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Si può sfidare Nadal senza essere solidi, se si è tutto il resto

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Le storie spesso nascono anche dalle parole, e i racconti si tramandano da che esiste l’uomo per via orale. Peccato che l’ATP non la veda così e ci costringa a conversazioni con i giocatori spesso striminzite, con l’ansia perenne di avere sbagliato l’unica domanda a tua disposizione o di ricevere come risposta la banalità di turno. Se a questo si aggiunge che le press conference fissate ad un orario, ti vengono alle volte anticipate al presente, pensi all’ubiquità come ad una dote essenziale per poter fare questo lavoro.

Avremmo voluto fare diverse domande a Djokovic, chiedergli quello che le sensazioni suggeriscono. Ma correre dalla sala stampa sino alla sala conferenze, lungo scale e sentieri, in controcorrente rispetto alla fiumana di gente che lasciava sorpresa il centrale, non è stato sufficiente.

Il match lo abbiamo raccontato. Il volto serafico di Nole, ancora indosso la maglietta della sconfitta, no. Avrebbe meritato qualche didascalia in più la faccia del numero uno del mondo, che perde il terzo match su sei disputati dopo la suprema finale degli Australian Open contro Nadal.

In ogni caso a Djokovic la parola, ma più che la parola il “concetto Roland Garros”, in conferenza stampa è scappata di bocca. Quasi un lapsus freudiano, che ci spiega cosa ha in testa il serbo mentre la primavera incede, i punti dei Master 1000 se ne vanno, ma gli Slam che gli servono per scavalcare la storia, restano.

Come resta nel torneo Daniil Medvedev, che gioca contro Nole la partita perfetta, ma forse l’unica di cui dispone. Il russo non entusiasma, non gioca vincenti a bizzeffe ed ha la plasticità della scoliosi dal lato del dritto, ma quando si dice “tennista solido”, con il Djokovic di questi tempi, al momento è meglio passare dalle sue parti.

Solido: una volta un tennista che vinceva era definito “bravo”. Adesso è solido: se gioco bene ho giocato “solido”. E se devo descrivere il mio avversario, egli non è semplicemente “good”, bensì “tough”, che vuol dire “duro” ma anche sinonimo di sostanziale, rigido e indistruttibile.

Non lo è stato il tennis di Nadal, contro un Pella che si è rifiutato di recitare la parte dell’agnello sacrificale. Ma lo è decisamente, da tanti anni, la testa di Rafa. Mentre i nodi del suo difficile incontro si dipanavano, il pensiero andava alle parole dello zio Toni. I due non sono solo allievo e maestro, o banalmente nipote e zio: sono una unica linea d’onda, un pensiero trasmesso per via collaterale e genetica, che si propaga per via quasi telepatica. Una sorta di pensiero unico, ma indubbiamente corretto, che ha forgiato la miglior testa tennistica dei nostri tempi.

Quanto a Fabio, anche senza le sue parole (che abbiamo comunque abbondantemente riportato) possiamo raccontare con lui una storia unica e diversa nel tennis odierno e stereotipato.

Il concentrato di talento che stilla da Fognini, gorgoglia e ribolle. Sappiamo che alla soglia dei 32 anni esso non scorrerà mai fluido e regolare, e sappiamo anche che ci saranno le assenze, come quelle del primo set di stasera. Ma siamo ben coscienti della capacità di Fabio di diventare d’improvviso ingombrante al punto da riempire da solo il campo, di inondarlo di creatività che va a scomparire e dei cosiddetti “Fogna moments”. Riempirà il campo dei suoi sguardi verso il pubblico, della sua camminata da bulletto, della parola “culo” pronunciata a pieni polmoni nelle interviste in campo e di improvviso saprà far sparire qualsiasi Coric di turno quando vorrà.

Il talento puro gli viene riconosciuto da tutti. Nadal, in conferenza stampa, ne tesseva le lodi e gettava uno sguardo al tabellone che annunciava il 6 a 1 Coric nel primo set, con aria compiaciuta. Ora passerà la notte pensando di dover giocare contro Fabio in semifinale. Nessuna paura, Nadal non ne può avere. Ma qualche pensiero, il giocare con Fognini, glielo farà venire.

Perché giocare con Fognini è esercizio differente. Così come descriverlo utilizzando temi e pensieri di un racconto del passato. Un racconto di quando per descrivere un colpo, un giocatore, una persona, avevi a disposizione 1000 aggettivi e non potevi limitari a dire “solido”. Qualcuno dei nostri anziani ti avrebbe guardato male.

Perché vedendo Fabio, la sua esaltazione che si alterna allo sconforto, senza mai passare per quel che noi definiremmo normale, ci viene da pensare che si può vincere, arrivare in semifinale e giocarsela contro Nadal, anche senza essere per forza solidi. Se poi si è tutto il resto.

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