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Linee tese tra le vette e salti con la tuta alare: la vita da funambolo dell’alpinista Milanese

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Linee tese tra le vette e salti con la tuta alare: la vita da funambolo dell’alpinista Milanese

È uscito “Volare le montagne. Di linee, equilibri e altre libertà” (Ediciclo Editore, 208 pagine, 17 euro), di Marco Milanese, udinese, classe 1987, guida alpina e molto altro. La presentazione nazionale avverrà mercoledì 7 aprile con la libreria La Montagna di Torino e poi il 22 aprile alle 21 a Udine per il Giovedì dell’Alpina on-line. Pubblichiamo un estratto della prefazione del libro, firmata da Mauro Corona, per gentile concessione dell’editore.

* * *

Conosco Marco Milanese da qualche anno. È alpinista, guida alpina e tanto altro. Uno di quei giovani fuori di testa ma con la testa molto a posto. Mi piacciono (forse perché portano ricordi) quei ragazzi che praticano sport estremi, pericolosi, folli, in maniera spontanea, naturale, senza darsi arie né montare in scranno. Negli ultimi periodi ne ho incontrati alcuni.

Ho avuto l’impressione che questi nuovi alpinisti, queste moderne generazioni di sportivi, vivano più sereni di noi quando avevamo la loro età. Nel senso che mi sembrano più liberi, per niente oppressi da freni inibitori, tabù, paure e superstizioni. Demoni che, ahimè, hanno accompagnato le nostre giovinezze.

Invidio questi giovani liberi nel vero senso del termine. Partono e vanno, punto. Se intendono realizzare un’impresa, anche la più assurda, la fanno e basta. O su o giù. Battono le ore delle loro esistenze in silenzio, come le meridiane. Ogni tanto giungono voci, si viene a sapere o da quello o da quell’altro ciò che hanno combinato questi giovani talenti. E vi assicuro c’è da rimanere senza fiato.

Un giorno incontro questo ragazzo semplice e schivo, con idee chiare che generano obiettivi assurdi. Viene a trovarmi a Erto. Salotto buono l’osteria, dove ci accomodiamo. Mi dice: «Sono saltato giù dal Campanile di Montanaia». «Come saltato? Sei scivolato scalando?» «No – risponde tranquillo – mi sono lanciato col paracadute dalla cengia ballatoio». Rimango allibito. Riesco a bofonchiare: «Urpa!». Aggiungo: «E per salire? Con chi eri?». «Solo, senza corda, portandomi la vela in spalla». Non dico più niente.

Ora Marco ha trovato stimolo di mettere in pagina la sua esistenza elastica, la sua vita da funambolo. I suoi giorni alti e bassi fatti di salite e discese, spostamenti e bivacchi all’aperto. Non per vanità o per apparire. Ciò che spinge qualcuno a scrivere è altro. Forse è per liberarsi di qualcosa. Confessarsi col pretesto di raccontare. Oppure desiderio di comunicare, rendere partecipi gli altri delle nostre emozioni, dei nostri sogni, dei nostri entusiasmi.

Robe che tengono salda la tempra e in tensione la vita. Raccontare storie, avventure, successi o fallimenti non fa male. Anzi, a volte può stimolare pigri e insicuri, timidi e spavaldi a provare, imitare, pigliare voglia di cambiamento. Mi cadono le braccia quando sento certi soloni affermare che in Italia tutti scrivono e nessuno legge. E allora? Che male c’è? Mica obbligano l’umanità a leggerli. Scrivere è raccontare. Leggere è scoprire cosa ha raccontato chi ha scritto.

Non mi dilungo sullo stile di Marco che trovo infilato nel testo. Dico soltanto che è lo stesso del suo arrampicare: deciso, veloce, sicuro, chiaro e senza tentennamenti. A volte si ha l’impressione che getti la parola in alto come lancia la mano sull’appiglio: o su o giù.

Un bravo ragazzo, Marco Milanese, e guarda lontano. Nel suo andare, usa prima il sentimento, poi la tecnica. Il grande poeta Leopoldo Lugones, molto citato da Borges, soleva dire: «Io che sono montanaro conosco il valore della pietra per l’anima». Vale anche per lui. E per me. Facendo finta di niente, osservo questi nuovi alpinisti fenomeni. Sanno scalare e dare amicizia, cosa rara ai miei tempi. Qualche volta chiedo lumi. Marco mi insegna. Dal basso dei miei settanta pensavo di insegnare, invece imparo. E sono contento. È bello realizzare con questi giovani qualche sogno che mi avanza.

Seguivo le imprese di Marco in silenzio, ora si possono leggere nel libro, con altrettanto silenzio. Perché leggere è un piacere di solitudine. Marco realizza quello che sogna, inventa e dà corpo a scritture impossibili, linee che pochi decifrano. Provo serena invidia, che poi è stima, ammirazione. Oggi sono fiero di imparare da giovani in gamba come Marco Milanese. Leggete il suo libro. Rimarrete stupefatti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


 

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