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Il dibattito sull’Imola GP: perché noi, in Italia, non ci si limita!

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Benvenuti al dibattito post Gran Premio Col Titolo Più Lungo Del Campionato (perché noi, in Italia, non ci si limita), altrimenti meglio noto come Gran Premio Del Chi Troppo Vuole Nulla Stringe Vieppiù In Casa (perché noi, in Italia, non ci si limita) e passato alla storia come Gran Premio Del Trionfo Delle Solite Storie E Delle Magre Figure (perché noi, in Italia, non ci si limita).

Noi, in Italia, non ci si limita: partiamo da qui, da un anacoluto, da un costrutto atavico e ricorrente nella nostra magnifica lingua, succosa e stratificata come una lasagna romagnola. 

Abbiamo una lingua magnifica, usiamola soprattutto per cercare di descrivere in quale meraviglioso scenario ha avuto luogo questo Gran Premio dell’Emilia Romagna e del Made In Italy, un concentrato di storia del motorsport adagiato su un esempio di integrazione di paesaggio e urbanistica che è una gioia per gli occhi in qualunque momento dell’anno, anche in questa stagione, quando, oltre alla pioggia che arriva anche trasversalmente spinta dal vento, ti arriva addosso una nevicata lanuginosa che ti si attacca addosso, come la passione per la macchina rossa sulla pelle dei tifosi. Pensiamo a questo, mentre dall’altra parte del mondo, per la prossima gara, si stanno impegnando – tantissimo! – per allestire una finta marina.

Capita, invece, che questa lingua venga usata per strillare con entusiasmo acritico invece di leggere i numeri, che, alla prima vera prova in condizioni di incertezza, davano la Red Bull in netto vantaggio. Una posizione che questa squadra difficilmente regala quando non è afflitta da rotture, ragion per cui bisognava evitare di dar loro il fianco. Non è mai stato facile, al contrario di quanto, dopo sole tre gare, si asseriva da più parti, e adesso è tutto più complicato; se non bastasse la giusta frustrazione dei piloti di casa Ferrari per aver lasciato nelle proverbiali vie di fuga in ghiaia parecchi punti – più incolpevole Sainz di Leclerc stavolta – ora dovranno e dovremo subire le mirabolanti argomentazioni a riguardo del magico trio Horner – Marko – Verstappen senior su presunte crisi, sbandamenti, involuzioni e quant’altro. Intanto la risorta McLaren ringrazia.

Capita, inoltre, che questa lingue venga usata per dileggiare chi ha dileggiato per anni tutto il Circus con la propria imbarazzante – per gli altri – superiorità, come se non si sapesse che un pluricampione iridato alla guida di una monoposto a sua volta pluricampionessa non smette da un giorno all’altro di essere tale. Tutti i cicli affrontano culmini, picchi negativi e punti di flesso: Hamilton e la Mercedes sono attesi alla prova cruciale, vale a dire dimostrare che il detto secondo il quale vale più come ci si rialza ogni volta rispetto a quante volte si cade sia il tratto distintivo del campione e non soltanto una frase ad effetto tratta dalla sceneggiatura di Rocky. Nonostante il prode Lewis preferisca Mohammed Alì.

La nostra lingua è, ancora, stata usata per decantare e alimentare il tanto celebrato calore dei tifosi, i quali sono stati, tuttavia, mollati a barcamenarsi fra servizi inesistenti, strutture carenti, parcheggi ridotti peggio della palude che inghiotte il cavallo Artax ne La storia Infinita (ed ecco a voi la dose di trauma infantile riportato alla memoria: non ringraziatemi). Perché in Italia, noi non ci si limita: si vuole l’apice senza adeguarsi alla salita. Per sempre così, metà giardino e metà galera.

Proprio con la galera concludo, scrivendo che no, non ci manderei tutte quelle forme di vita diversamente imbecilli  – alle quali mi viene difficile trovare una definizione secca – che hanno mal pensato di rivolgere via social minacce e insulti irripetibili a Daniel Ricciardo, reo di aver coinvolto Carlos Sainz nell’incidente al primo giro che ne ha, poi, causato il ritiro. Non li manderei in galera: troppo facile. Gente che ha usato testa, mani e lingua in questo modo, insozzando un mondo in cui io ho ambientato il mio primo romanzo, il mio mondo, mi disgusta quasi quanto la guerra, pertanto auspicherei una punizione più incisiva.

Perché noi, in italia, non ci si limita, ma quanto sarebbe meglio se qualche volta non ci si facesse riconoscere!

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