vidi anche il presidente del suo circolo di Gavirate, Mondini, che forse lo accompagnava in auto, ed assisteva alle sue partite.
Io ebbi l’impressione che Lorenz fosse decisamente più maturo della sua età, e ne ebbi conferma quando lo incontrai l’ultima volta a Saint Vincent, nel 2004. In quel torneo giocava con la divisa militare, perché a quel tempo prestava servizio di leva nella NATO. Quel grande open andò bene ad entrambi, io realizzai 5/9 punti e presi il 1° premio di fascia under 2100, lui arrivò 9° con 6,5/9, realizzando addirittura una norma da GM!
Al momento della premiazione, gli chiesi se dopo avere realizzato quella norma non pensasse alla prospettiva di diventare un GM professionista.
Ma lui mi rispose subito: “Non ci penso proprio! Voglio laurearmi in ingegneria, perché in Germania un ingegnere appena assunto prende subito 3.000 euro netti al mese. Un normale GM quei soldi lì se li sogna.”
Risposta del tutto ineccepibile e condivisibile, direi, e che testimoniava definitivamente il suo approccio sano, equilibrato e non ansiogeno agli scacchi, oltre che la sua concretezza. Un giovane con i piedi per terra, non c’è che dire.
E’ triste pensare agli ultimi anni della loro vita di GM famosi come William Lombardy o Igor Naumkin. Lombardy non aveva più nemmeno un tetto sotto cui dormire. Dopo essersi spretato per sposarsi, ed avere divorziato dalla moglie con un figlio da mantenere, era caduto nella povertà e a 70 anni, per giunta malato dopo un infarto, dormiva nelle metropolitane, o in ripari di fortuna presso club scacchistici. Naumkin sopravviveva solo grazie all’aiuto e alla generosità degli amici.
Dopo una giovinezza sfolgorante di successi sportivi e riconoscimenti, anche loro avevano dovuto prendere atto che il professionismo negli scacchi è una strada percorribile solo per pochi, e per periodi limitati.
E per questo dico che Lorenz Drabke è stato un giocatore esemplare. Perché lui è stato un esempio da imitare. Un esempio di come si può giocare molto bene a scacchi, e raggiungere livelli d’eccellenza, ma sempre considerandoli un hobby, un divertimento, non certo una professione da intraprendere per tutta la vita.
E infatti Drabke non divenne più GM, anche se lo avrebbe meritato pure lui: raggiunse i 2486 punti Elo e realizzò un paio di norme. Gli mancò veramente pochissimo, ma ad un certo punto giocò molto più saltuariamente e solo per divertirsi, incurante dei titoli.
Era sicuramente un talento naturale, rapidissimo e preciso nelle analisi, e ottimo conoscitore delle aperture.
Ecco, se avessi dovuto trovargli un difetto di giocatore, avrei detto senz’altro il suo approccio un po’ “materialista”. Ma lo sapeva, e glielo avevo detto apertamente. Lui a volte tendeva a dare la caccia ai pedoni in apertura, anche a scapito dello sviluppo. Era un piccolo Steinitz, ma anche Bobby Fischer a volte privilegiava il guadagno di un pedone in apertura, trascurando un po’ lo sviluppo.
Ricordo che ne avevamo parlato, e gli avevo detto che la cosa più importante, in apertura, era il dinamismo: ottenere un rapido sviluppo dei pezzi, anche a prezzo di qualche piccolo svantaggio materiale di 1-2 pedoni, o al limite di un pezzo. Gli avevo detto che le partite-modello, a questo riguardo, erano quelle di Morphy e di Tal, due campioni ben noti per la rapidità con cui sapevano sviluppare efficacemente i pezzi.
Ma lui su questo punto proprio non voleva sentirci, la pensavamo diversamente, per lui un pedone di vantaggio in apertura era un tesoretto da difendere con le unghie e coi denti.
E però questa sua impostazione materialista l’aveva tradito in una sua famosa partita, quella che giocò nel 2003 contro il 12enne Magnus Carlsen ad un First Saturday.
Eccola:
Drabke gioca dapprima una mossa dubbia con 8…Db6?!, ma l’errore decisivo è la successiva 9…Ac8?, dopodiché la posizione del Nero diventa indifendibile, per il ritardo di sviluppo, e Carlsen – sacrificando il Cavallo – sferra un attacco decisivo al Re esposto del Nero.
La posizione sarebbe stata del tutto pari, se Drabke avesse giocato 8…e6 9. Ce5 b4 10. Cb1 Dc7 11. Axc4 Ad6, senza intestardirsi a volere mantenere a tutti i costi il pedone di vantaggio, trascurando lo sviluppo dei pezzi.
Ma veniamo alla nostra partita di Monza, nel marzo 2000. (n.b.: io all’epoca non avevo ancora l’Elo FIDE)
L’apertura era stata una difesa Anglo-Indiana. Ma come si può vedere, il Bianco aveva giocato abbastanza passivamente, e dopo 12… Cxe4 il Nero aveva un piccolo vantaggio. Tuttavia Drabke aveva sbagliato con la 13. Axe4? (era necessaria 13. dxe4, con posizione circa pari) e dopo 14. Te1, il Nero aveva a disposizione il sacrificio di qualità vincente 14…Txe4! Dopo 15. dxe4 d3 16. h3 Af3 17. Tc1 Ca6 il Bianco è in una posizione persa.
Io avevo visto quel sacrificio di qualità (e lo analizzammo a fondo nel post-mortem), e però avevo avuto paura a giocarlo, temendo qualche intermedia. E allora avevo deciso di limitarmi ad ultimare lo sviluppo e a mantenere la pressione, cercando una vittoria strategica. Ohimé! Era stato quello l’errore! E infatti qualche mossa dopo il Bianco riuscì a svicolare e a venirne fuori, e il mio attacco venne rintuzzato.
Peccato! A volte i treni e le occasioni nelle partite ci passano davanti, ma non ne sappiamo approfittare. E comunque, Lorenz fu correttissimo anche nell’analisi dopo partita, e riconobbe di averla scampata bella, non avendogli io giocato il sacrificio di qualità. Ricordo che mi disse: “mi hai graziato!”.
Come conciliare studio e scacchi nel periodo dell’adolescenza
Vorrei concludere con qualche riflessione, che la biografia di Lorenz Drabke mi suggerisce.
E mi ricollego ad un bell’articolo dell’ottimo Raul Montanari, (“Gli scacchi, una brutta bestia” del 2017) nel quale descrive la sua sofferta decisione di abbandonare del tutto gli scacchi, nel periodo del liceo, dopo essersi accorto che ormai stava trascurando lo studio, e dedicava anche 4-5 ore al giorno al gioco e allo studio degli scacchi. Raul descrive il provvidenziale suggerimento che il “mitico” barista (o aiuto-barista) della SSM, Rosolino Feraboli, diede a suo padre, invitandolo a considerare le reali capacità del figlio nel gioco, ed evitando che potesse finire come tanti disadattati, che avevano dedicato gli anni migliori della gioventù al gioco, trascurando lo studio e la possibilità di costruirsi una professione sicura.
Raul ringraziò il saggio consiglio di Rosolino a suo padre, e scrive:
“Misi via tutto, ricordo che portai addirittura la scacchiera e i libri in cantina, con le lacrime agli occhi, e questa decisione dolorosa ed eccessiva fu una delle cose più logiche che ho fatto in tutta la mia vita. Non sarei diventato il poco che sono oggi, se non avessi seguito il consiglio di Rosolino. Anche grazie a lui e alle sue parole rivolte a un padre, adesso gli scacchi per me sono un divertimento, una cultura e una gioia, nulla di più – e nulla di meno.”
Ebbene, Raul mi permetta rispettosamente di dissentire: tra l’abbandono totale del gioco, e le 4-5 ore giornaliere che lui dedicava agli scacchi, c’era sicuramente una via di mezzo! Avrebbe potuto dedicare allo studio delle materie liceali 3-4 ore al giorno, e 2-3 ore (diciamo le ore serali, dopo le 18-19) agli scacchi.
E ciò era quanto facevo anch’io, ai tempi del liceo. Nel primo pomeriggio studiavo le materie scolastiche, ma dopo le 18-19 mi dedicavo agli scacchi. Invece lasciai del tutto perdere gli scacchi negli anni dell’università, dopo i 19 anni, perché l’impegno dello studio universitario è molto più gravoso rispetto a quello del liceo, e se uno studente vuole rimanere in corso e in regola con esami e tesi, non può permettersi distrazioni.
Questo problema della conciliazione di studio e gioco, per gli studenti delle scuole superiori, mi ha ricordato anche un altro famoso scrittore: Giuseppe Pontiggia. Lui scrisse che da ragazzo aveva avuto la passione degli scacchi, e un giorno era andato a trovare Giovanni Ferrantes – che all’epoca era direttore dell’Italia Scacchistica – e gli aveva chiesto cosa poteva consigliargli, per diventare Maestro. Ferrantes però lo demoralizzò, perché gli disse che per diventare Maestro di scacchi occorreva studiare molto, e continuare a farlo per mantenere un alto livello di gioco. Pontiggia riferisce poi di essersi del tutto depresso, quando chiese a Ferrantes di cosa parlava il libro che vedeva sullo scaffale della sua libreria: “Strategia di avamposti” di Esteban Canal. E lì – ricorda Pontiggia – lui capì che la sua battaglia con gli scacchi era perduta, e abbandonò del tutto il gioco (?!)
Anche lì mi sono chiesto più volte il perché di questa decisione, dal momento che poi Pontiggia aveva sempre mantenuto un certo interesse per le vicende scacchistiche, e ne parlava di frequente anche nei suoi romanzi. Pontiggia avrebbe potuto continuare a giocare e a migliorarsi, senza porsi chissà quale obiettivo agonistico.
Devo anche dire che Ferrantes non brillò certo per capacità di motivare un neofita e di promuovere gli scacchi. Anzi, dimostrò un malcelato atteggiamento elitario: gli scacchi come gioco esclusivo per pochi “eletti”.
Fossi stato io a parlare al giovane Pontiggia, gli avrei detto soltanto: “ti piacciono gli scacchi? E allora continua a giocare, ma senza porti obiettivi, cerca solo di divertirti e migliorare.”
E questo è anche il saggio consiglio che il top GM Fabiano Caruana dà ad Anna Cramling – figlia dei GM Pia Cramling e Juan Manuel Bellon – mentre discutono nel corso di una blitz giocata a New York:
La ragazza chiede a Caruana cosa le consiglierebbe per diventare GM, ma lui saggiamente le suggerisce solo di cercare di migliorarsi nel gioco, ma senza porsi un obiettivo specifico.
E qui ritorno alla biografia di Lorenz Drabke.
Credo sia stato esemplare anche in questo: lui riusciva a conciliare lo studio (e poi il lavoro) e gli scacchi ad alto livello, e non si poneva obiettivi inderogabili.
E non è certo stato il solo.
In questi giorni abbiamo parlato a lungo del top GM Robert Huebner, un altro notevole giocatore tedesco che ci ha lasciato.
Huebner era riuscito anche lui a conciliare l’attività professionale di studioso di testi antichi e consulente di musei, con quella di GM ai massimi livelli mondiali.
Colgo l’occasione per ricordare che quel 7 marzo 1976, quando Huebner tenne una simultanea a Melegnano, qualcuno gli chiese – sentendo che parlava molto dei suoi studi e delle sue attività museali – se si considerasse o meno un professionista degli scacchi.
Ma Huebner disse subito con decisione: “No, sono un dilettante!”
Qualcuno – mi pare il MF FrancoTrabattoni – ha scritto che Huebner non ricavava grossi introiti dalle sue attività museali, e quindi lo si poteva considerare un vero professionista degli scacchi, che viveva soprattutto di premi e attività collaterali (collaborazioni editoriali, esibizioni, ecc.).
Può darsi che ciò fosse vero nei primi anni ’70, quando Huebner era neolaureato e molto giovane, mentre i suoi successi scacchistici prevalevano su quelli accademici.
E tuttavia, mi risulta che in seguito Huebner abbia portato avanti la sua attività accademica e professionale di papirologo, e fosse entrato nella direzione di un museo di Colonia, traendone un reddito costante. E a ciò accenna anche Wikipedia, nella sua biografia in inglese: “He remained active on the international circuit into the 2000s but was never a full-time chess professional due to his academic career.”
Direi che vi sono molti esempi al riguardo, di semi-professionismo, o semi-dilettantismo scacchistico. Ma sicuramente i più noti mi pare siano stati quelli di Samuel Reshevsky, che era un contabile ed analista finanziario e giocava nei tornei prendendo le ferie, e Max Euwe, che era stato docente di matematica nelle scuole superiori olandesi, e poi era diventato docente universitario di informatica. Eppure entrambi erano riusciti a raggiungere i massimi livelli scacchistici, fino addirittura al titolo mondiale, per Euwe.
Insomma, e per tornare a Lorenz Drabke, lui è stato un giocatore esemplare, proprio perché rappresenta anch’egli un esempio per i giovani scacchisti, di come si possano conciliare lo studio, l’attività professionale e gli scacchi, senza sacrificare gli uni agli altri.
A noi resta un profondo rimpianto, per la perdita così prematura di un grande talento e di una grande persona, che peraltro era cresciuto scacchisticamente proprio qui in Italia.
Addio Lorenz! C’è un proverbio famoso che dice: “Muore giovane chi al Cielo è caro!” Lo credo anch’io, ed è sicuramente vero nel tuo caso, perché sei stato un giovane buono e onesto. Sono certo che lassù tu avrai trovato quella pace e quella giustizia che invece una vita incompiuta e stroncata da una morte ingiusta e prematura ti ha negato. E noi continuiamo a ricordarti, e ad apprezzare le tue partite.