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Alessandra Fior e Giulio Molinari: «Il triathlon è stata la nostra migliore terapia»

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Un triatleta sa che per affrontare una gara dovrà tenere sotto controllo tantissimi aspetti che una disciplina singola non richiede. Alessandra Fior e Giulio Molinari ne hanno fatto uno stile di vita: passare dal nuoto alla sella e di nuovo alla corsa, prevede una serie di piccoli e grandi gesti che possono cambiare l’esito di una competizione. Per questo i due sono pronti ad affrontare i diversi ostacoli che troveranno sul percorso, imparando dal loro sport a gestire l’imprevisto. Anche quando questo veste le sembianze di una malattia.

Fior e Molinari saranno due dei protagonisti della terza edizione dell’Egnazia TRI che andrà in scena sabato 16 e domenica 17 ottobre 2021 a Borgo Egnazia, luogo incantevole che si trova nelle campagne di Savelletri, immerso tra gli ulivi secolari della Valle d’Itria. 1900 metri a nuoto nelle acque del mare di Savelletri, 90 km panoramici in bicicletta che dalla strada costiera conducono verso i caratteristici trulli, 21 km di corsa nell’entroterra pugliese su un tracciato multilap da percorrere 3 volte attraverso il paese di Savelletri, Borgo Egnazia e le campagne dell’immediato entroterra, per arrivare al traguardo sul mare.

Per entrambi, questa gara rappresenta un momento importante della propria carriera, ma ancora di più della loro vita: per Alessandra sarà rinascita, per Giulio sarà rivincita. Avversario in campo: il cancro vissuto in prima persona e di riflesso, ma sempre come una vera e propria competizione da vincere.

ALESSANDRA FIOR
Triatleta classe 1979, è tornata a correre dopo aver affrontato la sua sfida più importante, quella con il tumore al seno. Igienista dentale, la sua passione per lo sport nasce quasi per caso. La nascita del figlio Filippo nel 2009 le modifica il corpo, arrotondandole i fianchi e amiche neo-mamme le suggeriscono che la corsa è il modo migliore per tornare in forma. Così Alessandra comincia a correre e lo fa nel suo Veneto, scoprendo le bellezze del paesaggio, i boschi e le zone verdi dietro casa. Si innamora delle colline, del trail running nella natura e comincia a partecipare a qualche gara, la domenica, giusto per dare un obiettivo al suo allenamento.

Ma va forte e comincia a vincere le sue gare, cui poi aggiunge anche la bici e il triathlon arriva di conseguenza. Nel dicembre 2019, quando Alessandra è al top della preparazione, nota un’irregolarità al profilo del seno. Diagnosi: un carcinoma da operare subito. Una settimana prima del suo intervento chirurgico inizia il primo lockdown da coronavirus. Siamo a Marzo del 2020 e da questo momento, tutto il percorso di operazione, chemio e cure Alessandra lo deve affrontare da sola, isolata dal mondo e anche dal figlio Filippo.

Dopo una mastectomia totale del lato sinistro del seno, ora Alessandra sta procedendo con una terapia quinquennale di prevenzione perché il carcinoma è fortemente ormonale e prevede una somministrazione intramuscolare mensile e terapie quotidiana.

«L’Egnazia TRI ha per me un significato assolutamente simbolico», racconta la Fior. «Ho cercato una gara che potesse chiudere con una luce positiva quest’anno così impegnativo. Avevo partecipato alla prima edizione ed ero rimasta affascinata dallo scenario meraviglioso, del godere di un paesaggio fatto di profumi e bellezze assolute, dove il colore della terra è acceso e vivo, mentre il mare è di un blu pazzesco e brillante».

Per lei, lo sport ha rappresentato sempre un’ancora cui appoggiarsi, un obiettivo cui mirare per superare momenti difficili e di sconforto, perché l’atleta non è invincibile. «Mi ricordo che mentre affrontavo la chemio davo significati sportivi a qualsiasi cosa andassi a fare. Il biglietto per l’accettazione era come la consegna del pettorale, poi le varie operazioni prima di entrare in chemio rappresentavano una sorta di zona cambio, mentre la poltroncina dove “mi bombardavano” era la finish line della terapia».

«Inoltre, il fatto di non fare mai la chemio in stanze singole, ma capaci di di accogliere dalle 3 alle 4 persone, creava quei momenti come in gara, quando ti capita di avere momenti di condivisione di quello che stai facendo con i tuoi “avversari”: si creano dei feeling durante le gare, e così è successo anche in ospedale. Parlo di sedute che duravano fino a 4 ore, quindi una vera e propria tracciati di endurance e la mentalità sportiva mi ha aiutato tantissimo ad affrontarla».

Anche la sfida con il cancro per Alessandra Fior è stata una competizione. «Mentre per una gara hai un coach che ti allena e ti accompagna, qui sei sola e non c’è nessun allenatore fisico, ma puoi creartene uno se vuoi. Io ho scelto di pescare qualcosa dai ricordi positivi e ho trovato immagini ed emozioni generate dello sport: è stato lui il mio allenatore. Ammetto che in diverse situazioni mi è sembrato di vedere il tramonto, erano quei giorni in cui la fragilità mentale aveva la meglio, ma per fortuna ora questo tramonto lo vedo posticipato ed è una sorta di rinascita. Borgo Egnazia rappresenta per me il sole che sorge con una carica incredibile verso il futuro».

GIULIO MOLINARI
Il tre volte Campione Europeo, quattro Italiano e detentore della miglior prestazione Italiana al mondiale di Kona, al triathlon ci è arrivato per caso. Nuotatore agonista tesserato a Novara, da adolescente incontra la madre di una sua compagna di squadra arrivata dall’Inghilterra che faceva questo strano sport, già in voga in Europa del Nord. Giulio ai tempi era già appassionato di corse campestri e sempre in sella alla sua bici per andare agli allenamenti. Provare ad affrontare la triplice disciplina non sembrava poi così assurdo. Da aprile 2002, Molinari diventa atleta di triathlon.

«È più di uno sport, è uno stile di vita, per quello che piace anche agli amatori. Diventa un dare una cadenza a tutti i tuoi giorni programmandoti allenamenti diversificati. Inoltre, il triathlon ti dà la possibilità di scoprire e viaggiare per il mondo, stare a lungo in mezzo alla natura nei suoi diversi aspetti ed ambienti. Io ho avuto la fortuna di trasformarlo in un lavoro, anche se mi accorgo che lavorare con me non è sempre facile. Così come non lo è vivere con me. Sono maniacale in quello che faccio perché ho una passione esagerata per questo mondo, inoltre da atleta tendi a pensare che quello che fai sia più importante di quello che fanno gli altri e chi sta con te deve avere il piacere di seguirti e capire il tuo stile di vita».

Giulio incontra Carlotta Bolis, medico della fondazione Maugeri e nel 2014 i due si sposano. Il loro equilibrio è perfetto, lei sta vicino a Giulio nel ruolo di sua manager e lo accompagna nelle sue gare appassionandosi a sua volta di sport e running. Poi un neo su un piede si tramuta in un tumore con cui lotta per sette anni prima di spegnersi nel Marzo del 2020 a soli 37 anni.

«Quando Carlotta è mancata, il triathlon è diventato il mio rifugio. Era l’unica cosa che mi era rimasta e che mi dava uno scopo. Intorno a me tutti dicevano che avrei dovuto prendermi del tempo, ma per me era inconcepibile: quello sport era il nostro stile di vita e in un certo senso mi sembrava di poterla sentire ancora vicina. Sentivo la sua forza. Ho avuto un momento di cedimento questa estate dove ho manifestato l’esigenza di avere un supporto da parte di una psicologa sportiva che si integrasse al mio team. Abbiamo iniziato a lavorare da poco più di un mese e si sta già rivelando una scelta vincente».

Giulio non perde occasione sui social per ricordare Carlotta e ha dato vita anche a un’associazione, Il sorriso di Car-Lotta che opera sul territorio di Livigno e dell’Alta Valtellina con lo scopo di sviluppare progetti sanitari sulla prevenzione e iniziative per portare a Livigno medici di primissimo livello a svolgere visite ambulatoriali. «Nell’immediato, quando succede qualcosa di imprevisto e di così potente, ti accorgi di non essere invincibile, ma anzi che le tue debolezze possono avere il sopravvento. Però poi ti accorgi che invece lo sei sempre e che tutto quello che ti succede ti dà scopo e forza».

«Ho avuto la fortuna di incontrare un nuovo amore con cui ora condivido tutto e con cui sto cercando di ricomporre il puzzle nella mia testa e rimettere tutto in ordine, che non vuol dire dimenticare, quello mai, ma andare avanti e farlo rispettando la vita e la fortuna immensa che ho di viverla seguendo la mai passione. Torno a Borgo Egnazia per prendermi una rivincita con la vita: qui, nel 2020, ho ottenuto il mio quarto titolo italiano che mi ha permesso di aggiungere il simbolo delle carte da poker sopra al mio logo. Ora voglio dimostrare soprattutto a me stesso, che posso vincere un’altra partita».

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