Notizie

Grundfrage

0 13

La prima volta che ho incontrato Robert Hübner fu a giugno del 1975. Io stavo preparando l’esame di maturità, e mi presi una piccola pausa per partecipare con una squadra di ragazzi della Scacchistica Milanese a un torneo lampo a squadre che si teneva a Francoforte sul Meno. Non ricordo i dettagli. Rammento solo che pagava tutto la Hoechst e che ci accompagnava Eugenio Balduzzi. Nel torneo prendemmo un sacco di legnate (io in particolare, visto che giocavo in prima scacchiera) perché c’erano tutti i migliori giocatori tedeschi. Tra cui, appunto, Robert. Naturalmente avevo perso anche con lui (ricordo l’emozione incredibile che ho provato quando mi si è seduto davanti e mi ha stretto la mano); ma avevo portato a casa un piacevole ricordo, perché uscii dall’apertura con un pedone in più. Lo rividi dopo l’estate a Milano, non so bene in quale occasione. Probabilmente qualcuno me lo presentò alla Scacchistica Milanese. La prima cosa che gli dissi fu questa: “Tu certo non ti ricordi, ma noi abbiamo giocato una volta”. E lui, a sorpresa, rispose che se lo ricordava benissimo: mi disse quale apertura avevamo giocato, e confermò che io ero in vantaggio di un pedone. Davvero incredibile. Io mi ricordavo qualcosa solo perché lui era Hübner; ma lui come faceva a ricordarsi di me? Sia come sia, in qualche modo dobbiamo essere rimasti d’accordo che ci saremmo visti in Università. Robert era venuto a Milano per approfondire la sua preparazione di papirologo (preciso che lui non si occupava di scrittura geroglifica, ma di papiri scritti in greco, di qualunque tipo e argomento), invitato dalla mitica professoressa dell’Università Cattolica Orsolina Montevecchi. Ma veniva spesso anche in Statale, dove si conserva un fondo papirologico ricco e importante. Qui conobbe l’altrettanto mitica professoressa Mariangela Vandoni; la quale, intuito il talento del giovane tedesco, gli affidò subito la gestione di alcuni seminari di alto livello scientifico. Cosa che Robert poteva fare tranquillamente in italiano, visto che aveva imparato benissimo la nostra lingua in poche settimane (a prescindere dalla sua eccezionale predisposizione, era ancora il felice periodo in cui “paese che vai, lingua che impari”; ma oggi tutti lo considerano una inutile perdita di tempo: c’è l’inglese, no?). Primo anno di filosofia, frequentavo fra gli altri un corso sul primo libro della Metafisica di Aristotele tenuto da quella che poi sarebbe diventata la mia maestra (Fernanda Decleva Caizzi, che insegnava Storia della filosofia antica; mentre a medievale c’era Mariateresa Beonio Brocchieri: sulla presenza “rosa” in accademia le università milanesi erano all’avanguardia). Più filologa che filosofia, Caizzi prestava molta attenzione al greco, stando però ben attenta a farsi capire anche da chi non aveva “fatto il classico” (allora il fatto che alcuni studenti avessero studiato un po’ di greco era ancora considerato una risorsa, e non un problema). Più di una volta Robert, nei circa tre mesi in cui è rimasto a Milano, è venuto a cercarmi fuori dall’aula dopo la fine della lezione, e si passava un po’ di tempo insieme parlando delle cose che sembravano interessargli di più: nella fattispecie, questioni di traduzione e di interpretazione del greco antico. Io per la verità ero un po’ in imbarazzo. Allora gli scacchi erano una parte importantissima della mia vita. Avere a che fare in carne e ossa con un mostro sacro degli scacchi mondiali e parlare con lui solo o quasi di greco antico mi sembrava uno spreco davvero intollerabile. Ma avevo capito che lui preferiva così. In quel periodo (ma quando, in realtà, non fu così?) il suo rapporto con gli scacchi non era molto sereno. A un certo punto mi disse persino che non voleva fare lo scacchista di professione, ma che era costretto a farlo per mancanza di alternative. Si riferiva ovviamente alla carriera accademica. Ma quando mai, ho pensato, uno potrebbe preferire essere un professore di papirologia piuttosto che uno scacchista di quel livello? Per cui di scacchi si parlava poco o niente. Una volta lo accompagnai nella sua cameretta, che si trovava in uno dei pensionati della Cattolica, ossia la Domus Nostra di via Necchi. Sul tavolino aveva una scacchiera fissata su una certa posizione, e intorno carte e libri. Mi disse che stava lavorando a una raccolta delle sue partite, e che si era incagliato nell’analisi di quella posizione. Mi spiegò due cose che non capii, e poi subito parlammo d’altro.


Non solo imparò facilmente l’italiano, ma volle anche leggere le opere più importanti della nostra letteratura. Prima Dante, e poi Manzoni. Poiché voleva vedere i luoghi manzoniani di Lecco e dintorni, un giorno lo portai a pranzo a casa mia, dove mia madre gli preparò il suo piatto forte, ossia il risotto alla milanese. Ricordo il panico nei suoi occhi quando vide tutto quel giallo, che aveva scambiato per burro. Risolto l’equivoco, mangiò con gusto. Dopo pranzo ci siamo seduti n attimo in salotto, dove c’era sempre una scacchiera, per lo più fissata su una posizione che io o mio padre stavamo analizzando. Robert cominciò a guardarla con attenzione quasi ossessiva, poi improvvisamente con le due mani rovesciò tutti i pezzi, e mi chiese se adesso potevamo uscire. Così io facevo le mie riflessioni: su di lui; sugli scacchi; su di me (su di me tra scacchi, greco antico e filosofia). Certo che con me il problema non si poneva neppure, visto che non avevo un briciolo del suo talento.
L’ho rivisto qualche volta, molti anni dopo, in occasione dei campionati italiani a squadre (come è noto, Robert giocava per il Marostica). Di nuovo abbiamo parlato, ma come al solito non di scacchi. Mi spiegò quello che stava facendo, e quello che stava studiando, dopo aver praticamente interrotto la sua carriera di giocatore. Mi disse che si occupava ancora di greco antico e che fra l’altro aveva tradotto l’Iliade in tedesco, insoddisfatto dalle traduzioni correnti nella sua lingua madre. Sono anche sicuro che mi ha inviato almeno una parte di quella traduzione, non so se un file o il cartaceo, ma non ricordo davvero dove possa essere (però prima o poi la cerco). Così ne approfittai per fargli una proposta. Avevo in programma una visita a Colonia, la città dove lui risiedeva, in cui era programmato un incontro seminariale tra tedeschi e italiani (francamente non ricordo l’anno, ma sarà stato 15/20 anni fa). Dovevamo leggere, tradurre e commentare insieme un certo testo greco che non rammento, e ho pensato che la cosa avrebbe potuto interessargli. E infatti mi disse che sarebbe venuto. Entrato quella mattina nell’aula del seminario, trovai vecchi amici e feci qualche nuova conoscenza. Tra cui quella di un giovane dottorando tedesco appassionato di scacchi, che in qualche modo aveva saputo che ero maestro fide e ne era sinceramente ammirato. La cosa mi fece molto ridere, per cui gli dissi: “Se ti piacciono gli scacchi, guarda che forse questa mattina ci sarà per te una bella sorpresa”. Quale non fu la sua faccia quando vide affacciarsi nel riquadro della porta d’ingresso la magra figura di quella che già allora era la deutsche Schachlegende, nientemeno che il dr. Robert Hübner.


Durante il seminario Robert non fece tappezzeria, ma partecipò attivamente alla discussione di delicati problemi di costituzione e traduzione del testo. Il collega tedesco più tardi mi disse che Hübner gli aveva chiesto di essere impiegato a titolo gratuito in qualche attività accademica; ma che tuttavia non aveva potuto accontentarlo: non aveva l’età adatta, non sapeva bene che cosa fargli fare; e oltretutto – mi disse – non era sempre facile avere a che fare con lui. A pranzo io e Robert andammo da soli, e finalmente sono riuscito a parlargli un po’ di scacchi. Da tempo immemorabile, da quando lo avevo conosciuto a diciotto anni, avrei voluto chiedergli una cosa – che poi era per me la Grundfrage, la domanda fondamentale che mi assillava da quando avevo iniziato a giocare a scacchi. E finalmente lo feci. “Che cosa distingue – gli chiesi – un giocatore come te, da un giocatore non dico come me, ma anche da uno molto più forte, che però non è mai riuscito a entrare nel gruppo ristretto dei più forti giocatori del mondo? Che cosa ha in più uno come te?”. Come se gli avessi fatto la domanda sulla quale da sempre si arrovellava anche lui, Robert abbassò la faccia sul tavolo protendendosi verso di me (eravamo seduti uno di fronte all’altro), puntò i suoi occhi dritto nei miei e mi disse con grade forza e concitazione: “Ma non lo so, non lo so, non lo so; me lo sono sempre chiesto anch’io e non ho mai trovato la risposta; tutto quello che so è che io, stranamente, giocavo e vincevo; e più incontravo giocatori forti, più continuavo incredibilmente a vincere: il perché, non lo so”.
Ciao Robert.

Comments

Комментарии для сайта Cackle
Загрузка...

More news:

Crema (CR) - Circolo scacchistico città di Crema
Soloscacchi
Rimini - Circolo scacchistico DLF

Read on Sportsweek.org:

Milano - Accademia Scacchi Milano
Milano - Accademia Scacchi Milano
Milano - Accademia Scacchi Milano
Milano - Accademia Scacchi Milano
FSI - Comitato Regionale Siciliano

Altri sport

Sponsored