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Alexander Zverer, dal sogno al grande incubo-

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La notizia è che c’è partita. Il dominatore dei dominatori sulla terra rossa, Re di Parigi e primo del suo nome (non era ancora nato suo figlio), Rafael Nadal, sta giocando la 15esima semifinale a Parigi, su quel campo il “Philippe Chatrier” che lo ha visto sollevare la coppa dei Moschettieri già 13 volte. Sembrerebbe l’ennesima replica di un film probabilmente già visto da tutti, una sorta di grande classico che non ti stanchi mai di vedere, che sai che ogni anno è lì, pronto solo ad esser visto. Non vorremmo passare per blasfemi ma, visto anche il periodo a cui andiamo incontro, una sorta di “Poltrona per due” in salsa tennistica. Sai che la sera del 24 dicembre è lì, in tv. In un certo senso è rassicurante.

Questa volta però è diverso: dall’altra parte della rete c’è un tedesco che dal cognome tradisce origini russe, un marcantonio di quasi due metri che non ha nessuna voglia di giocare al gatto e il topo con Nadal: Alexander Zverev sa di poter vincere, sa di poter scrivere la storia sulla terra parigina. E l’andamento del match lo dimostra: vinto dal maiorchino il primo set, solo al tie break, è vero, ma con il tedesco bravo a conquistare quattro set point consecutivi nel primo set e con una situazione di punteggio di 5-3 30-15 nel secondo set. Come scritto, la notizia è che c’è partita. Tiene tutti col fiato sospeso: i fortunati possessori di un biglietto a Parigi, i milioni di spettatori che la guardano da casa. Sono quasi le 18 di un venerdì pomeriggio e la sensazione che abbiamo tutti è quella di dover rimandare tutti gli impegni della serata. It’s show time baby, direbbero dall’altra parte dell’oceano; è semplicemente tennis nel suo più puro compimento, diremmo noi.

Si sta giocando il sesto punto del dodicesimo game: il risultato è sul 6-5 per Zverev, Nadal sta servendo sul 40-30 la seconda, sperando di conquistare il punto che vorrebbe dire tie break. Il secondo. Dopo le prime schermaglie iniziali, l’accelerazione mancina di Nadal è devastante; costringe Zverev ad un recupero verso il lato sinistro del campo. Come sempre, come altre mille volte, scivola e colpisce la palla. Un urlo rompe il muro della suspense; si capisce subito cosa sia successo. La caviglia resta sotto, non scivola. A Parigi piove, il tetto è chiuso. La terra è umida, l’urlo di Sascha arriva fino al cuore di tutti. Le sue lacrime qualche minuto dopo certificano la gravità della situazione, mettendo la cerca lacca ad una missiva che vuol dire rottura dei legamenti laterali della caviglia destra, ovvero stagione finita.

Già, perché Zverev è stato il protagonista che è mancato di questo 2022, partendo proprio da quella semifinale. In molti hanno avuto la sensazione che quel match il tedesco lo avrebbe potuto fare suo. E non soltanto perché sembrava più in palla dello spagnolo da un punto di vista tecnico, ma perché fisicamente qualora la partita si fosse allungata, probabilmente Nadal non avrebbe retto quel ritmo imposto dal tedesco. Ma sono questioni di lana caprina: nessuno può sapere come sarebbe andata se…ma è comunque l’obiettivo di questo articolo, quindi facciamo nostre queste considerazioni.

Il 2022 sarebbe dovuto essere l’anno del primo successo Slam, inutile negarlo: era questo l’obiettivo di Sascha ad inizio stagione. Partito male in Australia eliminato al quarto turno da Denis Shapovalov, ampiamente raccontato di cosa sarebbe potuto essere e non è stato in Francia, più che a Wimbledon, torneo che non ha ai amato molto e che lo ha visto, come miglior risultato arrivare al quarto turno nel 2017 (sconfitto da Raonic), probabilmente le sue migliori chance le avrebbe avute, Parigi a parte, a New York, dove ha raggiunto per l’unica volta una finale Slam, quella del 2020 persa al quinto set con Domink Thiem in un “Arthur Ashe” desolatamente vuoto a causa delle restrizioni pandemiche. Due dei cinque “1000” conquistati in carriera sono stati vinti sul cemento, entrambi in nord America: la Rogers Cup a Montreal nel 2017 e lo scorso anno a Cincinnati. Nel mezzo una medaglia d’oro alle olimpiadi di Tokyo, anche queste giocate sul veloce outdoor e un titolo di maestro alle Finals del 2018, sempre sul veloce ma questa volta indoor. Titolo quest’ultimo bissato nel 2021, nella prima edizione torinese del torneo dei migliori otto giocatori al mondo.

Ecco perché il rammarico è grande per la stagione sul cemento nordamericano, di sicuro non pari rispetto a quello della semifinale di Parigi, ma impattante sulla mente di un giocatore che sperava di scrollarsi di dosso quel peso Slam che si porta dietro. Dire quali tra Parigi e New York avrebbe potuto conquistare è esercizio retorico complesso: probabilmente, considerato tutto, il contesto, lo stato di forma, la superficie tanto amata, l’avversario in finale, quel Ruud battuto due volte su tre incontri (ma mai nessuno sulla terra rossa), Parigi resta la delusione più grande per l’opera non compiuta nella stagione di Alexander Zverev e nella stagione tennistica in generale, perché lascia quel retrogusto amaro di voler sapere come sarebbe andato a finire se…non lo sapremo mai, non lo saprà mai Zverev.

Cosa aspettarsi per il 2023 è affidato in primis dalla consapevolezza di rivederlo in campo già nel 2022, in questo dicembre, come da lui stesso annunciato in Arabia Saudita, per la Diriyah Tennis Cup, torneo esibizione ma che comunque lo vedrà contrapporsi a colleghi di un certo spessore tecnico: da Daniil Medvedev a Stefanos Tsitsipas, da Matteo Berrettini a Dominic Thiem. Anche loro non saranno di sicuro al top della forma (strano il contrario…) ma è comunque un banco di prova e forse un primo spiraglio di luce alla fine di un tunnel lunghissimo durato quasi 7 mesi, due Slam e tanti tornei persi. Così come la posizione in classifica, passata inevitabilmente dal numero 2 al numero 12 del mondo, in virtù dei tanti punti persi e non difesi. Ma il rovescio della medaglia è intrigante: tante saranno le posizioni da poter scalare, soprattutto nella seconda parte di stagione, quella post Roland Garros. Non ci sarà nulla da difendere e tutto da guadagnare; e se l’obiettivo Slam coincidesse con la possibilità del numero 1 al mondo con volatona finale vista Torino? Non ne saremmo sorpresi e forse non sarebbe sorpreso neanche lui, a condizione che la forma torni la migliore possibile in tempi brevi. Si può fare? Si può fare. Lo può fare.

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