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Memorie di uno stalker

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Ormai prossimo alla morte io, Guido Stalteri, lascio queste mie memorie per essere compatito dai posteri.
Sì, avete capito bene: compatito.
Avevo quasi quarantacinque anni e, come si suol dire, la mia coppa era piena: un buon lavoro (ero un ingegnere), una bella compagna, due bambini ed un conto in banca che cresceva sereno.
Tutto filava liscio come l’olio quando comincia a notare dei cambiamenti nella mia donna: anche lei aveva un bel lavoro che le piaceva tanto, anzi secondo me le piaceva troppo.
Ogni sera rientrava più tardi, le riunioni… diceva.
In realtà era come se non rincasasse: ricominciava subito con il computer, i messaggi, le telefonate.
La casa era trascurata ed i bambini spesso cercavano aiuto da me per i compiti! Non che io non ne fossi in grado, ma dopo una giornata di lavoro non mi andava granché.
Cominciò tra noi due una lotta nascosta: lei cercava la mia collaborazione in modo sempre più esigente ed io gliela davo malvolentieri, dietro una maschera cortese, perché sapevo che quelli non erano compiti miei.
Poi iniziò a rifiutarsi, ma io l’amavo: era tanto bella e la desideravo anche se sentivo che non era più la dolce biondina di un tempo.

Cominciai ad essere geloso, a spiarla, a seguirla e lei se ne accorse: mi urlò che il problema non era un altro uomo ma io che la limitavo nelle ambizioni, che la costringevo in un ruolo che non sentiva suo.
Ne fui ferito e, non sapendo più come controbattere alle sue ingiuste accuse ed anche perché quando urlava non sembrava più una donna, la picchiai. Quanto la picchiai, fu un vero piacere!
I bambini piansero e fuggirono sotto il letto: li tirai fuori e le diedi anche a loro, poi uscii sbattendo la porta.
Al mio rientro lei se n’era andata, era una persona intelligente, aveva capito che le cose si mettevano male.
Iniziò un periodo esaltante, mi sentivo un cacciatore che bracca la preda. Scoprivo sempre dove si era rifugiata, la stanavo e la picchiavo, minacciavo lei ed i bambini che, poveretti, non parlavano più e mi guardavano con muto rimprovero. Non mi importava, eppure un tempo li avevo amati.
Iniziarono problemi seri con la Legge: tutte le volte lei mi denunciava e questo mi istigava sempre più.
Il mio avvocato mi consigliava paternamente di cercarmi un’altra donna. Il mondo è pieno… sono tante…
Troverai qualcuna che ti apprezzerà…
Tutti i miei parenti e gli amici provarono a farmi ragionare, persino mia madre mi diede torto! Ed io invece niente: imperterrito la seguivo, le telefonavo centinaia di volte al giorno, minacciavo le sue amiche, i suoi amanti (questa volta erano veri perché si era proprio stancata di me), ed i colleghi di lavoro che la difendevano.
Questa storia andò avanti per anni: l’avevo ridotta un verme, era pelle ed ossa, stressata e terrorizzata e ciò mi aveva fatto raggiungere una mia certa amara felicità, poi esagerai…
La picchiai di nuovo in un centro commerciale, durante l’ennesimo lock down del 2022.
Lei stava, in quel periodo, con un importante giornalista: partì una campagna stampa senza precedenti contro di me. Nel paese c’era stata una svolta autoritaria, la gente era esasperata dalle quarantene e cercava qualcuno da odiare. Le foto di lei, pestata quasi a morte, riempirono i giornali e campeggiarono su enormi manifesti insieme con le mie, il mostro.
Purtroppo devo dire che tutte le garanzie democratiche a tutela della mia privacy erano cadute.
Ci fu un processo lampo ed il giudice, una terribile virago, mi appioppò una condanna sperimentale: mi assegnò tre stalker.
Era una specie di contrappasso, non stavo mica in prigione, ero a casa mia e questi tre si davano il cambio, non mi mollavano mai.
In più li dovevo pagare, mi avevano sequestrato tutto!
Il primo era un ex professore di filosofia di un celeberrimo liceo classico: un gigante di un metro e novanta, fornito di uno storditore elettrico che usava alla minima disobbedienza. Aveva lasciato l’insegnamento, mi disse, perché non aveva più stimoli: aveva fatto piangere generazioni di studenti svogliati e nessun padre e nessuna madre dell’alta società erano mai riusciti a ricattarlo con piagnistei o avvocati o ricorsi al Tar. Voleva quindi porsi al servizio della Giustizia, sarei stato il suo capolavoro.
Si presentava alle 8,30, uscivamo e cominciava a trascinarmi in giro per la città ed intanto parlava senza tregua, spesso di un certo Adorno… chi era costui?
Non che potessi pensare ai fatti miei: mi interrogava giornalmente e se non ero pronto erano guai.
Trovava il male ovunque: non potevo ascoltare nemmeno Gianni Morandi perché nella sua canzone “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” affermava di essere geloso e di voler picchiare il rivale, Celentano era proibitissimo per vie delle minacce esplicitate in “Una carezza in un pugno” che invece dovrebbe essere il nostro inno nazionale e chi più ne ha più ne metta.

Era consentito solo Lucio Battisti che quando va a cercare la sua ex e la trova con un altro chiede addirittura scusa (scusi tanto signore anche lei, che roba!).
Insomma si andava avanti così fino alle quattordici: allora mi riportava a casa e mi affidava a Cristofer, un senegalese altissimo, con la puzza sotto al naso, che aveva lavorato come uomo immagine in un negozio al centro, fallito a causa del coronavirus.
Mi disse subito che per lui ero uno scarto dell’umanità, soprattutto perché puzzavo (era un tremendo razzista). Si metteva in poltrona e mi guardava pranzare e naturalmente la mia dieta gli ispirava orrore, lui mangiava esclusivamente, con molta eleganza devo dire, uno yogurth che si portava da casa.
Con lui non potevo parlare, diceva che avevo un livello culturale troppo basso, che ero stupido, arretrato, bigotto e mammone.
Controllava che facessi i compiti, mi ascoltava ripetere le lezioni: era costante, assiduo, non mi lasciava in pace un attimo.
Naturalmente era un cultore delle arti marziali ed un grande centometrista: inutile tentare la fuga, mi raggiungeva in un attimo e mi riportava a casa tenendomi per la collottola.
Alle ventidue arrivava il terzo: un gigante biondo dallo sguardo crudele, di cui non ho mai conosciuto il nome perché non parlava mai. Si metteva un bel pigiama a righe acquistato a mie spese e, senza una parola, batteva la mano sul letto, invitandomi ad andare a dormire: sì, dovevo dividere il letto con lui. Come mi stendevo si addormentava ma appena provavo ad alzarmi si girava sul fianco e mi fissava con sguardo assassino così che terrorizzato mi rimettevo giù. Gli avevano impiantato un sensore probabilmente: sentiva tutto, ogni minimo movimento, era sempre all’erta.
Per anni ed anni elaborai piani di fuga e ne tentai anche qualcuno ma mi riacchiappavano sempre, come se mi leggessero nel pensiero.
Dopo tanti anni ho capito che mi lasciavano scappare apposta per farmi soffrire di più.
Per fortuna l’ultima volta, assistito dal professore di filosofia che come al solito voleva essere diverso dagli altri, sono riuscito a fuggire su quest’isoletta sperduta da cui vi scrivo e dove faccio il guardiano del faro.
Solo, finalmente!
Sento sempre però un’inquietudine sottile: temo che quest’esilio faccia parte del piano e che un brutto giorno, su di una barchetta, arrivi Cristofer e mi riporti indietro.

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