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Le protagoniste dell’epopea della Pallavolo Casagrande ritrovano il loro stesso spirito nelle campionesse di oggi

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SACILE. Stavolta non sono un gruppo di “normali” tifose. Il gruppetto di emozionate signore di mezza età che si assiepano intorno alle “stanghe” della Prosecco Doc Imoco sono le campionesse di mezzo secolo fa: le giocatrici della Pallavolo Casagrande che nel 1970, partita dal nulla, conquistò la serie A e mandò alcune delle sue ragazze a vestire la maglia della nazionale.

Tra autentica sorpresa (delle Pantere di Conegliano, reduci da un’incredibile doppietta: coppa Italia e vittoria a Istanbul nell’andata dei quarti di finale della Champions League) e palpabile commozione (delle vecchie giocatrici) al Palaverde di Treviso si celebra uno storico incontro tra due epoche distanti oltre cinquant’anni del volley nazionale, tra due modi diversi di giocare e di stare in campo. Diversi, ma forse non così tanto come potrebbe apparire di primo acchito.

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«Anche noi facevamo gli stessi esercizi di riscaldamento – commenta Ettorina Benedet, alzatrice della Casagrande –. Certo, qui ci sono attrezzature, supporti tecnici che noi manco ci sognavamo, ma la nostra preparazione atletica era molto seria e dura».

Ettorina Benedet è una delle sei giocatrici della Casagrande in visita alla sede della Imoco durante una seduta di allenamenti. Con lei ci sono Idea Del Santo, Anna Jaffaldano, Anna Maso, Eralda Camerin e Vania Giacon. È stata proprio quest’ultima a contattare la società di Conegliano per chiedere un incontro. «Sono caduti dal cielo – racconta Vania –. Nessuno sembrava aver mai sentito parlare della Pallavolo Casagrande e delle sue conquiste ottenute senza grandi mezzi e con una determinazione mostruosa».

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A oltre 50 anni di distanza le “tose” di Sacile, che hanno fatto la storia della pallavolo friulana, continuano a essere un gruppo affiatato, unito dai ricordi di gloria e dalla passione con cui seguono le partite di oggi. Osservano concentrate le indicazioni con cui l’allenatore Daniele Santarelli dirige l’allenamento della capitana Joanna Wolosz e delle sue compagne.

«Siamo partite da zero e forse anche meno di zero – ricordano le vecchie pallavoliste –. All’inizio ci allenavamo sul prato delle suore, di fianco alla parrocchia del duomo di Sacile, e poi sul cemento del campo esterno alla vecchia palestra di via Piccin. Eravamo giovanissime, mosse da una voglia insopprimibile di realizzare qualcosa per noi stesse, di uscire di casa e stare insieme alle nostre coetanee, animate da un identico spirito di rivalsa verso una società che ci voleva tranquille e obbedienti a casa e non a correre in pantaloncini corti davanti a un pubblico maschile».

Guardano ammirate l’altezza e la potenza fisica delle giovani atlete della Imoco che sembrano sopportare senza troppa fatica le tre ore di allenamento quotidiano. Atlete che hanno scelto la pallavolo come professione, all’interno di un sistema organizzativo, tecnico ed economico che non può essere minimamente paragonato alle società sportive degli anni Sessanta-Settanta.

Atlete che sanno, però, riconoscere il valore di un’impresa, quella della Pallavolo Casagrande, forse impensabile al giorno d’oggi.

«Complimenti», dicono Monica De Gennaro e Marina Lubian, stringendo mani, abbracciando quelle vecchie compagne e facendosi fotografare con loro davanti alla rete che definisce le loro vite di sportive. E che ha rappresentato la sfida portata avanti dalla Pallavolo Casagrande con la sua indimenticata capitana Ivana Camilotti.

«Ecco, loro sono piuttosto sorridenti in campo – sottolinea Ettorina Benedet –. Noi eravamo sempre un po’ ingrugnite, tese nello spasmo di non commettere errori. Però ci siamo sempre tanto divertite. Lo stesso divertimento e piacere di giocare insieme che si vede in queste ragazze».

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