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Carlotta Ferlito: «La ginnastica artistica e i disturbi alimentari»

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Questo articolo è pubblicato sul numero 46 di Vanity Fair in edicola fino al 17 novembre 2020.

Certi allenatori buttavano lì i commenti con leggerezza: «Sei grassa come un maiale, stendi quei prosciutti». Ora che di anni ne ha 25, Carlotta Ferlito, professione ginnasta, secondo lavoro influencer, se li ricorda ancora benissimo. A volte, racconta, la notte rivive quelle scene e scoppia a piangere nel suo letto. «Ma sono solo momenti, poi passano». Perché, spiega, oggi la situazione nella ginnastica artistica è nettamente migliorata. E i segnali dell’evoluzione sono piccoli gesti significativi: «Certe cose non si dicono più, non si fanno più. Prima si facevano salire le ginnaste sulla bilancia due volte al giorno, poi si è smesso: io ho vissuto il passaggio sulla mia pelle. Purtroppo anche io ho avuto un periodo in cui mangiavo troppo poco. Mi fa piacere che le campagne di sensibilizzazione sui disturbi alimentari abbiano fatto breccia nella sensibilità e nei comportamenti di tante persone che lavorano nello sport».

Tra le sue specialità ci sono la trave e il corpo libero, ma anche un carisma mediatico che, ancora minorenne, l’ha portata alla notorietà con il docu-reality di Mtv Ginnaste-Vite parallele. Nata a Catania, Carlotta vive e si allena da molti anni a Milano e oggi aspetta di sapere se le qualificazioni per le prossime Olimpiadi riprenderanno, pandemia permettendo. Nella sua carriera ha già partecipato, tra le altre gare, ai Giochi olimpici giovanili di Singapore, nel 2010, e alle Olimpiadi di Londra 2012 e Rio 2016.

Ha cominciato a cinque anni, ma già a otto era nella ginnastica agonistica. Quando ha capito che non era più solo un gioco?
«Quando a 12 anni un talent scout mi vide e disse ai miei genitori che, per fare il salto di qualità, mi sarei dovuta trasferire a Milano. Ero una bambina, ma è stata proprio l’incoscienza a farmi dire di sì. Anche perché non ero così brava e non c’era alcuna certezza che avrei potuto gareggiare ad alti livelli».

A 12 anni come si fa a lasciare i genitori?
«Mi allenavo tutto il giorno, poi c’era la scuola da privatista e la sera dormivo da una compagna di ginnastica. Certi giorni piangevo, mi disperavo. Ma mio padre usava la psicologia inversa, diceva: va bene, fai le valigie, vengo a prenderti domani e ti riporto a casa. E io: no! Voglio fare la ginnasta!».

E poi?
«A 14 anni mi sono trasferita in un centro nazionale: allenamenti, scuola e la sera si dormiva tutti in un residence».

Le pesavano i sacrifici?
«Era dura. Ma in quegli anni non avevo molti termini di paragone: la mia vita era la ginnastica, i miei amici erano gli amici della ginnastica, tutto si esauriva lì. Non sapevo cosa c’era dall’altra parte».

E oggi rimpiange di non aver avuto un’adolescenza normale?
«A volte sì, penso che non ho vissuto gli anni del parchetto, dei bacini tra coetanei… ma cos’ho in più? Un sogno che si è avverato. Questo mi rende molto felice».

Avrà imparato a cavarsela da sola molto presto.
«Sì, l’indipendenza è stata un gran dono. Ho 25 anni ma me ne sento almeno 40. Ragiono con una maturità sorprendente».

Da adolescente è diventata famosa con Ginnaste-Vite parallele.
«Un programma che mi ha sconvolto la vita. Io e le altre non capivamo niente delle dinamiche televisive. Vedevamo solo questi ragazzi che facevano le riprese ma non avevamo idea di cosa sarebbe venuto fuori. E poi all’improvviso c’era la gente che ci chiedeva gli autografi e i palazzetti pieni per vederci. È stato scioccante».

È stata anche duramente criticata per la sua carriera in tv.
«Già. Alcune colleghe dicevano che non sarei più stata in grado di allenarmi, che pensavo solo alla tv. Alla fine per colpa di queste pressioni ho lasciato il programma. Ma anche la mia presenza sui social era vista male fino a qualche anno fa. E pensare che adesso sono tutti sui social».

Come deve essere un allenatore per lei?
«Io sono stata fortunata a trovare da bambina Maurizio Ferullo, uno che quando gli hanno detto che sarei dovuta andare a Milano, ha detto soltanto: giusto così. Senza gelosie. Per me l’allenatore deve essere severo al punto giusto, ma anche umano. Insieme si passano tantissime ore della giornata, con lui devo potermi sentire libera di dirgli che mi fa male una caviglia o che è una giornata no o fargli una battuta».

Altrimenti?
«Altrimenti è un incubo. Ci sono tantissimi allenatori durissimi che vedono solo il corpo della loro ginnasta e nient’altro. Poco umani. Me ne sono sempre tenuta alla larga e quando ho avuto la facoltà di decidere, sono stata brava a scegliere».

A che età finisce la carriera di una ginnasta?
«A 25 anni io sono considerata vecchia, ma io mi sento bene e vado avanti finché potrò».

E poi?
«Chissà. Ho sempre escluso la carriera da allenatrice, ma ultimamente mi sono ritrovata a dare qualche consiglio ad alcune ginnaste bambine e sentire la loro fiducia mi è piaciuto molto».

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