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Il baby arciere e la freccia nell’occhio. «Voglio diventare oculista come i dottori che mi hanno salvato la vista»

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CHIOGGIA. Quella domenica del 18 ottobre 2019 Tommaso Varagnolo ha sei anni. È un baby arciere. Si esercita in campo, a Chioggia. Obiettivo, gare nazionali. Il mini atleta prende posto sulla linea. Impugna l’arco. Mira. Tende quanto basta per un tiro che ha già fatto centro migliaia di volte. Scocca la freccia. Poi il buio. La freccia si spezza. Una metà verso il bersaglio, l’altra metà nell’occhio sinistro di Tommaso, per poi uscire di rimbalzo.

«Vedo metà della freccia colpirmi e mi trovo improvvisamente per terra. Sento il frammento che esce dall’occhio e rotola vicino a me. E io a tenermi il viso con le mani. La mamma dice che ho urlato ‘ahia’, ma questo non lo ricordo» ripercorre istante per istante il giovane Tommi, con uno sguardo vispo tornato perfetto “grazie ai miei eroi dell’Angelo”.

Pochi metri in là, durante il lancio, papà Marco, mamma Daniela e il suo istruttore.

«Succede tutto in una frazione di secondo» ricorda il papà, tecnico radiologo «E in quel momento tragico non riusciamo a capire da dove esca quel sangue che nostro figlio ha tra le mani».

Da lì la prima corsa all’ospedale di Chioggia. I medici prestano a Tommaso le cure d’emergenza, ma per la complessità dovuta alla compromissione dell’occhio bisogna trasferirlo velocemente all’ospedale hub provinciale, l’Angelo di Mestre. «Ricorderò per sempre quella seconda corsa, a sirene spiegate, con l’autista dell’ambulanza che impreca contro le auto che non si spostano» dice papà.

Arrivato all’Angelo, l’équipe di Oculistica del primario Emilio Rapizzi decide di operare Tommaso d’urgenza. «Mi dicono la verità - ricorda papà Varangolo -: che la situazione dell’occhio è grave, che non è detto riescano a recuperare l’integrità dell’organo, figuriamoci la vista».

«Questo incidente è eccezionale e unico per la sua dinamica. Dobbiamo andare in sala ma non sappiamo cosa troveremo» spiega Rapizzi al papà «Sarà necessario riorganizzare la struttura dell’occhio che ha perso la sua forma originaria. Intanto cerchiamo di salvare l’occhio. Ce la mettiamo tutta».

L’operazione riesce alla perfezione: si esegue in sala operatoria un’esplorazione del bulbo traumatizzato con sutura della ferita corneo-sclerale.

A dieci giorni dall’incidente, Tommaso è sottoposto a un secondo intervento programmato, una vitrectomia posteriore con rimozione dell’emovitreo e dei residui del cristallino lussati posteriormente. In questa occasione la rottura retino-coroideale viene circondata dal laser.

L’occhio è integro. Nella fase post operatoria però, non si sa ancora se (e se sì, come) ci sarà una ripresa soddisfacente della funzionalità dell’organo. «Papà, mamma non dovete preoccuparvi. Questo dolore all’occhio passerà. Avete visto come sono stati bravi i miei medici? Non ci vedo adesso? Ci vedrò».

Dimettono Tommaso. Dopo qualche giorno, un dolore agli occhi insopportabile lo colpisce all’improvviso. C’è il rischio di una complicazione. Nuova corsa urgente all’Angelo, questa volta con l’elicottero del Suem. «Sono terrorizzato dagli aerei»  racconta papà Varagnolo «e adesso volo sopra Chioggia, e poi Venezia, con Tommaso che urla dal dolore».

«Il problema a causare tutto quel mal di testa in quel momento è relativo alla ‘pressione’ dell’occhio’, risolto in poco tempo con le cure degli oculisti dell’Angelo e la somministrazione di specifici colliri» ricorda ancora il papà «E da lì in poi Tommaso non ha più nemmeno un fastidio».

È però in questo momento, «e ci vengono ancora i brividi a pensarlo - raccontano papà e mamma -, che i medici ci fanno notare non solo che hanno salvato l’organo integralmente, ma anche che l’occhio comincia a riprendere le sue funzioni visive. Aveva ragione Tommaso”.

Oggi Tommaso, a due anni dall’incidente, ha recuperato gran parte della vista. Gioca a calcio, suona l’eufonio al conservatorio «e adesso voglio riprendere a tirare con l’arco. Da grande? Diventerò oculista come il mio eroe, il primario Rapizzi. Ma anche dentista e musicista non mi dispiacerebbe».

«E pensare che abbiamo scelto con nostro figlio il tiro con l’arco perché è uno sport, e lo crediamo ancora fermamente, tra i più sicuri» racconta mamma Daniela, maestra «Anche il suo istruttore è eccezionale. Eppure gli incidenti possono capitare in qualsiasi circostanza. Tommaso ci ha insegnato ad affrontarli. In questo dramma ci ha fatto crescere lui, tanto che vogliamo incorniciare quella mezza freccia che l’ha trafitto, che conserviamo ancora a casa».

«Non c'è regalo più bello dello sguardo ritrovato di Tommaso» commenta il direttore generale dell'Ulss 3 Serenissima Edgardo Contato «Questi due splendidi occhi ci ripagano delle mille fatiche di questi due anni, quando negli ospedali si è continuato a salvare vite nonostante la pressione del Covid: urgenze, operazioni, cure, attenzioni per gli ammalati, dai più piccoli ai più anziani, che, con fatica e ostinata dedizione nei loro confronti, non sono mai venute meno, neanche in questi anni di sconvolgimento pandemico».

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