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Irma Testa: «La boxe mi ha salvata, ora io aiuto lei»

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Irma Testa: «La boxe mi ha salvata, ora io aiuto lei»
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Irma Testa: «La boxe mi ha salvata, ora io aiuto lei»

«Da piccola in me c’era rabbia. Soprattutto verso ciò che non capivo, verso quella distinzione di casta che c’era tra me e un altro compagno di scuola, con la casa perfetta nella parte bella della città, mentre il mio palazzo cadeva a pezzi. Oggi so che quella rabbia è servita per avere la cazzimma in più che mi ha portato a essere chi sono oggi». Irma Testa ti dice le cose come stanno, come un dritto che arriva secco sul setto. Pum. Lei a Torre Annunziata, comune della città metropolitana di Napoli, ci è nata e se la porta addosso con un misto tra orgoglio e voglia di ribalta.

La prima pugile italiana della storia a qualificarsi per le Olimpiadi ha scritto nella sua storia parti di quella terra perché senza di lei forse non sarebbe arrivata così in alto. Per questo la oggi ventiduenne ha aderito al progetto promosso da Juice Plus+ “Verso Il Sol Levante” con un video che avrà come filo conduttore il claim “Una ragione al giorno” come costante ricerca di motivazione verso le Olimpiadi di Tokyo 2020. Verso il Sol Levante avrà anche una declinazione di Corporate Social Responsibility che permetterà vari interventi in termine di donazioni di materiali e attrezzature che possano aiutare associazioni sportive in difficoltà a continuare a operare sul territorio incentivando la pratica sportiva.

Quello di Torre Annunziata è il primo di questi progetti e la palestra ASD Boxe Vesuviana, venerdì 5 luglio alle ore 11, riceverà la donazione che servirà per il rifacimento della sala performance e nella ristrutturazione di alcune parti della struttura. «Quando l’ho detto al mio Maestro, si è messo a piangere, non ci credeva». È proprio questa infatti il luogo dove la farfalla, come l’ha soprannominata il suo Maestro storico Lucio Zurlo, ha incontrato la boxe.

Si ricorda il suo primo giorno in palestra?
«Lo ricordo benissimo. Ero già una ragazzina che voleva emergere in qualcosa ma non sapeva bene in cosa. Soffriva e stava stretta in quei posti e parlo del quartiere dove sono nata e cresciuta. Sono innamorata di quel quartiere, di quei luoghi e panorami mozzafiato, ma la realtà è che  non c’è spazio per tutti noi. Qualcuno è fortunato, ma la maggior parte non lo sono. Il fortunato è quello che si dà da far: io ho trovato un maestro che me lo ha insegnato e trasmesso, mi ha fatto capire come lo sport potesse diventare importante per me per trovare la mia strada».

Ci racconta del Maestro Lucio Zurlo?
«L’ho conosciuto che avevo 12 anni. Era più di un allenatore, una di quelle persone che cammina per strada e prende i ragazzi più “scostumati”, che non vanno a scuola, che fanno le marachelle e li portava in palestra. Fa ancora così. Oppure sono le mamme disperate di questi figli che non hanno una motivazione nella vita e allora lo chiamano e lui li porta a tirare sul ring. Loro lo seguono per divertimento, qualcuno ci resta e diventa un campione, qualcuno ci resta e non diventa un campione, ma comunque ha una motivazione perché si allena per obiettivi. Lo scopo è quello di toglierli dalla strada e da tutti i problemi che la strada comporta».

Anche per lei è iniziata così?
«Sì. Ho seguito le orme di mia sorella che faceva pugilato. Ho avuto momenti in cui altri maestri mi cacciavano dalla palestra e me ne andavo, mentre maestro Lucio veniva per strada e mi ripigliava. Credeva in me, in quella ragazzina di 12 anni».

Com’era quella ragazzina?
«Non mi piaceva la scuola, per fortuna ho avuto una madre che me lo imponeva. Mi piaceva solo fare casino in strada e giocare. Si inizia così dalle mie parti ma poi finisci in un buco nero che può essere un destino già scritto. Penso che noi persone di qui posti abbiamo un destino segnato, con la donna che sta in casa, non lavora, pensa alla famiglia, ad accudire i figli e ad aspettare il marito che entra ed esce dalla galera. Per i maschi è diverso, devono addestrarsi, seguire i più grandi e quindi gli esempi sbagliati questo perché siamo circondati da quello e c’è solo quello. Io per fortuna attraverso lo sport ho capito che lo sport avrebbe potuto portarmi su una strada sana. Per fortuna ho avuto una persona che me la ha indicata».

In che modo?
«Maestro Lucio mi chiedeva “che vuoi fare nella vita? Vuoi fare questo per sempre? Rovinarti o diventare qualcuno? Vuoi diventare qualcuno?”. Io non sapevo cosa volevo diventare».

Ora lo sa?
«Ora la so».

E cosa vuole diventare?
«Un’atleta che nel pugilato italiano lascia il segno. L’ho fatto qualificandomi a Rio 2016 e vorrei essere la prima donna a portare una medaglia all’Italia dalle Olimpiadi».

Cosa direbbe a un’ipotetica Irma dodicenne oggi?
«Mi sono trovata nei quartieri e nelle scuole a raccontare la mia storia e far capire che c’è sempre una seconda possibilità dove non la vediamo. Ci sono ragazzine interessatissime e incredule che inizialmente non ti vogliono ascoltare e poi si appassionano e questa è una cosa bellissima».

Cos’ha il pugilato di così magnetico per lei?
«Il fatto di essere da soli sul ring. Hai una squadra, però lì sei tu, non puoi scaricare la colpa su nessuno. E poi il rapporto con l’avversario perché prima che i corpi reagiscano, ci sono due teste che ragionano tra di loro. Devi studiare la persona e in questo modo entri sempre nella testa delle tue avversarie, le capisci, provi a entrare in contatto con loro».

È una scuola di vita?
«Sì. È come se avessi una chiave di lettura diversa quando incontro una persona qualsiasi. Non mi spaventa il rapporto con qualcuno di diverso da me, perché ho imparato a rispettare l’avversario sul ring anche se so che vuole quello che voglio io: una medaglia e una vittoria sul ring. Se ho imparato il rispetto verso qualcuno con cui mi sto per menare, perché non dovrei mantenerlo con qualsiasi altra persona che incontro per strada e nella vita in generale?».

Da Rio ancora diciottenne, verso Tokyo. Come è cambiata Irma in questi anni?
«Sono cresciuta anche di testa. Ho preso tutta l’amarezza che mi aveva lasciato la delusione di Rio, ho capito cosa avessi sbagliato. Ero troppo giovane e la pressione era troppo alta allora. Ho preso il marcio e l’ho trasformato in positivo. Se avevo sofferto un’ora in meno in palestra, ora mi ci dedico un’ora in più perché so che è quello che è mancato. Cerco di divertirmi sempre, a Rio non mi sono divertita, l’ho presa troppo seriamente, e non va bene. Ho capito che prima di tutto mi devo divertire su ogni ring. Se mi diverto, vado spensierata e quello che c’è, c’è».

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