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Velasco: «I nostri giovani meritano più fiducia e l’Italia è sempre al top»

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Velasco: «I nostri giovani meritano più fiducia e l’Italia è sempre al top»

Largo e fiducia ai giovani. Lo dice Julio Velasco, il “grande maestro” della pallavolo maschile, allenatore della generazione di fenomeni che negli anni ’90 vinse tutto e oggi direttore tecnico del settore giovanile della Fipav. Con il coach argentino, che a San Giorgio di Nogaro ha incontrato gli allenatori e le allenatrici friulani per un corso di aggiornamento, abbiamo dialogato di pallavolo ma, soprattutto, delle nuove generazioni.

Velasco, quanto è difficile oggi, rispetto a trent’anni fa, coltivare nei giovani quella mentalità vincente, di rifiuto degli alibi, che ha contraddistinto il suo percorso da allenatore?

«I giovani non hanno problemi di questo tipo, possono avere delle insicurezze, certo, ma hanno anche tanta voglia di imparare e di migliorarsi. Semmai il problema sono gli adulti: dobbiamo essere noi capaci di gestirli. Non condivido chi pensa che la nostra gioventù, negli anni ’60, era migliore di questa: siamo vittime di una memoria selettiva perché se ci pensiamo bene vivevamo anni terribili, neppure paragonabili a questi».

Il Covid che cosa ha tolto ai nostri ragazzi e allo sport?

«Se c’è un’età nella quale non si vuole stare con i genitori è proprio l’adolescenza perché è in questi anni che si inizia a essere indipendenti. Il Covid ha costretto invece i nostri ragazzi e ragazze a stare con la famiglia anziché con i loro amici e questa è la parte più dolente. Dal punto di vista sportivo, invece, ho visto atleti tornare in palestra con una voglia e una motivazione pazzesche di giocare e allenarsi. A volte confondiamo giovinezza con debolezza: i giovani hanno una straordinaria capacità di adattarsi alle situazioni e di superare le difficoltà».

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Qual è la situazione attuale della pallavolo giovanile italiana?

«Dobbiamo in primis fare una differenziazione fra maschi e femmine. La pallavolo femminile, nel mondo, è diventata quello che il calcio è da sempre per i maschi e questo è dovuto anche al fatto che non è la versione maschile più lenta, ma possiede elementi caratteristici dal punto di vista qualitativo. Si vedono, ad esempio, molti scambi lunghi, che rappresentano qualcosa di diverso e di più rispetto al maschile. Questo ha fatto sì che la pallavolo diventasse lo sport femminile per eccellenza. Nel volley maschile abbiamo invece un problema di quantità e dobbiamo preoccuparci molto del reclutamento dei ragazzi lavorando anche con i Comitati regionali. La situazione generale comunque è buona: magari non saranno altissimi come i russi e i polacchi ma abbiamo tanti atleti volenterosi».

Le nuove leve vengono valorizzate abbastanza?

«Credo, e parlo per lo sport ma mi riferisco anche ad altri ambiti, che i giovani italiani in genere non piacciano agli italiani. Vediamo nei nostri connazionali soprattutto i difetti mentre negli stranieri tendiamo piuttosto a focalizzarci sui pregi».

È complesso insegnare ad allenare?

«Insegnare la pallavolo ai ragazzi e formare coloro che a loro volta lo devono fare ha la stessa complessità, che deriva dalle difficoltà insite nella disciplina. La pallavolo è ancora più difficile degli altri due sport da rimbalzo, il tennis e il ping pong, perché non basta mandare al volo la palla nell’altro campo ma bisogna fare tre passaggi: ricezione, alzata, attacco. Finché non lo si sa fare possiamo solo dire che stiamo provando a giocare a pallavolo. Sta agli allenatori e alle allenatrici creare le condizioni giuste per passare di livello».

Date queste complessità, la pallavolo non richiede necessariamente un avvio precoce.

«Per nulla. Per questo nei primi anni è importante proporre giochi propedeutici alla pallavolo senza entrare nel tecnico. Credo che l’età nella quale è più facile imparare a giocare sia fra i 14 e i 15 anni. Il problema è che in molte società, che hanno squadre già strutturate, chi si approccia al volley a questa età viene considerato quasi un problema perché insegnare dal principio “è complicato”. Ricordo che dei dodici giocatori campioni del mondo nel 1990 i due più famosi, Zorzi e Lucchetta, iniziarono a 17 anni».

Quell’Italia fece scoppiare la volley mania in Italia. Oggi le squadre azzurre come stanno?

«Il fatto che le squadre italiane sia seniores sia giovanili maschili e femminili continuino a essere tra le migliori al mondo assieme a Cina, Stati Uniti e Russia, pur essendo l’Italia un paese molto più piccolo, un po’ come la Serbia che da questo punto di vista è una nazione incredibile, ci deve rendere orgogliosi. Credo che in generale gli italiani dovrebbero essere più consapevoli di avere il privilegio di vivere in uno dei Paesi più ricchi del mondo. Per quanto mi riguarda sono orgoglioso di aver dato il mio contributo ai successi della pallavolo italiana e sono altrettanto riconoscente per tutto ciò che l’Italia ha dato a me».

Guardando oltre confine, in questo difficile periodo ci sono sportivi e sportive di alto livello, russi e bielorussi, esclusi dalle competizioni internazionali. Qual è la sua posizione?

«Ho sempre pensato che sia necessario differenziare i governi dai popoli. Io ho vissuto gli anni della dittatura in Argentina e non mi sarebbe certo piaciuto che, per colpa dei militari che hanno commesso degli orrori nel mio Paese, non poter partecipare a tornei internazionali o ai campionati del mondo. Non credo che privare giovani ragazze e ragazzi del diritto di partecipare alle competizioni sportive sia il giusto modo di combattere un Paese aggressore come la Russia». 

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