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Critiche a Tennis Australia per le magliette ‘Peng Shuai’ sequestrate agli spettatori. Martina Navratilova: “Codardi, non è politica”-

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Non c’è nulla di politico nel mostrarsi preoccupati per le sorti di Peng Shuai, la tennista cinese scomparsa dai radar dopo la denuncia su Weibo e riapparsa solamente in quelle che a quasi tutti sono parse imbarazzanti – nella loro tragicità – rappresentazioni sceniche di Stato. A quasi tutti, perché tra gli attori di questa vicenda il Comitato Olimpico Internazionale, principalmente nella persona del suo CEO, ha ripetutamente assicurato come non ci fosse alcunché da preoccuparsi, perseguendo quella linea della “quiet diplomacy” che, per quanto in termini assoluti perfettamente legittima e spesso efficace, nell’era della voracità dei social media è subito apparsa come un tentativo di prendere tempo nell’attesa che una nuova ondata di indignazione facesse scivolare il caso Peng nell’oscurità dell’oblio. C’è chi invece è ben intenzionato a tenere ben accesa la luce, come alcuni spettatori dell’Australian Open che all’interno dell’impianto indossavano magliette con la scritta “Where is Peng Shuai?” e per questo affrontati dalla security che ha anche fatto intervenire la polizia.

L’immediata spiegazione data all’agente di polizia da uno degli stessi spettatori fermati è che non si tratta di un messaggio politico: “Non c’è scritto di votare per i liberali o i laburisti. Parliamo di una tennista perseguitata e la WTA ha fatto sentire la propria voce. Stiamo semplicemente ripetendo quello dice la WTA”. Il poliziotto dice di comprendere e che non sta “dicendo che non può avere queste opinioni” ma “queste sono le regole fissate da Tennis Australia e [quelli della sicurezza] sono autorizzati a sequestrare le magliette e lo striscione”.

Nelle regole di accesso si legge appunto che sono proibiti, tra gli altri, gli articoli di qualsiasi natura, inclusi cartelli e abbigliamento, dal contenuto politico. È proprio questo che rimarca Tennis Australia, intervenuta sull’episodio con un puntuale e ineludibile comunicato che continua così: “La sicurezza di Peng Shuai è la nostra principale preoccupazione. Continuiamo a lavorare con la WTA per cercare più chiarezza sulla sua situazione e faremo tutto il possibile per assicurare il suo benessere”.

Si ritorna però al tema principale con le parole di Martina Navratilova replicando a Tennis Australia su Tennis Channel: “Non c’è nulla di politico, questa è una dichiarazione che riguarda i diritti umani. Lo trovo davvero da codardi”. E continua: “Si stanno arrendendo su questa vicenda, lasciano che i cinesi dettino loro cosa fare nel loro Slam. È proprio da deboli”.

Tra i giocatori, si è fatto sentire Nicolas Mahut che su Twitter ha polemicamente chiesto: “Cosa succede? Che mancanza di coraggio! Mettiamo che non aveste lo sponsor cinese 1573”. Il riferimento è al liquore che dà il nome allo Show Court 2 di Melbourne Park, sponsorizzazione che ha evidentemente messo Tennis Australia nella scomoda posizione di dover approvare e difendere una regola insensata. E “codarda”, per dirla con Martina.

Così, conclusosi l’affaire Djokovic e dopo una settimana in cui si il tennis giocato è finalmente tornato protagonista, lo Slam australe torna nella bufera. Prima incolpevolmente per gli incendi dell’edizione 2020, poi con i tre diversi gradi di quarantena dello scorso anno (dall’isolamento duro a quelli di Adelaide con il balcone) e ora questa novità per cui i diritti umani e la sicurezza di una ragazza sono “politica”, dalle parti di Melbourne ci stanno mettendo tanto impegno per togliere l’etichetta Happy dal loro Slam.

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