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Dai venturi al “porpoising”: com’è cambiato il fondo e la dinamica delle F1

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Porpoising. È il gergo tecnico del momento. Come era prevedibile e preventivabile, questo fenomeno è tornato in auge con le nuove monoposto di F1, caratterizzate da un effetto suolo decisamente importante.

Come avrete senz’altro letto, il “porpoising” è un tipico fenomeno aeroelastico che qualifica in modo particolare le vetture ad effetto suolo. Il fenomeno è noto da decenni, sin dalle prime wingcar in auge, in F1, tra la fine degli Anni ’70 ed il 1982.

Si tratta di un fenomeno di isteresi aerodinamica. Se in campo aeronautico si parla essenzialmente di “divergenza” (instabilità statica) e “flutter” (instabilità dinamica), in ambito motorsport si parla di instabilità di pompaggio e di beccheggio. Per pompaggio si intende un movimento oscillatorio verticale del corpo vettura. Per beccheggio, invece, si intende un movimento oscillatorio rotatorio.

Con il “porpoising” siamo in presenza di un pompaggio del corpo vettura. In estrema sintesi. La deportanza è un fenomeno auto-esaltante: al crescere della velocità del veicolo, aumenta il carico deportante. Quando la vettura è soggetta ad un surplus di carico, essa si abbassa verso il suolo sino a provocare un vero e proprio stallo. Si verifica, pertanto, il distacco del fluido.

La vettura, dunque, priva di downforce, tenderà ad alzarsi nuovamente rispetto al suolo. Ma, nuovamente soggetta al ripristinato carico deportante, la vettura si riabbasserà e incapperà in un nuovo stallo. Si tratta, dunque, di un fenomeno ciclico che si interrompe solo quando le condizioni aerodinamiche diventano, per semplificare, stazionare.

Il “porpoising” ha creato grattacapi a tutti i tecnici che hanno avuto a che fare con vetture ad affetto suolo, F1 e non solo. Basti pensare al caso della Peugeot 905 Category 1. Questa splendida vettura Prototipo, nella sua prima versione (1990-metà 1991), lamentava un eccesso di deportanza all’anteriore. Questo si abbassava verso il suolo sino a raggiungere una soglia critica: a quel punto, a stallo avvenuto, il muso si rialzava. Ma ripristinate le condizioni di downforce, il ciclo ricominciava, e così il pompaggio. La vettura, in definitiva, risultava mokto ostica da guidare nei tratti veloci.

Il “porpoising” è un fenomeno risolvibile? Certamente. Occorre, a riguardo, ottimizzare e armonizzare tutti gli elementi aerodinamici e meccanici interessati: altezze da terra, incidenza delle ali, rigidezza delle sospensioni e così via. Ma soprattutto, essendo un problema di natura aerodinamica, occorre intervenire, appunto, sull’aerodinamica delle vetture.

In presenza di sospensioni attive, questo fenomeno sarebbe stato di entità inferiore o più facilmente arginabile.

Ricordiamo, infatti, che le sospensioni attive ottimizzano automaticamente l’aerodinamica della vettura in ogni condizione di marcia, trasformando tutto il corpo vettura in un dispositivo aerodinamico mobile tanto rispetto al corpo vettura stesso quanto al suolo.

L’effetto suolo è un meraviglioso cosmo che, spesso, si tramuta in una lama a doppio taglio. Con il passaggio al fondo piatto provvisto di profilo estrattore posteriore e l’abolizione delle wingcar provviste di minigonne, i tecnici erano riusciti a realizzare elevati valori di downforce attraverso il fondo lavorando anche sulle altezze da terra del fondo stesso.

Tutti ricorderanno le altezze da terra minime raggiunte tra la seconda metà degli Anni ’80 ed il 1994. Il fondo delle vetture era talmente radente al suolo che arrivava a toccare reiteratamente l’asfalto, producendo scie di scintille. L’intento, ovvio, era ridurre la sezione di passaggio dell’aria (fluido più veloce = aumento della depressione) e contenere i flussi che dall’esterno penetravano sotto il fondo richiamati dalla depressione.

Infatti, al diminuire della sezione di passaggio dell’aria, si ha un aumento della deportanza. Nel caso delle vetture Anni ’80-’90, inoltre, il pompaggio del fondo sul suolo era utile alla energizzazione dello strato limite: la strada, infatti, fungeva da parete mobile del tunnel Venturi che si realizzava tra fondo (dalla strozza sino all’uscita del diffusore) e suolo.

Le monoposto di F1 2022, come avrete notato, palesano un fondo molto diverso rispetto a quelli visti e conosciuti nel recente passato. Anche le parti perimetrali, ora, sono assai vicine al suolo: alle alte velocità — e sotto l’azione di molti chili di carico deportante — la sezione di passaggio si riduce a pochissimi centimetri, per non dire millimetri.

Sino al 2021, invece, eravamo abituati a vedere lo Step Plane — per regolamento rialzato rispetto al Reference Plane — decisamente più alto rispetto al suolo. Gli assetti rake — scomparsi con l’avvento delle F1 2022 — amplificavano l’altezza da terra dello Step Plane.

Ad energizzare il flusso che investe i tunnel Venturi, ora, intervengono i vistosi generatori di vortici posti all’ingresso dei Venturi stessi. Si tratta di una soluzione non inedita. Sulle F1 pre-2022 del recente passato, erano già presenti siffatti — sebbene di dimensioni più ridotte — elementi, posti nella porzione di fondo piatto proprio sotto le pance. In questa zona, il fondo realizzava un rialzo, così da favorire il passaggio dell’aria diretta verso il fondo ed il diffusore posteriore.

Numerose altre vetture delle più disparate categorie hanno fatto e fanno ricorso ai vortex generators collocati a monte dei Venturi. In questa gallery, è possibile apprezzare alcuni esempi: si va dalla Lola CART del 2001 alla passata Dallara IndyCar, dalla ex Dallara GP3 (le frecce indicano i VG ed il Venturi) alla Panoz DP01 Champ Car, dalla Ferrari SF71H F1 (esempio di moderni generatori di vortici posti all’ingresso del fondo piatto) alla Onroak-Ligier S5000 in uso nel campionato di categoria australiano.

[See image gallery at www.circusf1.com]

Le vetture di F1 2022 stanno portando all’estremo tale configurazione. I vortex generators all’ingresso dei Venturi infatti, presentano dimensioni particolarmente generose. Assai estreme, nella fattispecie, le configurazioni adottate dalla Mercedes F1 W13, Red Bull RB18 e Williams FW44 (solo per citare tre esempi). L’elemento più esterno e che si protende più in alto e in avanti funge da autentico deviatore di flusso.

La ricerca non si ferma ed ecco che i tecnici progettisti hanno riversato le conoscenze e le soluzione tecniche adottate negli ultimi anni sulle nuove vetture. Le estremità del fondo delle varie monoposto, infatti, presentano ondulazioni, soffiaggi, rientranze, spigoli, profili a “lama”, espedienti finalizzati a realizzare le ormai famose “minigonne pneumatiche” o “minigonne d’aria“.

In assenza di reali minigonne “fisiche” (ancora in uso sulla Dallara Formula 2, in foto), i tecnici cercano di ricreare il sigillo tra fondo e suolo indirizzando l’aria energizzata verso il suolo, così da creare una barriera d’aria atta a preservare quanto più possibile la depressione che regna all’interno dei tunnel Venturi.

Non solo. Alcuni interventi sui bordi d’uscita del fondo delle monoposto 2022 sono intesi a lenire proprio i suddetti fenomeni di “porpoising” riscontrati a Barcellona, cercando, cioè, di “scaricare” il fondo stesso con apposite aperture. Si preferisce tale soluzione a quella che prevede di alzare la vettura rispetto al suolo, eccessivamente deleteria in termini prestazionali. Sulla Mercedes F1 W13, invece, sono stati installati dei tiranti di sostengo in corrispondenza della parte più arretrata del fondo e dell’uscita dei Venturi. L’intento è limitare la flessione del fondo verso il suolo.

A Sakhir sono attese novità.

Tanti contenuti per una Formula 1 2022 appena agli inizi.

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