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Sinner: “Gli allenamenti con Nadal sono la cosa migliore che potesse capitarmi”

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Dopo la sconfitta al primo turno a Montpellier contro Bedene, Jannik Sinner si è concesso per una lunga intervista con L’Équipe, in cui ha affrontato diversi temi, dal suo futuro agli inizi da sciatore al momento positivo del tennis italiano.

UNA CARRIERA LAMPO

L’ascesa di Sinner è una rarità nel tennis contemporaneo, visto che è salito dalla posizione N.553 alla Top 40 in meno di due anni in un’epoca in cui l’età media dei top player è sempre molto alta: Per tutti è diverso, per me il passaggio dalla cinquecentesima alla cinquantesima posizione è stato molto rapido, così come quello dai Futures ai tornei ATP. Non ho giocato a livello juniores, ho preferito misurarmi contro giocatori adulti nei Futures. Non ho nemmeno giocato molti Challenger, credo 10 o 12, prima di passare al tour principale”. Ovviamente, questo non è un punto d’arrivo per lui: “Sono andato rapidamente ma continuo a guardare avanti; i prossimi tre anni saranno fondamentali per me. Devo lavorare, perdere delle partite, capire perché ho perso e giocare il più possibile per migliorare. Quando avrò fatto 200 partite ATP inizierò a conoscermi meglio. E poi non è detto che continui così, potrei rallentare o anche peggiorare qualora mi facessi male. Ma so quello che faccio e che senso abbia la mia vita, il tennis è la cosa più importante per me“.

Il segreto di Pulcinella è che da lui ci aspetta il primo titolo Slam per un uomo italiano dal 1976: “Tutti si aspettano titoli Slam, ma questo non mi disturba, ho 19 anni e so che la strada è lunga e che la pressione più grande è quella che mi metto io. Per vincere dei grandi tornei, bisogna perdere delle grandi partite, è una cosa che fa male ma fa crescere, come successo all’Australian Open con Shapovalov. Ne ho parlato tanto con il mio team: vogliamo vincere, ma quando si è giovani è importante anche perdere. Non voglio mettermi fretta, sono diventato professionista a 18 e voglio giocare fino a 38!”

Pur essendo molto più giovane di loro, l’altoatesino è arrivato ai piani alti quando il tennis è ancora dominato dai Big Three, una cosa che a suo dire è esclusivamente uno stimolo: Mi considero fortunato ad aver giocato nella stessa epoca di Novak, Rafa e Roger, i più grandi di sempre, non soltanto perché mi dà la possibilità di affrontarli ma anche perché mi consente di imparare da loro sotto tutti i punti di vista. Il match contro Rafa al Roland Garros è stato importante per me, e essermi potuto allenare con lui a Melbourne lo è stato di più, anzi, è la cosa migliore che potesse capitarmi a 19 anni, non solo come evento importante per la mia carriera ma anche come esperienza di vita. Non me lo scorderò mai”.

IL SUCCESSO DEL MOVIMENTO AZZURRO

Sinner è la punta dell’iceberg di un movimento in salute (almeno nel maschile) – qual è il segreto del tennis italiano? “Abbiamo tanti giocatori fra i primi 100, 200 e 300, ed è una grande motivazione perché vuol dire che ci sono sempre dei connazionali meglio piazzati da battere. In più, in Italia ci sono tanti Challenger, e questo è fantastico per i giovani, che così ricevono tante wildcard dalla FIT. Giocare a un livello più alto del proprio consente di migliorare molto in fretta. Anche perdendo al primo turno ci si abitua ad allenarsi con gente che sta nelle prime 100-150 posizioni”.

Al momento ci sono quattro italiani fra i primi 40, ma Sinner non vede grosse similitudini: Siamo tutti molto diversi. Berrettini ha un grande servizio e un grande dritto, mentre Fognini ha un talento incredibile. […] Sonego è un guerriero, un grande lavoratore. Siamo molto diversi anche fisicamente: Berrettini è grosso e potente con il suo metro e 96. Fabio è rapido e si muove bene. Sonego ha un buon fisico. Io sono 1.88 e longilineo. Poi ci sono le superfici: io sono bravo su quelle rapide, altri sulla terra”.

GLI INIZI DA SCIATORE

L’estrazione del campione Next Gen del 2019 è peculiare anche per via della sua passione originale, vale a dire lo sci, dove da bambino eccelleva: “In Italia del nord ci sono delle bellissime montagne, dei bellissimi inverni e delle ottime stazioni sciistiche, quindi tutti sciano. Casa nostra a Sesto si affaccia proprio sulle piste. Ho iniziato a sciare a tre anni e mezzo, passando poi all’attività agonistica con gli allenamenti. Fino all’età di 12 anni ho fatto abbastanza bene con gli sci, mentre non giocavo molto a tennis, un’ora due volte a settimana durante l’estate e quasi mai d’inverno, mentre sciavo due ore al giorno con anche le gare durante i week-end”.

Qual è stata quindi la chiave per l’inizio della sua passione per la racchetta? “A 13 anni ho iniziato a perdere nelle competizioni sciistiche perché non ero più abbastanza forte fisicamente, e ho iniziato ad apprezzare il tennis perché è veramente un gioco. Nello sci fai una discesa di un minuto e mezzo e se sbagli sei finito, non puoi più vincere. Nel tennis puoi sbagliare e continuare a giocare per altre due ore e mezza. A me piace giocare, avere tante opzioni, accelerare, rallentare…. Da allora, come detto, il tennis è diventato la vita di Jannik, che però continua a portare dentro di sé il suo primo sport: Gli sci mi sono serviti per il footwork e per l’equilibrio, che sono fondamentali nel tennis. Se sei rapido e hai un buon equilibrio, non hai bisogno di essere troppo potente”.

UN ITALIANO ATIPICO?

Non è un mistero, Sinner non corrisponde allo stereotipo dell’italiano nel mondo, e l’intervista ha contribuito a ricordarci che, se il suo atteggiamento serafico è in qualche modo sorprendente per alcuni appassionati nostrani, lo è ancora di più all’estero: “È perché sono del nord Italia. La vita è un po’ diversa in Sud Tirolo… ci si sente italiani perché si è cresciuti in Italia, ma la prima lingua è il tedesco. Infatti quando a 13 anni mi sono trasferito a Bordighera, a sei ore di strada da casa mia, per allenarmi presso il circolo di Riccardo Piatti, è stata dura. Non capivo niente di quello che mi dicevano, è lì che ho realmente imparato l’italiano. Ora lo parlo abbastanza bene, ma non è ancora perfetto“.

Proprio il tema della sua apparente imperturbabilità è stato discusso approfonditamente: “È una questione di famiglia, credo. Fino all’età di 15-16 anni chiamavo sempre mia madre quando perdevo un match. Non è che piangessi o cose del genere, ma ero dispiaciuto e avevo bisogno di essere confortato. Solo che mia madre lavora nella baita dove mio padre fa il cuoco, e quindi mi rispondeva sempre: ‘Senti, non ho tempo di parlare, devo lavorare’. Per questo motivo ho dovuto imparare a gestirmi, a conoscermi e a tirarmi fuori da solo dalle situazioni complicate“.

Infine, anche il suo aspetto fisico non è quello tipico di un nostro compatriota, soprattutto per via dei capelli rossi, cosa che in passato ha creato più di un equivoco:Quando ero più giovane in alcuni mi chiedevano se fossi irlandese. In più, avevo i capelli lunghi fino alle spalle perché non avevo voglia di andare dal parrucchiere. Quando dicevo di essere italiano, notavo subito quanto quest’informazione stupisse le persone”.

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