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Gustavo Spector e il padel prima che diventasse moda: ‘Sono un’autodidatta. Il mio maestro? Insegnava pallavolo e conoscenza’

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Gustavo Spector e il padel prima che diventasse moda: ‘Sono un’autodidatta. Il mio maestro? Insegnava pallavolo e conoscenza’

Ogni quattro anni, con le estati olimpiche a riempire giornali ed esultanze, spunta qualche atleta che dal semi anonimato passa alla gloria. Questione di minuti: di prestazioni più o meno perfette che valgono le medaglie ai Giochi e l’ingresso nella ristretta categoria degli sportivi che ce l’hanno fatta. Di solito succede nelle discipline minori, definite così a causa dell’insopportabile vizio di pesare l’importanza di uno sport in base al seguito di pubblico. Ma tant’è. Non è questo il punto. Fatto sta che da essere nessuno, diventi un Dio. Per qualche giorno. E approfitti della ribalta mediatica. E ripensi a tutti i sacrifici fatti. E partono i ringraziamenti. Fateci caso: il primo grazie di solito è per “il mio maestro, quello che ha creduto in me e mi ha spinto a continuare nonostante le difficoltà”. Ecco: i primi maestri, quelli che insegnano sport, che crescono uomini e donne per farli diventare campioni. Vogliamo raccontarli così: capire il loro modo di intendere la competizione, scoprire i loro metodi, conoscere i loro aneddoti, sapere da chi hanno imparato. Ci saranno maestri noti e meno noti, espressione di discipline con grande o poco seguito. Unico comune denominatore: loro sono lo sport che insegnano e che hanno contribuito a migliorare. (Pi.Gi.Ci.)

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“Ho iniziato a giocare a padel nel 1989, in Argentina si stava vivendo quello che si vive adesso in Italia, con la differenza che oggi qui ci sono argentini e spagnoli che già conoscono questo sport e sono d’aiuto agli italiani”. Gustavo Spector, nato nel 1969 a Tucuman, è probabilmente l’uomo più importante per il movimento padelistico in Italia. Dopo essere stato un buon giocatore di tennis a livello regionale ed essersi trasformato in padelista, è arrivato a Milano nel 2001, un mese prima della grave crisi economica del suo Paese natale. Diventato commissario tecnico della Nazionale azzurra fin dal momento in cui la FIT ha deciso di puntare sul padel, ha vinto nel 2019 l’Europeo, vivendo da protagonista tutta l’esplosione di questo sport in questi ultimi due anni e mezzo.

“Agli inizi in Argentina non esistevano coach. Io sono un autodidatta. Tutti quelli che hanno vissuto quel periodo non hanno avuto maestri. Dopo tre mesi che giocavo mi hanno chiesto di fare il maestro nel circolo più importante della città, io ero stupito perché non avevo mai preso una lezione. Ho accettato e sono andato a Buenos Aires per partecipare ad un corso per allenatori. In Argentina non era obbligatorio l’attestato per insegnare, anzi nella mia provincia allora c’erano più di 100 maestri e solo in due eravamo diplomati”.

Come ci è riuscito, non avendo alcuna base da cui partire?
“È stata un’autoscoperta. Mi ha aiutato il percorso fatto come allenatore di tennis, dove mi ero formato sicuramente di più. Poi ho studiato moltissimo il padel, analizzandolo nei minimi dettagli. Ho avuto la fortuna di avere un bravissimo allenatore di pallavolo, lui mi ha insegnato che lo sport non è solo tecnica e preparazione fisica ma conoscenza”.

Lei si sente un maestro?
“Mi sento principalmente un maestro, mi piace tanto la docenza, dentro e fuori campo, vedere come progrediscono gli allievi è una grande soddisfazione, al di là del livello. Tutti i corsi federali li ho creati da me dal 2014. Nel 2015 La FIT mi ha chiesto di tenere un corso di mezza giornata teorica di padel nell’ambito del corso per istruttori di tennis di primo livello in giro per l’Italia: nella stragrande maggioranza delle regioni non sapevano che cosa fosse questo sport. Dovevo far vedere loro le foto dei campi e i video di partite. Mi è capitato più volte di fare gli esami in una palestra, con le panchine al posto della rete, con le strisce per terra per delimitare il campo e dei disegni sul muro per fare il bersaglio…”.

Come si spiega questa crescita vertiginosa del padel?
“È uno sport semplice e contagioso già dal primo impatto. Quando la gente lo prova, si diverte da subito. Dopo un paio di volte al campo, una percentuale altissima continua a giocare. E questo succede in qualsiasi parte del mondo. È uno dei pochi sport dove non è necessario avere il maestro per giocare e divertirsi, altri sport a volte ci vogliono mesi per arrivare a questo punto. Le parole chiavi di questo sport sono: semplicità, divertimento, inclusione e socialità”.

Le città italiane più attive?
“È successo lo stesso al sud della Spagna e adesso in Francia nelle zone dove il clima è più mite e si può giocare tutto l’anno outdoor. A Roma c’erano già dei campi, poi nel 2012 ho aperto il primo campo pubblico di Milano. Da allora fino al 2019 c’è stata una crescita continua. Con la pandemia c’è stato un vero exploit, perché non si potevano praticare tanti altri sport”.

Merito anche di tanti ex calciatori che se ne sono innamorati?
“Sì, hanno fatto tendenza, il primo è stato Totti quando ha disputato una partita in un campo al Foro italico durante il torneo. Il processo era già inarrestabile. Loro sono stati un acceleratore. In Spagna, uno dei Paesi in cui il padel va da sempre alla grandissima, è stato invece l’ex presidente Aznar a lanciare definitivamente questo sport: un’estate disse che non sarebbe andato a fare le vacanze nella casa presidenziale perché non era dotata di un campo”.

Ma a quale livello sono gli ex calciatori?
“Non ho mai giocato con Totti, ma mi hanno detto che gioca bene. Cambiasso mi piace tanto. Se la cavano molto bene anche Candela, Amoruso, Giannichedda e Barzagli. Ci sono sempre più sportivi che si avvicinano al padel”.

Quali caratteristiche servono per giocare?
“Più che nel tennis, nel padel se non hai certe doti puoi compensarle con altre. Se non hai lo smash migliore al mondo, avrai bisogno di pazienza, lavorare di più il punto ed aspettare il momento giusto per fare il vincente. Ma per fare questo ci vuole una grande conoscenza del gioco e avere una buona preparazione atletica. Anche a 50 anni puoi crescere e raggiungere buoni livelli, ovviamente se giochi con avversari più giovani avrai bisogno di rallentare il gioco. L’importante è capire come farlo”.

Quali sono i trucchi per migliorare il proprio livello di gioco?
“La base della crescita è la conoscenza, in questo modo puoi diventare un bravo giocatore. Anche agli azzurri dico sempre: se sarete in grado di analizzare gli avversari ed essere in grado di cambiare tattica, potrete vincere qualsiasi match. Fare un percorso con un maestro preparato accelera il processo di crescita”.

Ha costruito spesso le sue Nazionali convocando argentini di nascita. Perché?
“È importante per la crescita dell’intero movimento che gli italiani giochino contro avversari più forti, questa è una delle basi della crescita. Se non avessimo una squadra competitiva, giocheremmo sempre contro formazioni deboli. All’ultimo mondiale abbiamo perso solo con Spagna e Brasile. E vinto contro Qatar, Belgio, Uruguay e Paraguay. Senza gli oriundi non saremmo mai arrivati a tanto. Anche nel rugby, sport che mi piace molto, le grandi nazionali hanno giocatori non nati nel loro Paese. Questo lo possiamo vedere quasi in tutti gli sport, funziona in questo modo anche nel calcio. Non ho convocato mai più di tre argentini. All’ultimo mondiale erano solo due su otto”.

Rimarrà ancora commissario tecnico della Nazionale?
“La Federazione Italiana Tennis solitamente mi conferma come ct della Nazionale di padel in marzo. Quest’anno non si sa ancora niente, è un vero peccato perché stiamo facendo da anni un bel lavoro. Mi piacerebbe che le scelte venissero fatte per i meriti, speriamo sia così…”.

Nell’aprile del 2008 il padel venne definitivamente riconosciuto dal Coni, inserendo il settore nell’ambito della Federazione Italiana Tennis.
“Sì, il padel è da allora sotto il tennis, credo sarebbe meglio un ente autonomo… in ogni caso è sbagliato mettere gente di tennis nel padel. Sono sport diversi”.

In questi mesi come ha lavorato?
“Ho un progetto molto ambizioso con la Spector Padel House, stiamo creando un network di circoli di padel con una metodologia ed una filosofia che porterà eccellenza a tutti livelli”.

Se non sarà più ct della Nazionale cosa farà?
“Mi dispiacerà, ma ho la mia azienda e credo di avere ancora tanto da dare al mondo del padel”.

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