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Salto con gli sci, i Mondiali di Planica al via nel decennale dell’oro iridato della “Farfalla di cristallo” Sarah Hendrickson

Nella giornata odierna a Planica, Slovenia, inizia l’edizione 2023 dei Mondiali di sci nordico. Le prime medaglie saranno conferite domani, ma oggi si comincia a saltare anche sul trampolino. Difatti è prevista la qualificazione della gara individuale femminile su Normal Hill. Proprio il 22 febbraio, esattamente 10 anni fa, tale competizione incoronava Sarah Hendrickson quale Campionessa del Mondo 2013.

È passato un decennio da quel pomeriggio in cui l’allora teenager statunitense si fregiò dell’oro iridato sul trampolino di Predazzo, che per lei era in un certo senso diventato di casa. D’altronde si gareggiava nella località d’origine di Paolo Bernardi, ai tempi head coach della squadra Stars&Stripes, che molte sessioni d’allenamento aveva svolto proprio in quel contesto.

Prima di affrontare le due settimane di Planica, si vuole volgere uno sguardo al passato, sfruttando la ricorrenza per approfondire il tema Sarah Hendrickson. Chi segue il salto femminile da tempo lo vivrà come un ricordo, chi si è appassionato di recente alla disciplina invece potrebbe scoprire una storia che vale la pena di essere conosciuta.

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Hendrickson viene al mondo il 1° agosto 1994 ed è, ancora oggi, una delle poche saltatrici a potersi vantare di aver raggiunto la doppia cifra in tema di vittorie in Coppa del Mondo. L’americana ha raccolto tutte le proprie affermazioni fra il dicembre 2011 e il marzo 2013, aggiungendo al proprio palmares la Sfera di cristallo 2011-12, la prima messa in palio in ambito femminile.

Purtroppo, di cristallo, erano anche le ginocchia della ragazza nativa dello Utah. Quel successo ai Mondiali tenutisi in Trentino arrivò dopo svariate vicissitudini patite tra la primavera e l’estate 2012, dalle quali riuscì a riprendersi in tempo per issarsi sul gradino più alto del podio iridato. Non si è mai risollevata, invece, da quanto accadde nella mattinata del 21 agosto 2013.

Quel giorno sullo Schattenbergschanze di Oberstdorf c’erano condizioni ideali. Hendrickson volle testare i propri limiti e, pur partendo da una stanga congrua, effettuò un salto pazzesco. Spiccò il volo dal dente e atterrò a 148 metri. Su un trampolino dove il punto HS è fissato a 137. Citando Roland Reagan, Sarah sciolse i burberi vincoli della terra, per toccare il volto di Dio. Agonisticamente e sportivamente parlando.

La gravità, però, può essere sconfitta solo per brevi periodi. Prima o poi, presenta il conto ed è una giudice implacabile. Sarah atterrò in piano e il violento impatto con il suolo fece saltare il legamento collaterale anteriore del suo ginocchio destro, che cedette di schianto.

Da lì l’inizio di un autentico calvario, anche perché la statunitense forzò al massimo i tempi di recupero con l’obiettivo di essere della partita nei Giochi olimpici di Sochi 2014, i primi di sempre ai quali erano ammessi le saltatrici. Non le interessava essere competitiva, importava esserci per far parte di un passo ritenuto storico da parte di tutte le ragazze volanti. Ce la fece, perché riuscì a presentarsi in Russia a meno di 6 mesi dall’incidente, chiudendo peraltro 21ma.

Il suo organismo non è però mai stato in grado di recuperare appieno, forse anche a causa di quella rincorsa a un istituzionale atto di presenza. Dal 2014 in poi sono arrivati alcuni podi estemporanei in Coppa del Mondo e, soprattutto, altri infortuni che le hanno impedito di ritrovare la competitività del passato, sino a spingerla al ritiro per esasperazione e manifesta impossibilità a restare integra atleticamente.

Personalmente ricordo con assoluta nitidezza la telefonata con cui, quel 21 agosto 2013, mi venne comunicato l’incidente. Ero a spasso per campi e mulattiere assieme al mio cane Hogan prima che il caldo diventasse troppo feroce per effettuare il giro di metà giornata, soprattutto per lui, affardellato da un manto nero impietoso nel trattenere il calore del Sole. Quando appresi dell’accaduto mi fermai di botto e bene ho impresso nella mente quanto divenne assordante il frinire delle cicale. Ci fu un “crack” anche nel mio animo. Ebbi l’impressione che qualcosa si fosse rotto per sempre e che mai più sarebbe tornato.

Perché nessuna saltatrice ha mai saputo trasmettermi le medesime sensazioni comunicatemi da Sarah, che rappresentava la perfezione. Al top della condizione era enciclopedica in fase di stacco e di volo. Inoltre sapeva appoggiare un telemark con pochi eguali nel settore femminile. Anzi, verosimilmente ancora oggi quello di Hendrickson è il migliore mai visto in ambito rosa. La statunitense ha saputo personificare l’espressione massima del salto con gli sci. Una Kobayashi senza cromosoma Y.

Fosse rimasta sana chissà cosa sarebbe accaduto. Probabilmente tutto il circuito femminile ne avrebbe guadagnato, perché l’americana era l’unica in grado di sfidare ad armi (quasi) pari la miglior Sara Takanashi. Ne sarebbe venuto fuori un dualismo da ricordare, sul quale si sarebbe potuto giocare in virtù dello stesso nome di battesimo delle due fuoriclasse. “Sarah contro Sara”, “La battaglia delle Sara” e così via, scegliete voi il nomignolo che si sarebbe potuto affibbiare alla rivalità.

È andata diversamente e ormai “that is spilt milk under the bridge” per citare Jeremy Irons in Margin Call. Oggi ricorre il decennale dell’oro iridato della farfalla di cristallo. Chiudiamo il libro dei ricordi e focalizziamoci sul presente. Inizia un nuovo Mondiale, quello di Planica 2023, dove le protagoniste saranno altre. Tra esse anche Takanashi, ancora sulla cresta dell’onda, seppur non più dominante come in passato.

A conti fatti la nipponica non è mai andata vicina al successo in una gara con medaglie in palio più di quanto non abbia fatto proprio il 22 febbraio 2013 a Predazzo. Il vulnus della medaglia d’oro per lei è ancora aperto. Chissà non possa essere colmato proprio in questi giorni, partendo da outsider e non più da favorita. Difficile, ma non impossibile. Se lo meriterebbe, se non altro per il talento di cui è dotata, di certo non inferiore a quello della sua quasi omonima dello Utah, oggi in altre faccende affaccendata, ma non dimenticata.

Foto: LaPresse

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