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Caster Semenya non andrà ai Mondiali: una storia di diritti negati

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Ai Mondiali di atletica leggera di Doha, dal 28 settembre al 6 ottobre, Caster Semenya non ci sarà. La sua colpa è quella di essere nata con caratteristiche cromosomiche particolari, con una delle anomalie genetiche che rientrano nella più ampia e complessa gamma dell’intersessualità. Caster è una donna ma il suo corpo produce tanti ormoni maschili, molti più di quelli delle altre che gareggiano con lei. E per farla gareggiare la IAAF (la federazione internazionale di atletica leggera) le ha imposto di sottoporsi a pesantissime cure per abbassare il livello del suo testosterone fino a un massimo di 5 nanomoli per litro di sangue. Un obbligo che riguarda lei e le altre atlete «con caratteristiche 46 XY», disgenesia gonadica pura, una condizione che colpisce una nascita ogni 150 mila.

Se cercate su Google il suo nome e cognome, il primo suggerimento che vi darà il completamento automatico sarà «Caster Semenya uomo». Una voce infondata con cui la mezzofondista sudafricana ha dovuto combattere da quando a 18 anni si impose negli 800 metri ai Mondiali di Berlino 2009. All’epoca la IAAF obbligò la federazione sudafricana a fare su di lei visite e test per accertarne il sesso. I risultati non sono mai stati diffusi per tutelarne la privacy, ma nel luglio del 2010 la IAAF riammise Caster alle gare. Da allora ha vinto tre ori Mondiali e due olimpici, facendo sempre gare di testa, sostanzialmente inavvicinabile per le altre, mentre alle sue spalle emergeva la burundese Francine Niyonsaba, storia simile, argento olimpico e mondiale in carica.

Caster non perde un 800 da dal settembre 2015, sono 31 successi di fila, compreso l’ultimo in Diamond League, a Palo Alto, il 30 giugno. La protesta della altre atlete, relegate a lottare per i piazzamenti dal terzo in giù, ha costretto la IAAF a prendere una decisione sofferta. Ma quella che per la federazione e le sue rivali è una norma giusta per garantire che tutte possano competere ad armi pari, per Caster e chi è nella sua stessa condizione è una grave violazione dei diritti umani. È giusto obbligare una persona a cambiare il suo stesso essere sottoponendosi a pesanti cure ormonali? È corretto escludere dalle competizioni le intersex che decidono di restare tali perché magari giunte oggi al termine di un lungo e complicato percorso di accettazione di se stesse?

Il dibattito è aperto da dieci anni e non trova una risposta definitiva, spaccando l’opinione pubblica e gli esperti tra chi sostiene che la caratteristica dell’intersessualità non sia poi diversa da qualunque altro vantaggio genetico che un atleta possa avere sulla concorrenza e chi invece sostiene che Caster sia un uomo. Una grossolana imprecisione a cui peraltro ha contribuito la stessa IAAF, sentenziando che la mezzofondista sudafricana è «biologicamente maschio» pur avendo sviluppato caratteristiche femminili.

Francine Niyonsaba pare essersi arresa, Caster no. Ha detto più volte di essersi sentita violata, «trattata come una cavia da laboratorio», ma non la fermerà nemmeno l’ultima sentenza del Tribunale federale svizzero, che ha annullato la precedente sospensione temporanea ad personam chiesta e ottenuta da Semenya a giugno. Ad personam sembra essere pure lo stop impostole, dal momento che riguarda solo le gare tra i 400 metri e il miglio, guarda caso proprio quelle frequentate da Caster, che teoricamente potrebbe presentarsi al Mondiale per correre un 5.000 o un 10.000, gare che però non rientrano nel suo bagaglio tecnico.

Così a Doha non ci sarà, ma ha deciso di continuare a lottare. Perché non si tratta solo di medaglie e degli ottimi guadagni a esse legate. In ballo c’è una questione di diritti umani, che certamente pesano più di un titolo olimpico. I diritti di un’intera categoria di persone che si sente esclusa da entrambi i sessi, confinata in uno strano limbo in cui è impossibile competere con gli uomini e proibito farlo con le donne. E a prescindere dalle opinioni personali e dagli interessi delle due parti, non c’è dubbio che questa sia una brutta storia. E che il Mondiale di Doha sarà coperto da un velo di tristezza e malinconia, pensando a Caster e a chi, come lei, non potrà gareggiare.

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