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La ristoratrice mantovana Vittoria Zanetti, sulla cresta dell’onda con il cibo dei surfisti

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La ristoratrice mantovana Vittoria Zanetti, sulla cresta dell’onda con il cibo dei surfisti

MANTOVA. Il loro claim è “Californian soul, hawaiian taste": anima californiana, gusto hawaiano. E più che un invito ad assaggiare i loro piatti è uno stimolo a condividere un mondo. Vittoria Zanetti e Matteo Pichi sono i fondatori di Poke House, startup partita nel 2018 e già artefice di numeri da capogiro: 24 ristoranti in Italia e all’estero e un fatturato di 12 milioni di euro.

Il mondo che hanno contribuito a fare scoprire è quello del poke, il piatto tipico hawaiano, ma rivisitato in chiave “west coast”: una bowl con combinazioni di pesce crudo o cotto, pollo, riso, verdura, frutta freschissima. E una salsa fatta in casa in cima: ce ne sono venti diverse. Vittoria, 29 anni, è di origini mantovane. In città ha frequentato il liceo linguistico al Redentore, prima di spiccare il volo per Milano, dove ha studiato Scienze politiche alla Cattolica. L’amore per il food ha preso il sopravvento e ha iniziato a lavorare partendo dalla gavetta. «Ho fatto esperienze diverse - racconta - ma sempre con un sogno in mente: aprire un format tutto mio».

Un format che avesse a che fare con il cibo, e possibilmente sano, sua passione da sempre. Per un po’ ha lavorato nella ristorazione, su e giù tra le tante insegne del gusto nate negli ultimi anni a Milano, esperienza che si è rivelata provvidenziale; e per un anno si è dedicata al marketing in Calzedonia. «Mi trovavo benissimo, ma ho capito che pur essendo una bella realtà non era il mio mondo». La fortuna, si sa, aiuta gli audaci: poco dopo, Vittoria ha incontrato Matteo Pichi, il suo attuale socio, fondatore della app di delivery Foodinho, poi rilevata da Glovo. «A un pranzo, chiacchierando, abbiamo scoperto di avere la stessa idea». E di essere complementari: operativa e creativa lei, più a suo agio con finanza e sviluppo del business lui. Nel novembre 2018 il primo esperimento. «Siamo partiti con una dark kitchen, una piccola cucina che ci consentiva di preparare i piatti per le consegne. E all’inizio ci siamo fatti conoscere grazie alla nostra cerchia di amici, ma in un mese siamo diventato il brand più ordinato a Milano».

Subito dopo è arrivato il ristorante sotto il Bosco Verticale, e poi il decollo: un ristorante nuovo al mese, a Milano, dove ormai la catena serve cinquemila poke al giorno, e locali a Roma, Torino, Brescia, Madrid e Lisbona. Con Vittoria che cura la selezione delle materie prime e studia i menù con lo chef, e Matteo che pensa ai numeri. Al loro fianco duecento collaboratori nei locali, tutti giovanissimi, e una trentina di persone negli uffici. «Io e Matteo siamo una goccia lì dentro. Abbiamo collaboratori di grande talento: bisogna sempre circondarsi di persone che ogni giorno possano insegnare qualcosa». Perché proprio il poke? «A me piace molto e a Milano mancava: il mio desiderio era di portare una novità, non ho mai davvero pensato al business. Volevo portare il poke, che è un piatto sano e colorato, e l’atmosfera dei miei viaggi. In California, per esempio, andavo spesso in locali che proponevano poke buonissimi. Ed erano frequentati da gente che mi piaceva: sportivi, surfisti che arrivavano con la tavola sotto il braccio».

Tra le bowl della casa, la più ordinata è la più semplice: la “Sunny salmon”, con salmone, avocado e edamame. «Fa effetto vedere le persone che entrano nel locale e senza guardare il menù ordinano la Sunny salmon. La conoscono, l’hanno già provata. Ma le più richieste rimangono quelle create dagli stessi clienti. Il nostro punto di forza è il numero degli ingredienti». Se all’inizio i due soci si sono soprattutto autofinanziati, lo scorso anno, in primavera, sono arrivati capitali importanti a sostegno del progetto: «Un round di finanziamento da 5 milioni di euro, guidato dal fondo Mip (Milano Investment Partner) di Angelo Moratti, che è entrato nel capitale. E lì c’è stata un’ulteriore spinta». Gli affari hanno dovuto rallentare un po’ a causa del Covid, ma non si sono mai fermati. «In un momento in cui la ristorazione è messa a dura prova, anche noi abbiamo avuto un calo, ma abbiamo deciso di continuare a lavorare. Siamo nati con il delivery e il nostro format si presta al take away: questo ci ha permesso di controbilanciare le chiusure temporanee di alcuni negozi». 

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