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Vivere da regina degli scacchi

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Questo articolo è pubblicato sul numero 34-35 di Vanity Fair in edicola fino al 31 agosto 2021

Eccelleva persino per gli standard degli scacchisti più talentuosi. Non si trattava tanto del modo in cui Hou Yifan giocava le partite: dinamicamente, ma senza spettacolarizzazioni, con uno stile aggressivo ma flessibile. A colpire era il fatto che fosse una ragazza. Tredici anni dopo essere diventata Grande maestro (all’età di 14 anni) la gente si ricorda ancora le due mollette con cui teneva indietro i capelli a caschetto. «Non ho mai sentito di subire restrizioni o limitazioni», mi ha detto di recente, dalla sua casa di Shenzhen, in Cina, dove ha la cattedra alla facoltà di Educazione fisica dell’università (l’anno scorso, a 26 anni, è diventata la più giovane professoressa di ruolo nella storia dell’ateneo). «I miei genitori non mi hanno mai insegnato che, essendo una ragazza, fossi obbligata a fare questo o quello. Nemmeno i miei insegnanti mi hanno condizionata in tal senso». Oggi i capelli le cadono sulle spalle e occhiali da gatto nero le incorniciano il viso. Parla inglese con rapidità e precisione: ha trascorso un anno a Oxford con una borsa di studio per approfondire Politiche pubbliche. È la sola donna tra i cento migliori scacchisti del mondo, al numero 82. La seconda donna più forte è Aleksandra Goryachkina, 22enne russa, che non è nemmeno nei primi duecento.

Gli scacchi non sono come la pallacanestro o il calcio. Uomini e donne si affrontano a parità di condizioni, e nessuno può intuire il genere di un giocatore dalle mosse effettuate. Dei 732 Grandi maestri di tutto il mondo, solo 38 sono donne. Parte di questo divario dipende dal numero di donne che competono in rapporto agli uomini: circa il 16 per cento dei giocatori di tornei si identifica come femmina; per buona parte si tratta di bambine. Come dato puramente statistico, è normale aspettarsi che ci siano poche o nessuna donna ai vertici delle classifiche. Tuttavia questa appare una spiegazione ancora incompleta sulla quale Hou si esprime senza peli sulla lingua: «Non si può
negare, non si può fare finta che non sia così». Per anni, lei è stata l’unica ad avere una possibilità.

Hou è nata a Xinghua, una piccola città cinese vicino alla costa, nel 1994. Da bambina vide una scacchiera nella vetrina di un negozio e fu attratta dalle forme dei pezzi: i massicci pedoni e gli alfieri dal collo lungo, le torri merlate e le teste di cavallo. Quando aveva cinque anni, cominciò a giocare con altri bambini nella casa di un maestro di scacchi. Il talento mostrato convinse i suoi genitori a iscriverla con un anno di anticipo alla scuola locale, che aveva un corso dedicato agli scacchi. A Hou piaceva calcolare in che modo una mossa potesse provocarne un’altra e cominciò a pensare in termini di sequenze. Sviluppò la capacità di sentire dove spingere e quando difendere. Il suo insegnante a scuola poteva aiutarla a crescere solo fino a un certo punto. In occasione di un torneo, Hou incontrò Tong Yuanming, Maestro internazionale ed ex campione nazionale, che impartiva lezioni di scacchi nella provincia di Shandong, alcune ore più a nord. Tong disse che avrebbe valutato se accettare di allenarla. Fece sedere Hou a una scacchiera e le mise di fronte i suoi allievi migliori, tutti ragazzi. Hou batté la maggior parte di loro. Aveva sette anni.

Si trasferì a Shandong insieme alla madre e frequentò i corsi di scacchi. Due anni dopo si unì alla squadra nazionale, e la sua famiglia traslocò a Pechino. I genitori le dissero che avrebbe potuto «tornare alla vita normale» quando lo avesse voluto, ma lei non era un talento normale. Nel 2003 vinse il campionato femminile under dieci e, l’anno seguente, concluse al primo posto a pari merito il torneo under dieci maschile, classificandosi terza dopo gli spareggi. Nel 2005 fu la giocatrice più giovane della squadra femminile al Campionato del mondo a squadre, in Israele. Perse le prime due partite e, imbronciata, venne stracciata nella terza, nonostante avesse i bianchi (il giocatore con i pezzi bianchi muove sempre per primo, il che le dava un leggero vantaggio). L’esperienza temprò il suo carattere, rendendola più disciplinata e professionale. Aveva undici anni.

La Regina degli Scacchi. Anya Taylor-Joy, 25 anni, nei panni di Elizabeth «Beth» Harmon, protagonista de La regina degli scacchi, serie tv basata sull’omonimo romanzo del 1983 di Walter Tevis..

Gli avversari di Hou cominciarono a prendere nota non solo delle sue prestazioni, ma anche del suo atteggiamento. Irina Bulmaga, una coetanea di Hou che vive in Romania, ha raccontato: «I miei genitori e allenatori mi dicevano sempre: “Guarda, riesce a isolarsi durante le partite”». Bulmaga, come la maggior parte dei giocatori più giovani, faticava a contenere le proprie emozioni, a restare concentrata in partite che potevano durare anche cinque ore e che a volte venivano giocate una dopo l’altra. Hou era stoica. «La mia personalità mi protegge dagli eccessi», mi ha spiegato. Ciò non significa che non si emozioni o non si distragga mai, o non senta la pressione. È solo che esperienze di quel tipo per lei sono così rare che ricorda ogni occasione in cui si sono verificate. Per certi versi, la Cina era il posto giusto per una ragazza intenzionata a coltivare questa passione. La Federazione internazionale degli scacchi – nota con il suo acronimo francese, Fide – organizza un Campionato del mondo femminile dal 1927. Per anni era stato dominato dalle sovietiche. Poi, nel 1991, una giovane giocatrice cinese, Xie Jun, si qualificò per la finale contro la georgiana Maia Chiburdanidze, che deteneva il titolo dal 1978. La Cina non aveva mai avuto una sfidante al titolo, e la preparazione di Xie divenne un progetto collettivo. Ad allenarla contribuirono i giocatori maschi più forti del Paese. Jun vinse, diventando un motivo di orgoglio nazionale e aprendo una strada che sarebbe stata seguita da altre campionesse di scacchi. Per un lungo periodo, uomini e donne cinesi si allenarono insieme a Pechino, anche se da quando la Cina ha due giocatori nella top venti non è più così.

Già famosa per la gentilezza e la forza mentale, nel 2010, a 16 anni, Hou diventa la più giovane vincitrice di sempre del Campionato del mondo femminile

A 14 anni Hou condivise il terzo posto nella sezione open del Campionato del mondo juniores in Turchia, diventando la 15esima persona più giovane, fino ad allora, a ottenere il rango di Grande maestro. Più avanti, nel corso di quello stesso anno, raggiunse la finale del Campionato del mondo femminile di scacchi, classificandosi seconda. Nel circuito divenne famosa per la sua gentilezza e la forza mentale. Nel 2010 ritornò in finale, e vinse. A 16 anni, Hou era diventata la più giovane vincitrice di sempre del Campionato del mondo femminile, e tra i migliori giocatori adolescenti del mondo. Era facile immaginare quali altre vette avrebbe potuto scalare. Ma Hou aveva altre ambizioni. La giocatrice di scacchi più famosa al mondo non esiste. Beth Harmon, la protagonista de La regina degli scacchi, è un personaggio di fantasia, inventato dal romanziere Walter Trevis nel 1983, e riportato a nuova vita in una miniserie targata Netflix. Harmon conquista il mondo degli scacchi degli anni ’50 e ’60 e si trova ad affrontare solo gli aspetti più leggeri del sessismo. La versione hollywoodiana della sua storia, sebbene per molti aspetti fantasiosa, evoca il fascino di Lisa Lane, che divenne un fenomeno mediatico nei primi anni ’60, ma lasciò il gioco nel 1966, infastidita dall’eccesso di attenzioni riservate ai suoi look e alla sua vita amorosa, e incapace di vivere con serenità la condizione di professionista. Lane conquistò il titolo di campionessa nazionale per due volte, ma non riuscì mai a battere le migliori donne del mondo, né tantomeno i migliori uomini. Poco dopo la pubblicazione del romanzo di Trevis, emersero tre donne le cui storie ricordavano quella di Harmon.

Il campione del mondo Kasparov si rammarica del maschilismo esibito in passato nei confronti delle giocatrici: «Sono più vecchio e più saggio, posso solo chiedere scusa»

Erano tre sorelle ungheresi: Susan (Zsuzsa), la più grande; Sofia (Zsófia) e Judit, la più piccola. Il loro padre, László Polgár, era convinto che i geni si costruissero, non nascessero tali, e s’impegnò per dimostrarlo. Impose alle figlie un rigido programma educativo che includeva lo studio degli scacchi per almeno sei ore al giorno. Era previsto anche un intervallo di venti minuti dedicato a raccontarsi barzellette. Nel 1950 la Fide aveva regolarizzato i titoli assegnati ai migliori giocatori di scacchi e creato un titolo riservato  esclusivamente alle donne: quello di Woman International Master (Maestro internazionale femminile). L’asticella venne fissata duecento punti in classifica più in basso rispetto a quelli necessari per ottenere il titolo di Maestro internazionale, appena sotto quello di Grande maestro. Ventisei anni dopo, la Fide introdusse il titolo di Grande maestro femminile, e collocò anche quello a una soglia più bassa, non solo rispetto a quella di Grande maestro, ma anche di Maestro internazionale. Polgár voleva proteggere le sue figlie dagli effetti dannosi delle basse aspettative: le sorelle aspiravano ai titoli disponibili per gli uomini e, tranne poche eccezioni, evitavano i tornei femminili. Alcuni degli uomini con cui giocarono rifiutarono di stringere loro la mano. Uno, dopo avere perso con Susan, frustrato, le tirò dietro addirittura alcuni pezzi. Nel 1986, quando aveva 17 anni, Susan si qualificò per un torneo regionale del Campionato del mondo, grazie ai risultati ottenuti nel Campionato nazionale, ma la federazione magiara, irritata dalla sua insistenza nel volere giocare contro gli uomini, rifiutò di inviarla. Alla fine intervenne la Fide, aprendo ufficialmente i successivi campionati del mondo anche alle concorrenti donne. Susan divenne la terza donna a ottenere il titolo di Grande maestro. Sofia, che a 14 anni vinse in modo spettacolare un torneo contro Grandi maestri di riconosciuto valore, raggiunse il livello di Maestro internazionale. Judit eclissò entrambe.

Ragazza minuta con lunghi capelli rossi e occhi grigi magnetici, a 13 anni ebbe la possibilità di sottrarre a Bobby Fischer il record di Grande maestro più giovane di sempre e Sports Illustrated le dedicò l’articolo di copertina. «È inevitabile, molto presto la natura lavorerà contro di lei», dichiarò alla rivista il campione del mondo Garry Kasparov. Che aggiunse: «È una scacchista di grande talento ma, in fin dei conti, è una donna». Polgár batté il record di Fischer; due anni dopo, sconfisse Boris Spassky, un ex campione del mondo. La prima volta che giocò contro Kasparov, nel 1994, lui cambiò idea dopo avere sollevato la mano per muovere un pezzo, violando il regolamento; Polgár guardò con aria interrogativa l’arbitro, che parve avere visto l’infrazione ma non intervenne. Kasparov vinse quell’incontro e tutti quelli che disputarono nei sette anni successivi, a eccezione di qualche patta. Poi, nel 2002, a un torneo a Mosca, lei lo affrontò in una partita di gioco rapido, con mezz’ora di tempo a disposizione per effettuare le proprie mosse. In quel momento, Polgár era la n. 19 del mondo, Kasparov ancora il n. 1. In seguito, Polgár dichiarò che avrebbe preferito una vittoria più brillante, una partita più combattuta. Tuttavia, si trattò di un evento storico: la migliore delle donne aveva sconfitto il migliore degli uomini. Kasparov mi ha confessato che oggi si rammarica del maschilismo esibito nei confronti delle giocatrici di scacchi, e di Polgár in particolare. «Non si è trattato di una rivelazione», mi ha spiegato in un’e-mail. «Sono solo più vecchio e più saggio e posso solo chiedere scusa per averci impiegato così tanto tempo!». Da allora è diventato un aperto sostenitore delle donne negli scacchi. Polgár, che si è ritirata nel 2014, dopo avere raggiunto la posizione n. 8 della classifica mondiale, mi ha detto che l’assenza di donne al vertice non ha nulla a che vedere con le capacità innate. Dipende piuttosto, ha spiegato, dal numero limitato di ragazze disposte a dedicarsi agli scacchi rinunciando a tutto il resto. Per ogni sorella Polgár, ovviamente, ci sono innumerevoli giovani giocatrici che si sono bruciate, spinte fino all’eccesso da genitori e allenatori ambiziosi. In ogni caso Polgár non ha dubbi riguardo a ciò che serve per diventare una top player, e a quando si deve cominciare. «Devi essere coinvolto sin da piccolo, in modo che il gioco ti entri sotto la pelle».

Nigel Short, attuale vicepresidente della Federazione, ha scritto in passato su Twitter: « uomini e donne hanno cervelli diversi , è un fatto biologico»

Nel 2012, Hou Yifan è diventata la prima giocatrice in 22 anni a battere Judit Polgár in una partita classica. L’occasione fu un torneo a Gibilterra, al quale prendevano parte alcuni dei migliori Grandi maestri del mondo. La Fide stila le classifiche dei giocatori utilizzando il cosiddetto sistema Elo: i vincitori prendono punti dai perdenti, e il divario delle loro posizioni in classifica al momento della sfida determina i punti vinti o persi. Il sistema di valutazione Elo viene impiegato anche per calcolare il punteggio (rating) raggiunto in singoli eventi; il punteggio di Hou nel torneo di Gibilterra fu uno straordinario 2.872, che le consentì di contendersi la prima piazza con il Grande maestro inglese Nigel Short, un tempo n. 3 del mondo. Quest’ultimo si aggiudicò il titolo agli spareggi, ma Hou emerse come stella del torneo ed erede di Polgár e la sua presenza davanti a una scacchiera assunse improvvisamente uno straordinario peso simbolico. Per certi versi, la mancanza di una campionessa del mondo disturba più le persone esterne al mondo degli scacchi che i suoi protagonisti. Nell’immaginario popolare, gli scacchi sono quasi sinonimo d’intelligenza, ma i giocatori professionisti sanno che il gioco è un’attività che richiede moltissimo allenamento. L’atteggiamento di László Polgár verso i titoli e i tornei femminili non rappresenta la norma; la maggior parte delle giocatrici vedono i tornei come un’opportunità per trovare solidarietà di genere in un’arena dominata dai maschi. I tornei forniscono anche sostegno finanziario e sponsorizzazioni. «Penso sia molto importante per le donne avere competizioni e titoli propri», mi ha detto Anna Muzychuk, Grande maestro ucraina. «Le motiva a lavorare, a diventare più forti. Ci aiuta a renderci conto che questa può diventare la nostra professione». Tuttavia, il successo nei tornei riservati a donne e ragazze, può trasformarsi in una «trappola», mi ha avvertito lo scrittore di scacchi Mig Greengard. Convinto che i tornei per sole ragazze siano esperienze sociali positive per le partecipanti, è tuttavia preoccupato che in questo modo le più talentuose, come Hou, non siano messe alla prova con la stessa frequenza con cui lo sono i ragazzi. «Il modo per migliorare è quello di prendere calci nel sedere e spesso da giocatori più forti», ha affermato senza troppi giri di parole.

«Alla maggior parte delle ragazze viene detto sin dalla tenera età che esiste una certa distinzione di genere e che quindi devono accontentarsi», dice Hou Yifan

C’è qualcosa di inquietante in un sistema che utilizza la parola «donna» per svalutare un titolo, e il sessismo nel mondo degli scacchi continua indiscutibilmente a esistere. Jennifer Shahade, Grande maestro donna, è direttrice di US Chess Women, una costola della Federazione scacchistica degli Stati Uniti che organizza e finanzia programmi per ragazze e donne. Alcuni anni fa, lei e il marito hanno creato un’installazione intitolata Non particolarmente bello, una scacchiera interattiva piena di insulti misogini che lei e altre giocatrici di scacchi avevano ricevuto. Anna Rudolf, Maestro internazionale che è diventata una popolare streamer di scacchi su Twitch e commentatrice di incontri, mi ha riferito che quando giocava in una squadra nella lega delle squadre di scacchi più forti d’Ungheria, spesso le strutture che ospitavano gli incontri non avevano bagni riservati alle donne, o li tenevano chiusi. Una volta Rudolf venne accusata senza alcuna prova, eccetto l’ottima prestazione nel corso del torneo, di nascondere un microcomputer nel suo burrocacao. Alcuni uomini mal sopportano l’esistenza di premi destinati solo alle donne e si irritano al pensiero che donne con una classifica inferiore a tanti uomini possano comunque vivere di scacchi, mentre la maggioranza di loro non può permetterselo. «Nelle chat online», mi ha detto Shahade, «la gente domanda: “Perché esistono titoli come quello di Grande maestro femminile?”. Conoscono la risposta, ma vogliono riproporre la questione dell’inferiorità delle donne. Hou ha avuto solo esperienze positive nelle sue interazioni con gli avversari maschi, ma sottolinea che commenti simili a quelli descritti da Shahade non si trovano solo su Twitter. Nigel Short, pochi anni dopo avere battuto Hou agli spareggi, affermò che gli uomini erano «programmati» per essere migliori delle donne in quel gioco. Quando le sue affermazioni vennero subissate dalle critiche, lui replicò che stava parlando in termini generali, e che l’esistenza di eccezioni non dimostrava nulla. «Uomini e donne hanno cervelli diversi. È un fatto biologico», ha risposto a una delle critiche su Twitter. Short, attualmente, è vicepresidente della Fide.

In verità, sull’argomento la scienza non è concorde. Ci sono differenze misurabili tra i cervelli degli uomini e delle donne, ma non è del tutto chiaro che cosa significhino queste differenze, e le variabili all’interno del medesimo sesso sono tali da attenuare ogni capacità esplicativa che le differenze potrebbero avere. Numerosi studi hanno rilevato delle disparità nella capacità di uomini e donne di ruotare oggetti tridimensionali nelle loro menti, il che potrebbe avere un peso sulla competenza scacchistica, ma questa capacità si può insegnare e altri studi hanno dimostrato che esperienza e allenamento possono consentire di superare le differenze medie tra i sessi. Come se non bastasse, sottolineare le differenze biologiche potrebbe, di per sé, scoraggiare le donne dal perseguire talune attività, una possibilità che è stata esplorata nelle ricerche sulle discrepanze di genere nelle discipline Stem.

Secondo Judit Polgár, i risultati sono diversi perché le ragazze non giocano quanto i ragazzi, e lo fanno con meno dedizione e meno concentrazione

Parlando di donne negli scacchi, ho trovato stupefacente quanti sembrino accettare come acquisita l’ipotesi che gli uomini possiedano vantaggi innati. Eva Repková, Grande maestro slovacca, è presidente della Commissione per le donne negli scacchi della Fide, che promuove l’uguaglianza di genere nel gioco. L’ottobre scorso, in un’intervista sulle pagine un giornale indiano, è stato riportato un suo virgolettato, in cui afferma che «è più naturale per gli uomini scegliere gli scacchi come interesse o per le donne scegliere la musica o le composizioni floreali», e che alle donne mancano la «resistenza fisica» e lo «spirito combattivo» degli uomini. Con me, Repková ha insistito nel sostenere che le sue osservazioni erano state decontestualizzate: «Credo totalmente nell’uguaglianza di genere», ha detto. Ma Muzychuk, la Grande maestro ucraina, mi ha proposto delle osservazioni simili circa resistenza e competitività. Persino Hou, in un’intervista di un paio di anni fa, ha sollevato la questione resistenza come un possibile vantaggio maschile, anche se poi ha ridimensionato l’affermazione e sottolineato come le ragazze siano scoraggiate dall’avere grandi ambizioni. «Alla maggior parte delle ragazze viene detto sin dalla tenera età che esiste una certa distinzione di genere e che dovrebbero cercare di fare del loro meglio nella sezione ragazze e accontentarsi di questo», ha detto. «Così, senza la spinta a inseguire obiettivi più alti, per alcune ragazze diventa più difficile migliorare crescendo come fanno i ragazzi». Molte ragazze si allontanano dai percorsi più competitivi del gioco quando arrivano al liceo. Nel 2012, dopo avere sconfitto Polgár, Hou stupì di nuovo il mondo degli scacchi annunciando che avrebbe frequentato a tempo pieno l’Università di Pechino. Poche delle attuali giocatrici ai vertici sono andate all’università, e alcune non hanno nemmeno concluso gli studi secondari. Polgár mi ha confidato che all’epoca pensò: «Potrebbe sicuramente giocare ancora alla grande, forse persino migliorare. Ma rimanere nella top ten mondiale, competere con i migliori giocatori maschi del mondo, che sono professionisti al cento per cento, non credo sia possibile». Hou non ha mai avuto dubbi sulla decisione presa. «Non volevo dedicare la mia vita esclusivamente agli scacchi», mi ha detto. Tuttavia, ha giocato meravigliosamente mentre frequentava l’università, scalando il suo rating, fino a raggiungere il punteggio di 2.683, appena sotto la soglia di 2.700 dei cosiddetti super Grandi maestri, giocatori che sono generalmente considerati possibili sfidanti per il titolo di campione del mondo. Anche i suoi studi proseguirono con profitto, abbracciò la vita del campus e seguì numerosi corsi oltre a quello principale di Relazioni internazionali: geologia, anatomia, arte e cultura giapponese.

Hou vinse il Campionato del mondo femminile di nuovo nel 2013 e nel 2016, nel corso del suo ultimo anno di università. Non aveva mai amato particolarmente esporsi in prima persona, tuttavia, dopo avere vinto il suo quarto campionato, dichiarò che non avrebbe più giocato per il titolo a meno che la formula non fosse stata modificata per renderlo più simile al Campionato del mondo, che ogni anno si disputa in un luogo diverso e utilizza un sistema «challenger»: i candidati si scontrano per assicurarsi il diritto di sfidare il campione in carica. Il titolo femminile veniva assegnato ogni anno, alternando il sistema challenger e il torneo a eliminazione diretta, nel quale 64 concorrenti, inclusa la campionessa in carica, venivano inserite in un tabellone come nei grandi tornei di tennis. L’eliminazione diretta favorisce sorprese e confusione, il che regala qualche emozione – e può attirare gli sponsor – ma altera la capacità della formula di stabilire chi sia veramente la migliore (nel 2019 la Fide ha introdotto dei cambiamenti che seguono la direzione indicata da Hou). Parte dell’eccitazione intorno al potenziale di Hou scaturiva dal suo stile di gioco versatile e dalla sensazione che le sue capacità fossero istintive e non solo frutto dello studio. «Questa sensibilità naturale per il gioco è difficile da descrivere», ha dichiarato Vladimir Kramnik a ESPN The Magazine, in un pezzo dedicato alla scacchista cinese. «Lei non ha bisogno di calcolare, di arrivare secondo logica a una data buona mossa, semplicemente, la sente. È un segno di grande talento. Ho sperimentato qualcosa di simile quando ho giocato per la prima volta contro Magnus Carlsen».

Carlsen, un 30enne norvegese, è stato il migliore giocatore del mondo per quasi tutta la carriera di Hou. Lei non lo ha mai battuto in una partita ufficiale, anche se ci è andata vicino. Nella primavera del 2017, l’ha affrontato al Grenke Chess Classic, a Baden-Baden, in Germania. Arrivava da una vittoria spettacolare contro il n. 3 del mondo, l’italo-statunitense Fabiano Caruana. Dopo che Hou ebbe sconfitto Caruana e pattato con Carlsen, il mondo degli scacchi riprese a interrogarsi sulle sue prospettive. Era stato un anno di alti e bassi. C’era stato il match di Gibilterra, quello che aveva abbandonato in segno di protesta; poi anche una brutta esibizione in un torneo a Ginevra. In agosto vinse il Biel International Chess Festival, in Svizzera, con un punteggio di 2.810. Disse che era la «dimostrazione che potevo competere ai massimi livelli». Ma aveva presentato domanda per un master all’Università di Chicago ed era stata accettata. Aveva comunque rimandato il suo ingresso e, mentre si trovava a Ginevra, aveva sostenuto un colloquio per una borsa di studio Rhodes. In dicembre annunciò che sarebbe andata a Oxford. Questa decisione, mi ha detto, incontrò meno resistenza rispetto a quella di andare all’università. Ho parlato con diverse persone convinte che Hou avrebbe potuto raggiungere posizioni di classifica superiori se si fosse dedicata esclusivamente agli scacchi. «Credo che avrebbe potuto entrare nei top venti», mi ha detto Irina Bulmaga, che mi ha anche confidato di essere rimasta delusa dalla scelta di Hou. «Quanto più consideri il tuo obiettivo, tanto più capisci che potresti raggiungerlo». Hou, comunque, non sembra avere rimpianti. Enkhtuul Altan-Ulzii, una delle sue più care amiche e Grande maestro della Mongolia, mi ha detto: «In realtà non le interessano i risultati. Gioca per divertirsi e godersela».

L’anno scorso, durante la pandemia, Carlsen ha organizzato un tour scacchistico online, con cinque eventi e un montepremi complessivo di un milione di dollari (ha vinto lui). Ora battezzato Meltwater Champion Chess Tour, nel 2021 si è ampliato, e prevede in aggiunta una competizione a sfide incrociate, il cui scopo è promuovere l’uguaglianza di genere. Tra gli sfidanti ci sono dieci delle migliori ragazze e donne con meno di 24 anni e dieci loro controparti maschili. Sono divisi in due squadre miste, una capitanata da Vladimir Kramnik e l’altra da Judit Polgár. Hou è l’allenatrice della squadra di Kramnik. Il punto, mi ha spiegato Polgár, non è dimostrare che le ragazze possono competere con i ragazzi – per una ragione in particolare, perché i punteggi dei ragazzi, presi a uno a uno, sono più alti e le classifiche al momento riflettono questo dato. «Non sono peggio dei ragazzi perché sono ragazze», ha spiegato Polgár. «Ma perché non giocano per la stessa quantità di ore, con la stessa concentrazione e dedizione».
Hou ha ripensato all’impatto che hanno avuto gli scacchi sulla sua vita: le possibilità che le hanno dato di viaggiare e sviluppare la sua mente. All’Università di Shenzhen, oltre ad aiutare la squadra di scacchi, sta cercando altri modi di usare il gioco. Ha cominciato a commentare i tornei ed è consulente per la traduzione cinese della Regina degli scacchi. È bello pensare che a volte gli scacchi possono arricchire la vita di qualcuno e non sempre è la vita a essere messa al servizio degli scacchi. «Io penso sia posta troppa enfasi sull’essere al vertice», mi ha detto Jennifer Shahade. Le donne hanno iniziato ad avere successo negli scacchi perlustrando altri ambiti e strumenti, come lo streaming online, che ha acquistato popolarità su Twitch e YouTube durante la pandemia. Due sorelle canadesi, Alexandra e Andrea Botez, vantano circa un milione di follower su YouTube; Alexandra è fuori dai primi 25 mila della classifica Fide, ma in un’intervista alla Cnbc ha stimato che quest’anno, tra streaming e sponsorizzazioni, guadagnerà una cifra «almeno a cinque zeri». Shahade ha detto che, negli ultimi due anni, sono aumentate le donne che giocano a scacchi a scuola e nei club locali. L’iniziativa promossa dalla US Chess Women contiene un robusto (e in crescita) programma di club femminili su Zoom. La Commissione per le donne negli scacchi della Fide, guidata da Repková, sta cercando di allargare il numero di donne arbitri e dirigenti dei tornei, oltre a quello delle giocatrici. Non puoi combattere la disparità di genere al vertice «se non la combatti al fondo, alla base della piramide», mi ha spiegato Kasparov. «Si può fare un ragionamento simile sul perché non ci sono più Grandi maestri provenienti da alcune parti del mondo, o di differenti razze o culture. Il talento è equamente distribuito, le opportunità no».

In giugno, Hou ha partecipato al suo primo grande torneo del 2021, il Women’s Speed Chess Championship. Non si era allenata, mi ha confidato. Ha preso qualche insolito svarione, ma ha vinto comunque il torneo. Ha patito una serie di sconfitte contro gli avversari più deboli, ma contro Wesley So, Anish Giri, Levon Aronian e Ding Liren – quattro dei migliori giocatori del mondo – è riuscita a ottenere delle patte. «Sono certa che nella mia vita futura ci sarà un legame con gli scacchi, forse un legame profondo. Questo legame è sempre presente». Hou sta lavorando insieme a un gruppo di psicologi e statistici a un saggio che indaga le ragioni per cui ci sono così poche donne negli scacchi, a ogni livello. I suoi contributi sono ricavati dalla sua stessa carriera. Che ci sia o meno una «differenza innata» tra uomini e donne, ha detto, ciò che le interessa è il modo in cui «la società ti influenza».

Di Louisa Thomas

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