Quello degli scacchi è lo sport (sì, giocare a scacchi è uno sport riconosciuto dal Comitato Olimpico Internazionale) più violento in circolazione. Sedersi davanti alla scacchiera significa accettare una seduta psicanalitica che indagherà il nostro lato più oscuro. È un viaggio doloroso e faticoso, che ci porterà a conoscere aspetti della nostra personalità che avremmo preferito non sapere. Senza quell’inutile spargimento di sudore, di botte e talvolta anche di sangue che caratterizza gran parte degli sport moderni; negli scacchi la tenuta mentale di chi gioca è sottoposta a un continuo bombardamento di emozioni, tra sensi di colpa e abissi in cui scivolare.

«La regina degli scacchi» tra genio e psicosi

La regina degli scacchi - miniserie di sette episodi ora su Netflix - ci conferma tutto questo e anzi ci porta ad esplorare le profondità dell’animo umano, lì dove gli scacchi diventano la password per entrare in una nuova dimensione che per comodità chiamiamo maturità (ma che spesso maturità non è). La storia è semplice: fine anni ’50, Kentucky, bambina cresciuta in orfanotrofio - dipendente da psicofarmaci e afflitta da turbe mentali - trova negli scacchi il senso della sua vita. Stop. Fine della storia. Anzi no. Perché La regina degli scacchi intreccia genio e psicosi, talento e paure inconsce, amori e dipendenze (che cos’è l’amore se non una dipendenza). È in sostanza una versione più traumatica del viaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie, è un Giovane Holden in versione femminile che abusa di farmaci come se avesse sbagliato storia e fosse capitato in Trainspotting.

Il nemico è dentro di te

Negli scacchi la cosa più importante è la strategia. Adottare una buona strategia significa rimanere vivi dentro il perimetro della scacchiera. Vale lo stesso anche nella vita, come ci racconta la formazione della splendida protagonista della miniserie, la straordinaria Anya Taylor-Joy (già vista in Peaky Blinders e protagonista di Emma). Quando si gioca a scacchi si cerca la propria identità. Ma non si fa solo quello. La si cerca e quando la si trova - questo è l’ostacolo più duro - la si deve accettare. Gli scacchi sono più violenti - per dire - della boxe. Lì si sale sul ring e ci si sfoga menando l’avversario, qui il nemico da combattere è dentro di noi. E si è soli, di fronte al nostro io.

Che cosa ci salverà

Ci salverà il talento, la strategia che abbiamo maturato nel corso degli anni, forse la fortuna. Ci salverà l’autostima che avevamo perduto e poi ritrovato, quell’autocontrollo che ci permette di mantenere l’equilibrio di fronte all’abisso, magari - chi lo sa - a salvarci sarà l’amore. Non sveliamo il finale de La Regina degli scacchi (sappiate solo che merita decisamente la visione), basti qui sapere che per trovare chi siamo è necessario fare un viaggio allo stesso tempo lunghissimo e brevissimo. È il viaggio che ognuno di noi fa dentro se stesso, caricando sulle spalle il dolore e la speranza di farcela, perché negli scacchi - come nella vita - la mossa che regola un mondo non è mai l’ultima, ma la prima.