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Il tempo delle alghe

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Si utilizzano per fare di tutto: dentifrici, tessuti, fertilizzanti, bioplastica... Molti Paesi scommettono su questi organismi per un futuro «green», mentre in Italia è boom di spirulina. Altro che «piante».

Bali, paradiso del surf, mecca dello yoga, pilastro del turismo mondiale. O almeno, così era fino all'arrivo del Covid. Oggi di giovani abbronzati non ce n'è più (6,3 milioni di visitatori annui spariti) e l'isola indonesiana è dovuta correre ai ripari. Chi prima faceva lavori come il cameriere in hotel, la guida o l'istruttore sub, oggi coltiva alghe. Lunghi filari ordinati sotto il pelo dell'acqua, pronti a essere essiccati e commercializzati in tutto il mondo grazie a una richiesta in vorticosa ascesa. Un giro d'affari che, secondo Global market insights, dai quasi 59 miliardi di dollari del 2019 potrebbe superare i 74 nel 2026. Un tesoro sommerso.

Sembrerà strano a chi considera le alghe come una verzura sottomarina su cui nuotare con distacco, ma in realtà questi vegetali nascondono proprietà impressionanti e i più insospettabili usi che la scienza continua a scoprire. Sono nel dentifricio che usiamo ogni giorno, nel mangime per animali, nel latte di mandorla, nella cannucce, nel cibo per bambini, nelle medicine, nelle batterie al litio. Si usano come fertilizzanti, carburanti, alimenti dietetici e ovviamente come insalatina al ristorante giapponese.

Maggiore produttrice è di gran lunga la Cina, seguita da Corea del Sud e Giappone, anche se ormai molti Paesi si stanno organizzando. Come Bali, dicevamo, ma anche come la Namibia, che pochi giorni fa ha annunciato un investimento da 60 milioni di dollari per costruire a tre chilometri dalla costa la più grande coltivazione di alga kelp al mondo. O l'Australia, che ne investe cento per vederne realizzata una simile entro il 2025.

Che poi, si fa presto a dire alghe. Finora ne sono state descritte circa 40 mila specie, un numero che pare rappresenti solo il 20 per cento di quelle esistenti. Inoltre, «anche se le chiamiamo così non tutti i vegetali che crescono in mare sono alghe» spiega il biologo marino Leonardo Tunesi, responsabile dell'area per la biodiversità e la protezione della biodiversità marina dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). «Il grosso del mondo vegetale è fitoplancton, organismi monocellulari che vivono in sospensione e costituiscono la fonte primaria dell'ossigeno che respiriamo, nonché la base della catena alimentare che arriva fino alle balene. Poi ci sono le piante marine, che vediamo attaccate sul fondo e come le piante terrestri hanno radici, fiori, frutti e foglie che in autunno cadono. Infine ci sono le alghe vere e proprie che si dividono in gruppi a seconda del loro colore: verdi, brune e rosse».

È dalle alghe rosse che si ricava l'agar, che conosciamo come polisaccaride usato per fare budini e aspic, ma utile anche come preparazione delle colture per i batteri, come addensante per l'industria farmaceutica e come rimedio fitoterapico con effetti antinfiammatori e protettivi per mucosa gastrica e intestino. Sono alghe rosse le «foglie» che avvolgono il sushi e quelle che in Gran Bretagna raccolgono lungo la costa come da noi si fa con le erbe selvatiche.

Le alghe brune invece sono un insieme di circa 2 mila specie, soprattutto oceaniche, che arrivano a creare foreste subacquee di proporzioni immense, altissime, con lunghezze anche di 60-80 metri (kelp, laminaria). Ne viene riconosciuta la funzione di assimilare buona parte dell'anidride carbonica del pianeta, ma non è per questo che l'industria mondiale le sfrutta. Hanno innumerevoli usi, dal fertilizzante organico al mangime. E se e ne estrae acido alginico, una soluzione viscosa con cui si fanno addensanti ed emulsionanti presenti per esempio nel gelato o nelle marmellate. Molti idrocolloidi usati in farmacia e in cosmesi derivano da alghe brune.

Ingerire alghe non è cosa strana. Anzi: in tempi di Covid c'è un vero e proprio boom di integratori alle microalghe, in particolare la spirulina. «Il suo consumo in Italia è forse quintuplicato nell'arco di pochi mesi perché è noto che stimola il sistema immunitario» spiega Fabio Consonni, da 25 anni nel commercio di alghe e titolare del portale Bioalghe.it. «Ma oltre a questo è riconosciuto come alimento ad alto tenore proteico, quindi consumato per motivi dietetici e di attività sportiva». Infatti la spirulina, che non è un'alga marina vera e propria ma un microorganismo coltivato in vasche salmastre su cui affiora come una patina, contiene elevati livelli di Omega-6, aminoacidi essenziali e lipidi. Non per niente è stata riconosciuta come «superfood» dall'Oms e definita dalla Fao «Alimento del futuro». In Italia sono in molti a fare produzione di qualità di microalghe. L'ultimo progetto è quello del gruppo Tolo Green in Sardegna, che punta a una produzione annua di 150 tonnellate.

Ma oltre alla spirulina c'è di più. «Va molto anche la clorella, un'alga verde con proprietà antiossidanti e disintossicanti perché è ricchissima di clorofilla» prosegue Consonni. «Oppure vendiamo bendaggi con foglia d'alga per aiutare a ridurre la cellulite grazie al principio dell'osmosi, e vasetti di alghe macinate che possono sostituire il sale per condire con un gusto particolare i cibi». Non mancano biscotti e barrette alla spirulina per cani e gatti, un business nel business dell'imprescindibile green economy.

Sì, le alghe prosperano in questa era di sostenibilità. La start-up londinese Notpla ha inventato una «plastica» biodegradabile fatta con le alghe che si scioglie in quattro settimane anziché in centinaia di anni. Mentre abbondano i progetti per usarle come carburante, o biofuel, per i motori a scoppio. Si vuole meno chimica e sempre meno carne. Il biofisico dell'Università di Copenaghen Ole G. Mouritsen, autore di numerosi libri sul tema, sostiene che le alghe saranno protagoniste di una prossima «food revolution»: i vegetali acquatici possono essere la risposta al sovrappopolamento perché ricchissimi di proteine, iodio, vitamine. Inoltre crescono anche 60 volte più velocemente delle piante terrestri e finora se ne consumano soltanto 500 specie.

Gli scienziati ci stanno lavorando. Quelli di AgResearch, uno dei più grandi istituti di ricerca della Nuova Zelanda, si stanno focalizzando sulla specie undaria pinnatifida (il wakame) e su come facilitare l'assorbimento delle sue proteine, tipicamente meno digeribili di quelle di origine animale. Invece negli Stati Uniti, dove la «carne» a base vegetale è piuttosto diffusa, combinando microalghe con processi fermentativi si è riusciti a produrre pigmenti e complessi chimici in grado di dare agli hamburger veg un aspetto e un gusto del tutto simili a quello animale.

Le alghe si cominciano a usare anche nell'abbigliamento. L'Università della British Columbia ha inventato un tessuto biodegradabile chiamato Biogarmentry, la veneziana Tabinotabi crea bioabiti morbidissimi, mentre il SeaCell, materiale brevettato dal designer milanese Alberto Zanrè anni fa, diventa lingerie per la catena di supermercati Lidl. Fa tessuti anche la belga AtSeaNova, ma intrecciati servono per sorreggere le lunghe coltivazioni di alghe giganti nei mari di sette Paesi. «In Asia la produzione è satura ma c'è un potenziale pazzesco in Europa» dicono.

L'importante è che si faccia attenzione: ci sono già specie «aliene» di alghe che stanno soppiantando quelle nostrane. «Sono arrivate dal canale di Suez o trasportate dai cargo» ricorda Tunesi. «I pesci non le mangiano perché sono leggermente tossiche, e si stanno sostituendo alle nostre specie. È un grande problema del Mediterraneo». Il tempo delle alghe è appena cominciato.

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