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Roland Garros – Ha vinto Alcaraz e ha vinto il tennis. Sinner non è stato meno fenomeno dello spagnolo

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Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni. Fenomeni.

Potrei andare avanti a scrivere “Fenomeni” per ancora molte altre righe. Se qualcuno non fosse d’accordo su come mi sento oggi di chiamare  Carlos Alcaraz e Jannik Sinner dopo la finale strepitosa, emozionante al cardiopalmo di ieri al Roland Garros, oltre che la più lunga della storia, la prima a concludersi al tiebreak del quinto set beh …mi consenta di dirgli che si sbaglia.

E’ stato uno spot per il tennis davvero fantastico. Uno sport meraviglioso nel quale non esiste il pareggio, anche quando sarebbe la soluzione più giusta, e quindi uno sport crudele per chi perde e soprattutto se perde dopo aver avuto il matchpoint. Ne aveva avuti tre Jasmine Paolini contro Elina Svitolinane ha avuti tre di fila nel quarto set Jannik Sinner contro Carlos Alcaraz, ma nel tennis chi non fa l’ultimo punto non ha vinto – it is never over until is over – e lo chiamano lo sport del diavolo proprio per quello e se i tre matchpoint sono quelli che ti avrebbero dato una vittoria in uno Slam la ferita brucia, brucia e brucia ancora di più.

Non so se riuscirò a dormire stanotte, ma non è grave” ha trovato la forza di abbozzare un mezzo sorriso con gli occhi ancora lucidi, Jannik.

E io spero che non sia grave, visto che fra meno di un mese c’è Wimbledon dove Alcaraz è ancora una volta il campione in carica e dove Sinner, che lì come al Roland Garros alla finale non c’è mai ancora arrivato, sarà quasi certamente (probabilmente con Djokovic e Draper una spanna sopra gli altri) l’altro fenomeno da battere.

Chi vince festeggia (ed ha sempre ragione), chi perde spiega perché è successo” diceva Velasco, il miglior allenatore che l’ItalVolley abbia mai avuto.

Si è discusso per anni su che cosa avrebbe dovuto fare Roger Federer per trasformare i due matchpoint mancati contro Djokovic nella finale di Wimbledon 2019, si potrebbe farlo – se non fosse esercizio un tantino masochista per i suoi tifosi e sadico per Jannik – per i tre matchpoint non sfruttati da Jannik sul 5-3 al quarto set. Tre errori: un dritto, una risposta di rovescio, un altro dritto.

“Non sono stati tre grandi punti. Certo ho salvato i matchpoint, ma non punti come quelli del 6-5 nel quinto set sul 15-30 o 30 pari e vantaggio per me…quelli sì che sono punti che mi ricordo bene e onestamente non so come li ho fatt, la sua era una palla sulla riga che schizzava via, stava dominando quel game e non so come ho fatto a salvarlo. Dovessi scegliere il mio game più bello prenderei quello”.

Questo ha detto Carlos Alcaraz rispondendo a una mia domanda e forse non sapendo neppure che a fine partita lui aveva fatto un punto meno di Sinner192 contro 193, a testimonianza di un equilibrio incredibile per una partita durata 5 ore e 29 minuti, 24 minuti meno di quella celeberrima vinta da Djokovic su Nadal nella finale dell’open d’Australia 2012.

Beh sì, Carlos ha proprio ragione: quel dodicesimo game è un game da cineteca. Da far vedere in tutte le scuole tennis con i maestri che però dovrebbero avvertire i ragazzi: “Guardate ma non cercate di imitare Alcaraz, quelle cose lì le possono fare solo i fenomeni!”.

Quando si dice che il pareggio sarebbe stato il risultato più giusto, implicitamente si dice che non è giusto che uno abbia perso. E non lo si dice, in questo caso, perché a perdere è stato Sinner, un italiano. E Ubitennis è un sito nato in Italia, anche se trilingue. Lo si sarebbe dovuto dire anche se a perdere fosse stato Alcaraz che era stato bravissimo a non mollare quando era sotto due set e anche un break – sia pure all’inizio del terzo quando Sinner ha avuto la palla del 2-0 che ora nessuno – o quasi – ricorda più. E anche Alcaraz avrebbe avuto grossi rimpianti se, dopo aver annullato i 3 matchpoint, vinto il quarto set al tiebreak dopo 4 ore e 11 minuti di gioco, avesse perso la partita per essersi fatto strappare il servizio sul 5-4 al quinto e a 15 quando serviva per il match e Sinner gli aveva tirato una serie di risposte che parevano “comodini”.

In 5 ore e 29 minuti, anche se le prime due ore non erano state granchè, bel tennis solo a sprazzi, è inevitabile che le occasioni capitino ora all’uno ora all’altro. E tutti ci ricordiamo i punti strappa-applausi, mentre magari dimentichiamo altri punti più banali che pure sono altrettanto importanti, perché ogni punto, bello o brutto che sia, è sempre un punto.

Tutti parliamo e parleremo dei 3 matchpoint mancati da Sinner – chi rimproverandogli poco coraggio …ah se avesse tirato forte e dentro come gli è riuscito sul 4-5 al quinto! – ma quasi nessuno ricorda che nel quarto set, dopo quei famigerati tre matchpoint sul 5-3 e servizio Alcaraz, Jannik ha servito sul 5-4 e quel game che poteva chiudere la storia e dargli il quarto Slam lo ha perso a 15: un errore di dritto, il 15 pari grazie a un doppio smash, un altro errore di diritto, un attacco con volee smorzata di Alcaraz e infine un dritto vincente di Carlos.

Se Jannik avesse servito o quei 2 ace che ha servito invece per portarsi sul 6-5 nel quinto set, prima di quel dodicesimo game da mille e una notte, o anche delle gran prime non avrebbe vinto ugualmente il match per 6-4 al quarto?

Ecco, io avevo scritto nel mio editoriale di ieri – dopo la premessa che non mi chiamo Vagnozzi né Cahill LINK– che contro un campione che risponde come Alcaraz, Jannik per vincere avrebbe avuto bisogno di servire il 65% per cento di prime. Invece ha servito il 54% e in diversi frangenti meno di una prima palla su due. Troppo poco. Lì per lì magari non ci fai caso, però più che i 3 matchpoint su cui tutti si soffermano, io consiglierei di dare un’occhiata anche ai break subiti: sono 7 break. Non pochissimi. Avesse servito meglio ne avrebbe subito uno o due in meno e non si starebbe qui a parlare di quei maledetti matchpoint.

E nei due tiebreak perduti a fine quarto e quinto set? Ci sono 3 minibreak in quello che ha chiuso per 7-3 il primo tiebreak e il quarto set,  e poi altri 4 minibreak nel supertiebreak che si è chiuso sul 10-2 per Alcaraz. Sette break più 7 minibreak, in una partita – come già detto – chiusa con un punto di vantaggio in più per Sinner, 193 a 192.

Insomma, vorrei rivedere uno a uno quei 7 games persi al servizio e quei sette minibreak per capire quante volte Jannik se li è dovuto giocare con la seconda di servizio anzichè con la prima. Fa la sua bella differenza, credetemi. Ha fatto il 50% dei punti quando ha servito la seconda (44 su 88) e ha dovuto ricorrere alla seconda meno del 50% delle volte (il 46%). Insomma, avesse servito meglio sarebbe incappato in molti meno guai. Anche perché ad ogni break o minibreak che gli riusciva Alcaraz si esaltava, trascinato anche dal pubblico che all’inizio della partita era diviso abbastanza equamente, ma poi con Carlos sotto di due set si era spostato in massa a tifare per lui perché chi aveva pagato il caro biglietto (320 euro il prezzo medio) desiderava che la partita durasse il più a lungo possibile e Alcaraz era diventato l’underdog, lo sfavorito. Abbastanza normale poi, che sebbene anche i tifosi di Sinner si facessero sentire, coloro che per un’ora e mezzo si erano messi a gridare Carlos Carlos restassero coerenti. E continuassero a gridare Carlos Carlos. E’ andata a finire che Jannik ha giocato fuoricasa, quasi si fosse in Spagna. E a 23 anni, per uno che non è Djokovic e c’è abituato, si soffre e fatica molto di più. Mentre le scariche di adrenalina che attraversavano le vene di Alcaraz e lo esaltavano erano fortissime.

Insomma alla fine Alcaraz ha vinto e non si può davvero dire che abbia rubato la partita. L’ha vinta anzi sul campo e quando in conferenza stampa gli hanno chiesto se nel momento dei matchpoint davvero credesse di poter rimontare e vincere lui ha risposto (sembrandomi assolutamente sincero): “Assolutamente sì. Il match non è finito finchè lui non vince l’ultimo punto! Ok manca un solo punto a perdere, ma un sacco di volte la gente rimonta le partite pur avendo un matchpoint contro.  Io volevo essere uno di quei giocatori che salvano i matchpoint e finiscono per vincere. Ci ho creduto sempre, non ho mai dubitato di me stesso, neppure mentre giocavo quei matchpoint. Pensavo solo a un matchpointalla volta. Prima un punto, poi un altro, per poi tentare di salvare quel game e continuare a crederci. Questo è quello che pensavo”.

Ok, i tifosi italiani ieri erano tristi, tristissimi quanto Jannik. Però secondo me a bocce ferme occorrerebbe osservare che la partita più equilibrata di così non poteva essere sebbene la si sia giocata sulla superficie più favorevole a Alcaraz e meno favorevole a Sinner. Per questo io capisco che i tifosi di Alcaraz, e i “detrattori” di Sinner sottolineeranno almeno fino a Wimbledon che – al di là del fatto che indubbiamente lo spagnolo giochi un tennis più vario, divertente e spettacolare dell’italiano –  Alcaraz ha vinto le ultime cinque partite e va quindi considerato più vincente di Sinner. Più vincente non solo perché ha già in bacheca 5 Slam contro i 3 di Jannik, e quei 5 sono tanti quanti ne aveva Nadal alla sua stessa età, ma anche perché è più giovane di un anno e spiccioli rispetto a Jannik. Ma ciò detto mi pare che il 9 a 4 dei confronti diretti e il 5-0 delle ultime sfide dipinga una superiorità schiacciante che proprio non c’è. Sarebbe davvero ingiusto considerarla tale.

L’importante a tal proposito, comunque, è che non sia Sinner a crederla tale. E che si riprenda resto dall’enorme e cocente delusione. Quel che credono i tifosi dell’uno o dell’altro conta zero. L’importante è che gli uni e gli altri siano riconoscenti a questi due fenomeni per il grandissimo spettacolo che hanno saputo dare. Avevo detto che era la miglior finale possibile, ma non potevo immaginare che ne sarebbe venuta la prima al supertiebreak del quinto set quando non c’era stato nessun match durante il torneo che ci fosse arrivato e una partita all’altezza, se non migliore di quelle che a Parigi non potevo dimenticare, Lendl-McEnroe del 1984, Nadal Djokovic del 2014, Wawrinka-Djokovic del 2015, Djokovic-Tsitsipas del 2021. E che alla fine fra i due avversari, fenomeni, fenomeni, fenomeni, fenomeni, fenomeni, ci fosse un solo punto in più…a favore del perdente. Fenomeno lui non meno di quell’altro.

Termino questo editoriale dedicando un pensiero a Sara Errani e Jasmine Paolini, che ci hanno regalato una bella soddisfazione vincendo il titolo del doppio femminile sullo stesso campo dove, nell’estate 2024, ci regalarono la medaglia d’oro olimpica. Che brava Jasmine, al suo primo titolo Slam di sempre: un bel modo per consolarsi dopo la delusione nel singolare. E che leggenda Errani: ottavo slam, 5 con Vinci, 1 con Paolini, due in misto con Vavassori. Il mirino delle nostre due giocatrici può già spostarsi su Wimbledon.

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