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“Dialogo, dettagli e partite a scacchi. Così allungo la magia di Federer” (Semeraro). Camporese: «Che emozioni in Coppa Davis» (Gallo). Seppi: spalo la neve e imparo a cucinare (Semeraro)

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“Dialogo, dettagli e partite a scacchi. Così allungo la magia di Federer” (Stefano Semeraro, La Stampa)

C’è chi in quarantena si annoia, chi ridipinge casa. Ivan Ljubicic, ex numero 3 del mondo e allenatore di Roger Federer, sfida i campioni di scacchi. In una simultanea ha pareggiato con Maxime Vachier-Lagrave, il numero 5 del mondo: si sta preparando al Mondiale? «Non esageriamo. Però gli scacchi mi sono sempre piaciuti, fin da bambino. Ho sempre amato ragionare sulle strategie, le cose veloci non fanno per me, non riuscirei mai a fare un videogioco della Formula 1. Quando giocavo mi aiutavano molto a rilassarmi, oggi ho poco tempo ma seguo comunque il tour e i suoi personaggi. Il mio favorito è Magnus Carlsen. Ci sono campioni che lo sport sanno cambiarlo, come Tiger Woods nel golf, Muhammad Ali nella boxe, Borg e Federer nel tennis. Carlsen è il Federer degli scacchi».

A proposito, con Federer gioca?

Sì, qualche volta capita. Il suo stile è ovviamente sempre all’attacco. Gli piace soprattutto mangiare più pezzi possibile…

Roger come sta vivendo il lockdown?

È in fase di recupero dopo l’operazione al ginocchio, quindi per il momento la pausa non ha inciso molto. Visto che i tempi si allungano sarà pronto per la ripresa. Per ora non abbiamo parlato di programmazione . Ma lui pensa di giocare fino a 100 anni, quindi…

E Ljubicic cosa vuole fare da grande?

Sto sviluppando la mia società di Management, U Sport Group. L’idea è sviluppare un concetto nuovo di management sportivo, per aiutare sia i giocatori sia i coach. Al momento c’è tanta confusione nel tipo dei contratti, va bene essere free-lance ma il professionismo non è così, servono più tutele.

Si considera più forte come tennista o come allenatore?

Bella domanda. Non ci ho mai pensato. Da tennista ho dato il massimo. E da coach, prima con Raonic e poi con Federer, credo di aver fatto un buon lavoro. Facciamo un pareggio.

Cosa pensa quando sente dire che i progressi di Federer sono merito suo?

Che da fuori non puoi giudicare. Alla fine tutti si attaccano ai risultati, a volte neppure un coach capisce davvero perché un giocatore fa una cosa in campo. Con i top-player raramente si interviene sulla tecnica, è un lavoro più profondo, fatto di dettagli. Loro viaggiano già a mille all’ora e tu puoi sperare di incidere in una piccola percentuale qui e là, ma non c’è grande margine. Un buon allenatore deve saper ascoltare e separare il lato emotivo da quello obiettivo. È un lavoro complesso. Io parto dall’idea che bisogna far maturare il giocatore. Non può essere il coach a decidere tutto. Con il tennis smetti a 30-35 anni, se sei sempre dipeso da un’altra persona, dopo come fai?

Secondo lei quando si ripartirà?

Non lo decidiamo noi o l’Atp, ma i governi che devono dare semaforo verde per gli spostamenti. È quello il vero problema. Si immagina il Roland Garros senza americani? Quindi sono molto preoccupato. Il tennis sarà uno dei primi sport a riprendere come pratica, ma temo uno degli ultimi a livello professionistico. E non so chi potrà essere più avvantaggiato alla ripresa. C’è chi in questo periodo si è allenato, chi non ha potuto farlo. Un po’ di vantaggio lo do a chi ha più esperienza nel gestire le emozioni, ma è vero che gli “anziani” avranno un anno in più. Dopo ogni pausa invernale ci sono grandi novità, figuriamoci dopo quasi un anno. Sì, credo che la ripresa sarà molto interessante.

Camporese: «Che emozioni in Coppa Davis» (Alessandro Gallo, Il resto del Carlino)

Si chiama Omar perché papà Alessandro, che oggi non c’è più, stravedeva per Sivori e per i colori bianconeri. Lui è Omar Camporese, prossimo ai 52 anni (li compirà l’8 maggio) che per Giampiero Galeazzi era il «turbo-dritto». « – se la ride oggi Omar -. Su quel colpo ho costruito gran parte della mia carriera». Classe 1968, miglior risultato il 18° posto in classifica raggiunto nel febbraio 1992. Ha battuto tutti i più grandi campioni, con l’eccezione di Boris Becker. E dire che l’inizio avviene quasi per caso. «Avevo 10 anni – racconta -. Accompagnai papà che doveva giocare a tennis al circolo tennis Aurora. Quando terminò la partita di papà presi la racchetta in mano e cominciai a palleggiare contro un muro. C’era ancora la possibilità di allenarsi così». La svolta, un giorno, in un altro circolo bolognese. «Mi trovavo al Nettuno. Stavo giocando e mi vide una signora che mi disse di presentarmi alla Virtus dal maestro Lele Spisani». E’ il 10 maggio 1978: primo incontro tra Omar e Spisani. Omar ha dalla sua il talento, il maestro Spisani la capacità di trasmettere passione e disciplina per accompagnare gli allievi nella crescita. La carriera di Omar è già scritta: a 12 anni comincia a vincere i primi tornei giovanili, a 13 finisce nei centri tecnici federali. Si laurea campione under 18 con un anno d’anticipo. La strada è tracciata. «La partita perfetta? A Bolzano, contro Sanchez. Quel giorno avrei potuto giocare a occhi chiusi. Qualsiasi colpo finiva dove l’avevo pensato. In quella occasione ho rasentato la perfezione». Tra le sue vittime Ivan Lendl, ma anche Stefan Edberg, Goran Ivanisevic, Michael Stich, Jim Courier, Pete Sampras. Un solo rimpianto, doppio. «L’unico che non sono mai riuscito a battere è Boris Becker. Anche se – ricorda Omar – fui sconfitto in Australia una volta, in volata, pur avendo fatto più punti di lui». II ko più bruciante, però a Dortmund, in Germania. «Era una sfida di Coppa Davis. Ero avanti nei set 2-0. Ci furono almeno 2-3 chiamate strane. Cambiò tutto. Vinse lui 3-2». Ma quelle chiamate strane (per non dire di peggio) cambiarono la storia degli arbitraggi: da quel giorno i giudici di sedia non furono più scelti, in Davis, dalla nazione ospitante. C’è stato un tempo nel quale Bologna ospitava gli internazionali. Si giocava al Cierrebi, dove Omar si sentiva a casa. Il flash più bello è legato al confronto con Guillermo Perez Roldan. Il centrale di via Marzabotto è murato: non entrerebbe nemmeno uno spillo. Ma fuori, a sentire i boati del pubblico, che prova a dare la spinta giusta a Omar, ci sono almeno 3mila persone. Ha ancora un primato, Omar, la sfida di Davis in Brasile, a Macejo contro Luiz Mattar. Finisce 6-3, 5-7, 6-4, 6-7, 6-4 per Omar che resta in campo per più di sei ore. «Trasferta da dimenticare – spiega -. Avevo già i miei problemi al braccio. Si gioca in un impianto costruito sulla spiaggia. Un caldo pazzesco e succedono cose incredibili. Stefano Pescosolido disidratato, il telecronista Rai coinvolto in un incidente d’auto con qualche frattura. Non ne va bene una. Ma la Davis è sempre stata un’emozione unica. Non avevo bisogno di stimoli per giocare, però indossare la maglia della mia Nazionale, difendere l’onore e il prestigio del mio paese mi regalava emozioni straordinarie. Il clima che respiravo in Davis era speciale».

Seppi: spalo la neve e imparo a cucinare (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Andreas Seppi fa parte del gruppo di italiani d’America del tennis: ormai da tempo si è trasferito assieme alla moglie Michela, a Boulder, in Colorado, dove a fine febbraio è nata la piccola Liv. A Sarasota, in Florida, vive Paolo Lorenzi, e sempre in Florida, ma a Boca Raton, è per il momento “confinato” Matteo Berrettini. Andreas, voi”espatriati” vi tenete in contatto? «Sì, ci sentiamo e ci scriviamo. A febbraio Matteo voleva venire qui in Colorado a sciare con Ayla: purtroppo il giorno dopo hanno chiuso gli impianti e non se n’è fatto nulla».

Da Caldaro a Boulder, sempre montagne. E le tocca spalare la neve.

Qui ce n’è davvero tanta. Abitiamo a 2500 metri, ancora a fine marzo c’è stata una nevicata da mezzo metro. Quindi mi sono dovuto dare parecchio da fare.

Com’è la situazione da lassù?

L’America è molto grande, ogni stato ha regole diverse. A New York, in California e nello stato di Washington la situazione è molto grave, qui a Boulder i casi sono pochissimi. I negozi sono chiusi, come i palazzetti e i centri sportivi, ma si può circolare senza limitazioni, non è come in Italia. Fino a domenica scorsa erano rimasti chiusi i campi pubblici, io sono riuscito a giocare due volte alla settimana su un campo privato insieme a un mio amico. Usavamo sei palle: su tre avevo scritto la S di Seppi e con le mani toccavo solo quelle. Ora forse riuscirò ad andare in un circolo qui vicino, ma allenarsi tutti i giorni non avrebbe neanche senso, visto che nessuno sa se e quando si riprenderà.

Lei che idea si è fatto?

C’è chi dice che per quest’anno è impossibile, chi che già ad agosto a porte chiuse si ricomincerà Non si può ancora capirlo. Ed è davvero frustrante. Recuperare tutti i tornei è impossibile, già sarebbe molto riuscire a giocare quelli importanti.

Da veterano la preoccupa una pausa così lunga?

Ho 36 anni, a questa età perdere un anno non è il massimo. Per un over 35 ricominciare sarà diverso che per un ventenne: l’importante è tenersi in movimento, senza esagerare. […]

Ora nel team del suo coach Massimo Sartori c’è anche Marco Cecchinato: girerete insieme per tornei?

Con Marco ci conosciamo da tanti anni, si allenava a Caldaro quando aveva 18 anni. Dipenderà dalla programmazione, io preferisco il cemento e lui la terra, ma sicuramente dove possibile saremo insieme.

Il tennis non è uno sport di contatto. secondo lei è giusto riaprire i circoli, mantenendo condizioni di sicurezza? Le limitazioni che sono state confermate hanno scontentato molti maestri e gestori di circoli.

In campo si sta molto distanti. Il problema alla fine sono le palline, ma comunque una lezione riesci a farla se ti organizzi bene: basta mettersi d’accordo che le palline le tocca solo l’allenatore, o che si personalizzino. Serve un po’ di buona volontà. Tenere ancora tutto chiuso mi sembra esagerato. Io sarei disposto anche a giocare senza raccattapalle. L’ho già fatto, nei due Challenger dopo gli Australian Open, a Dallas e Newport Beach: nessun problema. Troviamo delle regole che siano sicure per tutti e non credo che qualcuno protesterebbe. […]

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