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Addio a Jake Burton, il pioniere dello snowboard

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IL MONDO DELLO SNOWBOARD
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Sciava, sognava. Da ragazzo era un grande appassionato di sci, finché un grave incidente d’auto lo costrinse a smettere. Non sciò più, ma continuò a sognare. Capovolse il mondo della neve, gli diede un’altra prospettiva, lo rese un posto dove ci si poteva divertire. Nel dare l’addio a Jake Burton Carpenter, salutiamo l’inventore della tavola da snowboard e quindi di un altro modo – inedito – di fare sport.

Il geniale pioniere nativo di New York aveva 65 anni, dal 2011 conviveva con la sindrome di Miller Fischer, ovvero una malattia che colpisce il sistema nervoso, variante della sindrome di Guillain-Barré. E’ di poche settimane fa la lettera con cui aveva annunciato ai dipendenti della sua azienda, la «Burton Snowboards» (la più grande casa di equipaggiamento al mondo), il suo ritorno al lavoro, ma il cancro non gliene ha dato il tempo. Burton verrà ricordato per sempre come l’uomo che ha dato dignità a questo sport che grazie a lui – a partire dal 1998 – è diventato disciplina olimpica.

Il cosiddetto «surf da neve» esisteva già, era stato inventato da Sherman Poppen, un ingegnere che lo ideò per divertire i propri figli e lo chiamò ‘snurfer’, da ‘snow’ (neve) e surfer (navigatore). Ma era più che altro uno sport semi-clandestino, anzi un gioco con cui i ragazzini si potevano trastullare sulla neve.

Alla fine degli anni ’70 Burton – laureato in economia – si mise in testa di trasformare lo snowboard in un business da miliardi di dollari. pensò che doveva rivolgersi ai ragazzi, ai teen-agers non solo americani, ma di tutto il mondo. Era il 1977 quando perfezionò la prima tavola da snowboard nella sua casa nel Vermont. Amava la neve, amava i colori. Immaginava un mondo colorato che scivolasse sul bianco delle montagne, nel silenzio rispettoso che si deve avere in quei luoghi. All’inizio gli affari non andarono granché bene. Burton vendette solo 300 esemplari delle sue tavole da snowboard.

Ruppe con i soci, ma non abbandonò mai la sua visione. Prese da solo le redini della compagnia ce aveva fondato e cominciò a girare in lungo e in largo per tutte le stazioni sciistiche dell’America, provando a convincere i riluttanti imprenditori e gestori delle piste che la sua idea era valida, che quello era il futuro e che lui glielo stava vendendo, sottoforma di tavola da snowboard. Fu un successo clamoroso. Lo snowboard si diffuse presto in tutto il mondo e – come detto – alle Olimpiadi invernali di Nagamo nel 1998 divenne – a poco più di vent’anni dalla sua certificazione – una disciplina olimpica.

Oggi lo snowboard è praticato da milioni di persone, tutte le stazioni sciistiche prevedono piste specifiche per chi vuole fare surf sulla neve. «Fin dall’inizio ci ho intravisto uno sport», aveva raccontato qualche mese fa a BBC. Burton aveva un sogno, coltivava una visione, segnò un’epoca. Lo snowboard è leggerezza, libertà passione. Rispetto allo sci – il fratello maggiore da cui in verità all’inizio ha ricevuto poca considerazione – è sicuramente più vario. il freestyle, le curvette, le trottoline sono «movimenti» ormai entrati nelle modalità quotidiane di chi pratica questo sport.

I «Rider» cavalcano lo snowboard scivolando via nella neve, sbizzarrendosi con evoluzioni acrobatiche e assumendo pose plastiche che lasciano a bocca aperta; colorando quel mondo che Jake Burton aveva immaginato per loro.

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